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W l’Italia? Viva soprattutto quei ragazzi che la fecero e poi vennero abbandonati a se stessi

Prima del 17 marzo del 1861 c’è il novembre del 1860, a Napoli. E’ lì che l’Italia manda a casa i garibaldini che dai Mille di Marsala alla fine erano diventati 52.830 soldati con la camicia rossa. E’ grazie al loro sacrificio che si celebra ora questo plebiscito, insomma l’Italia. Ho raccontato la loro storia a partire da quella clamorosa sconfessione piemontese per capire che cosa combinarono negli anni successivi i garibaldini dei Mille.

Ne è nato un libro che uscirà il 5 maggio, per Aliberti. S’intitola “La lunga notte dei Mille”. Ve ne anticipo lo scenario descritto in quel triste novembre del 1860…

<Signora, lei vuol sapere cosa è i successo in Italia alla fine della Spedizione? E’ una pagina dolorosa…– spiega il dottor Herter -. Parto dalla fine, signora. Sa, in quattro mesi dalla Sicilia eravamo finalmente giunti a Napoli. Il 2 ottobre avevamo vinto sul Volturno. Due giorni di battaglia e alla fine li avevamo sbaragliati, definitivamente. Passa tutto il mese, comincia novembre, aspettavamo un cenno e avremmo puntato su Roma rimasta in mano al Papa. Ci lasciavamo dietro Gaeta e Messina, due roccaforti ancora assediate. Che problema poteva mai essere? Ecco, il 6 novembre del 1860 siamo rimasti per un giorno intero sul piazzale davanti al palazzo reale di Caserta, in dodicimila ad aspettare il re. Dodicimila, forse anche di più, tutte camicie rosse, se le immagina? Doveva passarci in rassegna, gli abbiamo dato il paese su un piatto d’argento. E lui? Non è venuto. Come fossimo appestati. Capito? Che magone. A Torino avevano già deciso di scioglierci. Ci hanno trattato come teppaglia…>.

<Scioglietevi>. Lo dice anche la marionetta in camicia rossa del teatrino di Giuseppe Copler, mugnaio e garibaldino, che arringa i  bambini di  Forlì. Una voce gracchiante, petulante, stonata che attraversa la piazza della città romagnola nel 1863. <Scioglietevi…>.

Copler per raggiungere casa sua, a Tagliuno nel bergamasco, si è ricordato di essere burattinaio e girovago. Da Napoli sta risalendo verso casa, a piedi, e intanto ricorda a tutti quel fatto ancora fresco nell’estate del 1863, racconta i Mille di Garibaldi. E parte dalla fine.

<Avevamo vinto, volevamo andare avanti – insiste la marionetta -. Il  re aveva fatto promesse a Garibaldi, dicono che siano stati i generali a insistere per volerci sciolti. I loro nomi? Fanti, Farini, Revel. Che prepotenza! Che spocchia! Che arroganza! E così l’esercito meridionale è stato sciolto. Pensare che eravamo sì  mille a Marsala, ma allo Stretto eravamo già 23 mila e a Napoli, alla fine eravamo, oltre cinquantamila. 52.830, all’ultima conta, una potenza, no? Tutti sciolti, come cani appestati…Sapete come parlavano di noi? Ci dipingevano come caos e anarchia, incompetenza e disonestà. Così ci hanno svillaneggiato dopo tutto quello che abbiamo fatto.

<Il nostro commissario alle finanze Agostino Bertani attaccato di continuo da giornali come <La Perseveranza> e la <Gazzetta di Torino>, accusato di mene e malversazioni. E poi Ippolito Nievo, l’addetto alle furerie, costretto a difendersi scrivendo relazioni e contestando i conti.

<Non è vero che siano spariti 60 mila cappotti. E’ falso che siano stati rivenduti oggetti di casermaggio e altro vestiario. Magari qualcosa sarà finito di qua o di là. Non siamo certo venuti fino a Napoli, rischiando la vita, per comportarci da ladri.

<Povero Ippolito, alla fine stufo di tutto su ordine di Giovanni Acerbi è andato a Palermo a ritirare tutte le fatture e da lì si è imbarcato sull’Ercole per portarle a Torino. Ma non è mai arrivato, il piroscafo è stato inghiottito dal mar Tirreno con tutti e ottanta i suoi trasportati, tra passeggeri ed equipaggio.

<C’era un maestrale furioso, è vero, ma si è sussurrato di un attentato, una bomba nelle caldaie…>.

La marionetta tace. Fa solo avanti e indietro sul piccolo palcoscenico, per smaltire la rabbia.

<Ecco, come ci hanno ridotto in quell’autunno triste del 1860 – riprende il racconto -. Il 12 novembre il re ci ha liquidato. E allora c’è chi ha deciso di restare, chi si è ribellato, in trentamila abbiamo chiesto subito il congedo…>

<A Caserta però – si riaccende la marionetta in camicia rossa-, ci sono stati ammutinamenti, anche a Maddaloni si è rivoltato un reggimento del corpo Avezzana,  in oltre trentamila a Santa Maria hanno manifestato sotto la casa del generale Milbitz, i calabresi hanno assaltato la casa del brigadiere Assanti, il battaglione estero De Flotte si è ammutinato a San Tammaro. A Nocera i  nostri hanno minacciato di morte il comandante Achille Fazzari che ha telegrafato al comando: “Liquidateli, è gente che non vuole capire ragioni…”. E poi, più tardi, il 27 marzo, i reduci che a Napoli hanno occupato il dicastero delle finanze sono stati attaccati dalla guardia nazionale e da reparti di granatieri.

<Ascoltate: un giovane garibaldino, un ragazzo di Campobasso, uno del  battaglione di Sprovieri. è stato ucciso in quelle cariche. Gli hanno sparato a bruciapelo. Ecco, io allora ho preferito riprendere il mio teatrino e con questo sto risalendo l’Italia verso casa pian piano. E ho fatto proprio bene. Pensate che prima ci hanno dato un contentino, la creazione del Corpo volontari della libertà, poi però hanno sciolto anche quello. Peggio di così…>.

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