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Veneto, danno fuoco a una sagoma di Garibaldi, “l’Eroe degli immondi”

Federalismo de loroaltri? Ecco cosa succede nel Triveneto: danno fuoco all’ “Eroe degli immondi”. Nessuno ha da dire nulla? L’articolo di Gian Antonio Stella sul corriere.it del 3.3.2011:

«Fate scrivere la biografia di Garibaldi al suo peggior nemico e vi apparirà come il più sincero, il più disinteressato e il meno dubbioso degli uomini…», scrisse il Times dopo la morte sfidando a mettere in dubbio la statura morale del condottiero. Sottovalutava il fanatismo dei talebani venetisti. Che l’altra sera, davanti a una discoteca vicentina, hanno bruciato una sagoma barbuta in camicia rossa (nella foto) che portava appeso al collo il cartello: «L’eroe degli immondi».
Il governatore Luca Zaia si è smarcato: «Mi ritengo venetista ma bruciare una sagoma è un segnale a cui stare attenti. Dietro a una figura “c’è una persona”, non bisogna minimizzare e trasmettere messaggi sbagliati ai giovani». Pochino, dirà qualcuno.
Molto, risponderà lui, che cerca di barcamenarsi tra i doveri istituzionali e i mal di pancia dei duri e puri del suo partito e dintorni.
Come quelli del sedicente “Presidente Movimento Veneti” che, in una lettera al quotidiano locale ha spiegato esultante che il rogo «è solo una scintilla, dal 17 marzo aspettiamoci i fuochi d’artificio». Firmato: Riondato Patrik. Con la “k”. “Very polenton”, per un difensore della cultura veneta. Come “very polentons” erano i nomi che portavano i figli di due del commando dei Serenissimi che anni fa assaltarono il campanile di San Marco: Buson Desirée (très révolutionnaire), Contìn Christian & Contìn Genny. Wow! Una goliardata folcloristica? Scrive il Giornale di Vicenza che a far la festa al feticcio dell’eroe di Caprera c’erano 200 persone tra cui «numerosi consiglieri comunali, provinciali e regionali della Lega Nord ma anche della Liga Veneta per l’autonomia e di altri partiti» con l’aggiunta di sindaci del padovano e del veronese.
Di più, il giorno dopo il deputato regionale Roberto Ciambetti sdrammatizzava: «Sono arrivato più tardi e il rogo non l’ho visto. Però non vorrei si strumentalizzasse la cosa. È un gesto scaramantico, che vuole esorcizzare non la figura del generale che fu, per primo, bandito dagli stessi Savoia, quanto chi continua a negare dignità alle storie regionali». Ma come: chiama a supporto, lui, proprio i Savoia? Pexo el tacòn del buso.
Da non perdere le discettazioni di Giorgio “Xorxi” Roncolato, informatico alla Asl, consigliere comunale leghista di Arzignano e membro di “Raixe Venete” (radici venete) l’associazione che aveva acceso il falò: «Gli storici seri hanno dimostrato che Garibaldi era un bandito vissuto di espedienti e ladrocini in Sud America. E che anche i famosi Mille erano una accozzaglia di sbandati e predoni».
E chi sarebbero questi “storici seri”? Non Denis Mack Smith, che scrive: «Garibaldi era la persona vivente più conosciuta e amata del mondo». Non Christopher Duggan, secondo il quale «il suo stile di vita anti-convenzionalmente modesto, la semplicità dei modi e l’immenso coraggio personale, e infine l’apparente invulnerabilità sul campo di battaglia (…) concorrevano a fare di Garibaldi un personaggio venerato, con una capacità d’attrazione senza precedenti». Non Max Gallo, Rosario Romeo, Giovanni Spadolini… Perfino Indro Montanelli, che pure non perdeva occasione per punzecchiare qua e là i protagonisti del Risorgimento, nel libro scritto con Marco Nozza chiuse il discorso: «Nel disperato bisogno che l’Italia dell’Ottocento aveva di eroi, è giusto che il posto di proscenio e il piedistallo più alto siano toccati a lui».
Macché, Bortolino Sartore, proprietario della discoteca Hollywood teatro del rogo e consigliere provinciale della Liga autonomista, mica si fa incantare da chi ha letto libri e studiato documenti: «Garibaldi era un mercenario che non amava i veneti, questo è un dato storico». Fine. Avrà ben diritto di dire ciò che vuole? In realtà, spiega ne “La storia negata” Mario Isnenghi, sempre lì si finisce: nell’idea sventurata che, con o senza documenti a supporto, un’opinione vale un’altra e ognuno ha il diritto di pensare quel che gli pare: «La coscienza che tutto passi attraverso un punto di vista e un’interpretazione, e finisca in uso pubblico e strumentalizzazione politica, invece che più lucidi, ci rende solo più fatui. E una versione sbracata e facilona di “relativismo” o storia “fai da te” finiscono per imperare. Nulla è vero, tutto è vero». E invece, scrive, «nossignori, gli avvenimenti storici si sono svolti in una certa maniera e non in un’altra». Possono essere messi sullo stesso piano i lavori, ad esempio, di Rosario Romeo e le ricostruzioni allucinate e apocalittiche su “Civiltà cattolica” del gesuita Antonio Bresciani, uno che dedicò la vita a gonfiare l’odio contro Garibaldi per conto del Vaticano? Mah…

Che sia grande la confusione sotto il cielo italiano alla vigilia del Centocinquantenario, del resto, è confermato dalle delibere adottate dai due consigli comunali veneti leghisti, S. Giovanni Lupatoto e Bussolengo, che autorizzano i commercianti il 17 marzo a tener aperti i negozi. Come a Verona, sia pure solo nel centro storico: è una città turistica. E cosa spunta, nel frattempo? La voglia di una festa padana, il 29 maggio. Giorno della battaglia di Legnano.
Un’idea buttata lì in odio all’Unità d’Italia. Anche se, chissà, tanti leghisti non lo sanno ma potrebbe piacere a Benito Mussolini. Fu lui, infatti, molto prima del Senatur, a imporre negli anni 30 un grande raduno annuale a Pontida. Rileggiamo l’Eco di Bergamo dell’8 aprile 1940: «Una Pontida imbandierata, in una festante cornice di sole e di pubblico (…) ha rivissuto ieri mattina (…) la gloriosa data del giuramento della Lega Lombarda. Mai tanto flusso di folla ha invaso le vie del paese pavesato in ogni dove di tricolore…».
Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella
03 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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