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28 maggio, Brescia, Piazza della Loggia. Beppe Montanti: noi non ci arrendiamo

Brescia, piazza della Loggia, 28 maggio: una manifestazione per non arrendersi. Questo l’intervento del professor Beppe Nontanti:

Cari concittadini, Autorità presenti,

Premetto che per me è motivo di grande emozione parlare oggi in questa piazza;
Credo anche che oggi saremmo più sereni e fiduciosi se l’ultimo processo sulla strage avesse dato risposte di verità e giustizia alle nostre legittime e civili richieste.
Ma sappiamo con rammarico che così non è stato.

Il 16 novembre 2010, ancora una volta, la corte di assise di Brescia ha mandato assolti tutti gli imputati della strage del 28 maggio 1974; per i giudici Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino, Pino Rauti non hanno responsabilità rispetto alla bomba.

In particolare, per la corte, in base all’art. 530, comma 2 del Codice di Procedura Penale, rispetto a Maggi sono insufficienti le prove che abbia svolto un ruolo di organizzazione e di direzione dell’attentato; Per Delfo Zorzi non esistono dati convincenti che abbia procurato l’ordigno esploso in questa piazza; per Maurizio Tramonte non ci sono elementi certi che abbia partecipato a riunioni in cui si organizzò l’attentato né che abbia dichiarato la sua disponibilità a collocare la bomba; per l’allora cap. Delfino, a giudizio della corte, non esistono riscontri a suo carico né per aver partecipato a riunioni in cui si organizzò l’attentato né che l’allora responsabile del nucleo investigativo dell’arma fosse a conoscenza del proposito di compiere un attentato a Brescia e che nulla fece perché la strage annunciata ai giornali locali non si realizzasse.

Noi siamo consapevoli, allo stato, della sentenza della corte, ma vogliamo qui manifestare la nostra amarezza e la nostra delusione per questo esito e per le motivazioni che lo giustificano; questa delusione e questa amarezza nascono dal fatto che, grazie al lavoro svolto dai P. M. , dott. Di Martino e dott. Piantoni, i 2 anni di processo, le oltre 160 udienze avevano dato la possibilità a quanti ne hanno seguito le diverse fasi, di avere un quadro molto preciso e chiaro dei rischi che corse la nostra democrazia tra la fine degli anni ‘60 e la metà degli anni ’70 dello scorso secolo.

Sono passati come testi davanti alla corte esponenti dell’estremismo di destra di allora, di Ordine Nuovo, della Fenice, delle SAM milanesi; essi hanno chiarito gli stretti rapporti tra ordinovisti veneti e milanesi e come anche Brescia non fosse immune da questi rapporti, di gruppi che praticavano la violenza, gli attentati e le bombe come strumenti di lotta politica.

Abbiamo sentito con le nostre orecchie Maurizio Zotto ricordare la frase che Tramonte pronunciò ad Abano Terme, uscendo da una riunione dalla casa di Giangastone Romani, il 25 maggio 1974, 3 giorni prima della strage di Brescia: “Questi sono tutti pazzi”. Quella sera Maggi, Romani, altri 2 camerati della zona di Venezia, si riunirono per definire qualcosa di grosso: “l’organizzazione opererà con la denominazione Ordine Nero sul terreno dell’eversione violenta, contro obiettivi che verranno scelti di volta in volta”. Questo lo abbiamo sentito, questo lo abbiamo letto nelle veline di Tramonte, la fonte Tritone, veline redatte dal maresciallo del Sid di Padova, Felli. Quella sera, secondo noi, si decise della bomba da mettere in piazza della Loggia.

Nella stessa velina dell’estate del 1974 il maresciallo Felli scrisse: “la mattina del 16 giugno, un giovane di Mestre, collaboratore del dott. Maggi, si era recato a Brescia per incontrarsi con alcuni camerati”. Per noi rimangono incomprensibili i motivi per cui Maggi avvertì la necessità, se non interessato in qualche modo alla strage, di avere una relazione su quanto succedeva a Brescia in quei giorni.

