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Processo Rostagno, la busta dimenticata dai carabinieri. Il Pm chiede di riascoltare il gen Montanti e il sottuff Cannas

La busta dimenticata dai carabinieri di Trapani, dove Mauro Rostagno indicava le inchieste che stava conducendo sulla mafia.

Il Pm Paci ha chiesto di riascoltare il generale dei carabinieri Nazareno Montanti e il sottufficiale Beniamino Cannas, che si sono mostrati reticenti in  proposito, quegli stessi carabinieri che poi si sarebbero concentrati su Saman e la “pista interna”.

Di seguito il resoconto dell’ultima udienza fatto da Rino Giacalone.

Processo Rostagno e quella primavera trapanese mai arrivata
di Rino Giacalone – 22 aprile 2011

«Pensava che a Trapani potesse esserci quella “primavera” politica e
sociale che emergeva altrove, e invece dopo un colloquio con il
procuratore Borsellino, allora capo della Procura a Marsala, la sua
concezione cambiò di colpo». Così Chicca Roveri, testimone nel
processo per il delitto di Mauro Rostagno, il suo compagno di vita (è
costituita parte offesa con la figlia Maddalena con gli avvocati
Fausto Amato e Carmelo Miceli) ha ricostruito, in due lunghe udienze,
dinanzi alla Corte di Assise che sta processando come mandante il capo
mafia Vincenzo Virga e come esecutore il killer Vito Mazzara, il
periodo trapanese, e di giornalista a Trapani, di Mauro Rostagno,
ucciso, dalla mafia, il 26 settembre del 1988, a Lenzi di Valderice, a
pochi metri dalla comunità Saman della quale era stato fondatore con
la stessa Roveri e Francesco Cardella.

Il foglio lasciato da Rostagno. Quali erano le «sensazioni» nuove e
del tutto negative che Rostagno aveva percepito? Sono riassunte in un
foglio vergato a mano trovato tra i suoi appunti. Gli intrecci tra
istituzioni, anche giudiziarie, e lobby affaristico mafiose. Aveva
affidato molta fiducia alla magistratura, credeva nelle indagini, «per
poi rendersi conto – ha detto la Roveri – che in Tribunale a Trapani
vi erano processi importanti stranamente bloccati», procedimenti poi
celebrati negli anni ’90: quelli per la scoperta della raffineria di
droga di contrada Virgini di Alcamo (la più grande d’Europa), quello
per la loggia massonica coperta Iside 2, il processo alla vecchia
mafia di Trapani e Paceco. A Rostagno poi interessavano le indagini
sul delitto del magistrato Ciaccio Montalto (25 gennaio 1983) che
alzarono il coperchio di una pentola di commistioni, dove si scoprirà
l’esistenza di episodi di corruzione fin dentro il Palazzo di
Giustizia, un magistrato venne arrestato, il pm castellammarese
Antonio Costa. «Ricordo che nel processo per la vecchia mafia di
Trapani – ha detto Chicca Roveri rispondendo ad una domanda dell’avv.
Mezzadini, difensore di Vincenzo Virga – c’era un memoria scritto
dalla moglie di un mafioso di Paceco, risalente quindi ad anni prima
dove si faceva il nome di Vincenzo Virga come capo mafia di Trapani».
Ora Virga è imputato di essere il mandante del delitto Rostagno. «Mio
marito aveva scoperto un sistema di collusioni, per questo è stato
ucciso, mentre gli investigatori invece di indagare su tutto questo,
si occupavano dei nostri amori, delle nostre spese, nessuno ha mai
indagato e letto i redazionali di Mauro». Ci sono voluti 23 anni e le
intuizioni dell’allora capo della Squadra Mobile, Giuseppe Linares e
di un «brigadiere» di Polizia vecchio stampo, Nanai Ferlito, per fare
scoprire per esempio che un accertamento balistico corretto su quelle
cartucce e bossoli trovati la sera del 26 settembre 1988 a Lenzi, non
era stato mai fatto. «Mauro qui faceva il giornalista in una città –
ha proseguito Chicca Roveri – che conviveva con la mafia, forse ancora
oggi se si pensa che l’attuale capo mafia latitante Messina Denaro
vive attorno a noi».

