Riprendo da Antonio Ingroia la parte del suo intervento sui “Quaderni dell’Ora” in cui risponde punto su punto alle critiche avanzate sul rinvio a giudizio di Virga e Mazzara per l’omicidio di Mauro Rostagno. Dice il Procuratore aggiunto di Palermo:
A proposito di diritto di replica, approfitto per rivendicare tale mio
diritto anche in relazione aI recente articolo a doppia firma di Giuseppe
Lo Bianco e Sandra Rizza che ha aperto Io scorso numero di
questi Quaderni. Due giornalisti bravi e valorosi, che però stavolta –
mi spiace dirlo – pur nell’apprezzabile intento di dare conto delle
molteplici causali sottese all’omicidio, finiscono – a mio parere – per
dare una lettura un po’ forzata della vicenda giudiziaria. Quindi, ritengo
doveroso dire qualcosa esercitando il mio diritto di replica, pur nei ristretti
limiti di quel che un magistrato può dire in relazione ad un procedimento
penale ancora in corso, ma in riferimento aI dovere di informazione verso
l’opinione pubblica, altrimenti frastornata.
Difendo, ovviamente, anche il diritto di cronaca e di critica di Lo
Bianco e Rizza, ma non posso non precisare alcuni “eccessi espressivi”,
che rischiano di trasformarsi in informazioni fuorvianti, o – peggio – offensive.
I fatti. Un conto è dire che Ia pista mafiosa non esaurisce il contesto
del delitto Rostagno perché sono emersi elementi indicatori di altri
mandanti, di altri interessi convergenti con quelli mafiosi ad eliminare
Rostagno, ben altra cosa è dire che la pista mafiosa è “la più comoda”
delle soluzioni giudiziarie, che perciò piace a “molti”, mettendo
fra quei “molti” un po’ di tutto, dagli ex-indagati pienamente
prosciolti come Chicca Roveri, agli ex-tossici della comunità Saman,
fino agli ex-compagni di Rostagno di Lotta Continua, rappresentati
come artefici di una congiura del silenzio che avrebbe messo la pietra
tombale sulla verità del delitto Rostagno, finendo per farne apparire
complice di fatto Ia Procura di Palermo che sulla pista mafiosa
ha costruito il processo appena iniziato davanti alla Corte d’Assise
di Trapani. Perché, così dicendo ed alludendo, il rischio è che un lettore,
un po’ frastornato, potrebbe pensare che la Procura di Palermo
ha accreditato Ia pista mafiosa, e ne ha archiviato altre, come quella
“politica”, interna a Lotta Continua, o comunque collegata all’omicidio
Calabresi, non perché riteneva quest’ultima infondata, almeno fino
a prova contraria, così come si è rivelata, ma per assecondare ciò
che piaceva a quei “molti”, per cercare e consacrare – insomma – la
soluzione più comoda.
Eh no! D’accordo, col diritto di cronaca e di critica, ma mi pare vagamente
offensivo attribuire alla Procura di Palermo, specie a questa
Procura di Palermo, e direi alla mia persona che segue da ormai
quindici anni questa indagine, I’intenzione programmatica di perseguire
soluzioni giudiziarie comode e facili. Mi pare infondato nei
miei confronti (basterebbe guardare la storia dei procedimenti penali
da me condotti) ed infondato nello specifico. Perché non è affatto comodo
e facile accusare la mafia di avere ucciso Rostagno. È vero il
contrario. Era facile e comodo sostenere che quello di Rostagno era
un delitto fra amici, dentro una storia di drogati. Era facile e comodo
dire che Rostagno non aveva mai dato fastidio ad alcun mafioso e
potente locale, come si sostenne originariamente da alcuni inquirenti
che imboccarono Ia “pista interna”, quella dei “drogati”, così finendo
per deviare Ie indagini depistandole, si vedrà se per ragioni del
tutto “innocenti”. Così come era stato facile e comodo accusare Peppino
Impastato di essere un terrorista malaccorto, anziché un nemico
della mafia.
L’unico depistaggio, l’unica deviazione, I’unico insabbiamento riuscito
per anni è stato quello che ha riguardato la figura di Rostagno,
inserendola in una “storia minore”, in una vicenda tutta interna alla
sua comunità. E spiace che giornalisti così bravi e documentati, e curiosi
delle verità più scomode come sempre sono stati Lo Bianco e
Rizza, siano incorsi in un infortunio simile. Anche perché se è vero
che sono stati i mafiosi a sparare come si sostiene anche nello stesso
articolo (ma sarà la Corte d’Assise di Trapani a stabilirlo), la mafia
non “è un service che spara anche su ordinazione”. E iI solito equivoco
sul cosiddetto “terzo” o “quarto” livello sovraordinato alla mafia
che ogni tanto ricompare, ma che è distante dalla realtà della mafia,
che uccide anche per altri interessi solo quando ha anche un suo
diretto interesse, mai soltanto su ordine di altri. Ecco perché l’indagine
continua alla ricerca anche degli interessi convergenti con Ia
mafia, ma senza soluzioni comode o scorciatoie.
In conclusione, non è vero che questa “non è Ia storia dei Cento
Passi in versione trapanese”, che ” non è iI bavaglio imposto col
piombo ad un giornalista scomodo che enunciava verità scottanti”
perché il delitto sarebbe ” qualcosa di diverso”. Non è vero perché
Rostagno era effettivamente un giornalista scomodo, che denunciava
verità scottanti, e perché ci sono forti analogie invece col caso di
Peppino Impastato. La verità è che questa è una storia complessa, come
Io è anche quella di Impastato. E non è un caso che esiste un’indagine-
stralcio sugli altri contesti, compatibili con la pista mafiosa,
ove può essere maturato I’omicidio Rostagno, così come esiste anche
sul delitto di Peppino Impastato. Come si vede, le due storie si assomigliano
più di quanto non si creda. Storia di mafia, ma non solo di
mafia. Però di mafia, sì… E i depistaggi, in tutte e due i casi, furono
quelli di coloro i quali Ia mafia cercarono di non vederla, anzi addirittura
di cancellarla. Per cancellare la memoria di quello che Rostagno
e Impastato avevano fatto. E anche questo è diritto di replica.