L’ex guru che ora fa l’ambasciatore. La Roveri si è anche soffermata
sui rapporti con Francesco Cardella. «Non si fugge via dinanzi ai
processi – ha detto – si viene qui a testimoniare anche se è cosa
pesante e che dà sofferenze, invece di rilasciare interviste». Io
quando fui arrestata la prima volta per le i corsi di formazione a
Saman, ho affrontato il carcere, ho patteggiato ammettendo di essere
stata disattenta e stupida, poi  arrivò l’arresto per il
favoreggiamento ai presunti assassini di mio marito, non sono scappata
sebbene nell’aria si coglieva qualcosa, ho affrontato anche questa
indagine (prosciolta e archiviata ndr), Cardella oggi è lontano
dall’Italia e non gli parlo dal giorno del mio secondo arresto, l’ho
rivisto un giorno in questo Tribunale deponendo in un processo dove
lui era imputato di truffe e peculati commessi ai danni della
Comunità, e quando raccontai le sue malefatte mi diede della
“bastarda” fatto che denuncia ai giudici. Oggi fa l’ambasciatore del
Nicaragua presso i Paesi arabi, no, si badi bene, presso la Norvegia o
la Scandinavia».
Nel processo è entrata anche la vicenda del famoso fax di «punizione»
inviato da Cardella contro Rostagno. Il pm Paci lo aveva indicato come
proveniente da Publitalia, in realtà si trattava di Publimilano. In
quel «fax» Cardella dava a Rostagno dell’ingiusto, dell’ingeneroso,
del pericoloso, dopo una intervista pubblicata sul mensile King a
firma di Claudio Fava. Una intervista dove parlava di mafia e droga.
Rostagno aveva messo all’epoca il naso dentro gli affari della
massoneria segreta che teneva come tanti burattini uomini importanti
della politica, della burocrazia, delle banche, della città, fili che
entravano dentro palazzi importanti, la prefettura, la questura, ma
anche nelle case dei mafiosi. Voleva capire di più e qualcosa la
scoprì, della presenza del capo della P2 Licio Gelli a casa di mafiosi
di Mazara e Campobello, il riferimento di Gelli sarebbe stato il
capo  della mafia mazarese, Mariano Agate, l’uomo più vicino a Totò
Riina  (che all’epoca era latitante a Mazara) e ai Messina Denaro di
Castelvetrano.

Con le mani sporche di sangue. Chicca Roveri rispondendo ai difensori
dei due imputati, Vito e Salvatore Galluffo per Vito Mazzara, Giuseppe
Ingrassia e Stefano Mezzadini, non si è tirata indietro, anche alle
domandepiù dolorose, come quella sulla sera del delitto: «Mangiò,
bevve, si fece una doccia?» ha chiesto l’avv. Salvatore Galluffo, «non
mangiai certamente e non mi feci alcuna doccia – ha risposto la
Roveri  – sono rimasta con le mani sporche del sangue di Mauro fino al
giorno  del suo funerale».
Mazzara. «Credevo che indagavano sulla mafia, quando invece lessi i
verbali, mi accorsi che dipingevano in malo modo e a discredito la
figura di Mauro, quasi fosse un barbone». Chicca Roveri è stata ancora
ieri un «fiume in piena». Nel 1994 racconta di avere avuto accesso
agli atti quando ci fu la prima richiesta di archiviazione presso la
procura di Trapani: «Non c’era nulla che riguardava la mafia, non
c’era nulla che era relativo al suo lavoro di giornalista, ai suoi
editoriali, niente di niente. Quello che ritenevo essere un suo amico,
Cannas dei carabinieri, che incontrandomi mi aveva rassicurato che
era  sulla mafia che indagava, scrisse un rapporto dove la mafia non
compariva per nulla».
Ha anche ricordato come per Rostagno non era facile fare il
giornalista: «C’era un continuo verminaio che circolava in città su di
lui, si diceva che era un illuso, la peggio cosa che era un
terrorista, si parlava che con Cardella affamavano i ragazzi della
comunità, l’importante è che non si diceva che Mauro invece faceva le
indagini, parlava dei mafiosi, della raffineria di droga di Alcamo,
Mauro doveva passare per un pazzo o un fetente, ma non si doveva
parlare del suo lavoro giornalistico». E invece risultava che la gente
di Trapani alle 14 era pronta a sintonizzarsi per sentire il suo
notiziario. Non sono mancati i momenti di tensione, come quando l’avv.
Vito Galluffo ha contestato alla teste che lei della pista mafiosa
non  aveva mai parlato, il difensore ha ricevuto una risposta stizzita
della Roveri, ma ha subito l’intervento del presidente della Corte,
il  giudice Angelo Pellino, «forse avvocato – ha detto – nessuno
glielo ha  mai chiesto».
Le difese hanno cercato di portare il controesame anche su altri
terreni, le relazioni che Chicca ha pure ammesso di avere avuto con
altri uomini, ma è difficile trovare elementi in queste faccende che
possano portare al delitto, «sono stati spesso racconti scritti come
fantasticherie, vicende rappresentate come se fossero scenari da
Beatiful» ha risposto la Roveri, «tutto questo per non seguire la
pista mafiosa».

La pista per la Roveri resta un’altra, porta a Cosa nostra e ai suoi
intrecci. E l’elemento nuovo lo ha tirato fuori la Procura con il pm
Gaetano Paci che ha prodotto così quel foglio che si diceva vergato da
Rostagno, una serie di nomi incrociati, i contatti tra mafia,
massoneria e istituzioni giudiziarie e investigative. È il lavoro da
giornalismo d’inchiesta condotto da Rostagno che in quel 1988 dà
fastidio. Lo stesso pm Gaetano Paci ha formalizzato a fine udienza, ai
giudici della Corte di Assise, la richiesta di interrogare per la
seconda volta due testi, ritenuti reticenti: il generale in pensione
dei carabinieri, Nazareno Montanti, ed il luogotenente dell’Arma,
Beniamino Cannas. La procura distrettuale antimafia di Palermo ha
accertato che i due militari, autori di informative redatte su notizie
fornite da Rostagno, sentiti come testi in aula, avrebbero omesso di
parlarne. Anche di quel verbale di sommarie informazioni dove
Rostagno  parla di un incontro tra Licio Gelli ed il boss mafioso
Mariano Agate.
Così come la difesa, quasi per replicare colpo su colpo, con l’avv.
Vito Galluffo, ha anticipato che chiederà la ricitazione del ten. col.
Elio Dell’Anna, a proposito di una confidenza da questi raccolta da
un  giudice di Milano, quello che si occupava delle indagini sul
delitto  Calabresi, sul fatto che Rostagno poteva essere stato ucciso
per farlo  tacere sui risvolti di quel delitto imputato ai suoi ex
compagni di  Lotta Continua. «C’è un redazionale di Mauro che parla
chiaro – ha  detto la Roveri – dove dice che lui e Lotta Continua con
quel delitto  non c’entravano nulla».

Ucciso per qualcosa di grosso. La difesa ha poi introdotto il capitolo
su presunte responsabilità di politici nel delitto. È stato citato
un  verbale dove la Roveri affermava di avere discusso con Cicci
Cardella  su possibili trame che potevano arrivare da ambienti
socialisti a  proposito di uno scandalo (marsalese). «Si tratta di
politici che non  erano pecorelle smarrite nel bosco – ha risposto la
Roveri – non erano  soggetti singoli staccati dal contesto criminale».
Ma per lei troppo  poco per parlare di omicidio: «Ho sempre avuto la
certezza che dietro  la morte di Mauro non solo ci fosse la mafia ma
qualcosa di grosso  tanto che oggi a 23 anni siamo qui a discutere se
è stata la mafia a  ucciderlo».
Anche con l’avv. Vito Galluffo c’è stata qualche tensione. «La teste
deve sapere che questo difensore era amico di Mauro» ha detto il
legale, «ma per cortesia!» la risposta della Roveri. Il processo
prosegue il 4 maggio, quando verrà sentita Monica Serra, la donna che
accompagnava Rostagno in auto quella sera del 26 settembre 1988.

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