Ancora, abbiamo ascoltato le deposizioni di alcuni servitori di allora dello stato, a distanza di 36 anni tuttora reticenti e non convincenti; in particolare la deposizione del generale Maletti, capo dell’ufficio Informazioni del SID; del maresciallo Felli, del centro servizi informazioni di Padova che curava la fonte Tritone, cioè Maurizio Tramonte, infiltrato in Ordine Nuovo; del maresciallo Siddi, del nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia, responsabile della raccolta dei reperti la mattina della strage in piazza; dell’appuntato Sandrini, sempre del nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia, a proposito della perquisizione in casa di Silvio Ferrari, giovane terrorista nero bresciano, ucciso il 18 maggio 1974, in piazza del mercato, dallo scoppio della bomba che trasportava sulla sua vespa. Troppe le omissioni, troppi i non ricordo, le incongruenze, le risposte non convincenti se non ambigue di questi servitori dello Stato, tesi oggi solo a minimizzare il loro ruolo e a dimenticare.
Credo che anche questo loro atteggiamento abbia contribuito a non aprire squarci di verità sulla strage che oggi qui noi ricordiamo.
Il prof. Aldo Giannulli è stato consulente dei PM in questo processo e alla lettura della sentenza ha espresso valutazioni molto negative a proposito delle stragi fasciste : mentre nei riguardi del terrorismo rosso, dichiara,  si è arrivati ad una verità processuale, rispetto al terrorismo nero questo è stato possibile solo in pochi casi: la strage di Peteano 31 Maggio 1972, quella alla questura di Milano, 17 Maggio 1973, e quella alla stazione di Bologna, 2 Agosto 1980; per il resto il buio più totale: piazza Fontana, Gioia Tauro, Brescia, treno Italicus restano stragi senza colpevoli.

Nel processo di Piazza Loggia, continua lo storico, ha influito il tempo passato: dopo quasi 40 anni i testimoni muoiono o non ricordano, le prove materiali deperiscono e tutto diventa più difficile. Eppure, le inchieste della Magistratura avevano comunque raggiunto risultati importanti che avrebbero potuto portare alla condanna almeno di alcuni degli imputati.
Ma ciò non è accaduto per un insieme di ragioni.

A giudizio di Giannulli, la magistratura giudicante tende spesso ad uniformare i propri verdetti alla vulgata corrente: le sentenze coraggiose rischiano di essere riformate in appello o in cassazione. Il modo migliore per evitare impicci e fastidi è quello di trovare nelle pieghe del processo la comoda scappatoia dell’ insufficienza delle prove”.

A leggere le motivazioni che seguono la sentenza del 16 novembre 2010, 435 pagine, delle quali 244 di copia ed incolla di atti processuali, a prima vista quanto dichiarato dallo storico Giannulli penso si possa riferire anche a questo nostro ultimo processo di Brescia.

Noi vogliamo augurarci, però, che il prof. Giannulli si sbagli;
noi vogliamo sperare ancora in una magistratura, nella fase dell’appello, di grande scrupolo professionale, capace di valutare correttamente gli atti di questo processo appena concluso: noi siamo convinti che in questi atti ci siano le prove di colpevolezza degli imputati.
Lo pretendiamo per gli 8 nostri concittadini che persero in questa piazza la loro vita 37 anni addietro;
lo chiediamo per i loro familiari,  che da troppo tempo attendono giustizia, e per questa nostra città, Brescia, ferita ed offesa nella sua pacifica convivenza.

Lo pretendiamo, infine, per la Democrazia del nostro paese, troppo a lungo vigilata e condizionata nelle sue scelte da poteri forti ed oscuri; venire a capo della strategia della tensione, scoprire sul piano giudiziario i colpevoli delle bombe di Piazza Fontana 12 dicembre 1969, della Strage di Gioia Tauro, 22 luglio 1970, anche lì 6 morti, 70 feriti, sepolti da un colpevole oblio, di Piazza Loggia, 28 maggio1974, del treno Italicus, 4 agosto 1974, vorrà dire non avere più scheletri negli armadi, fare i conti con il proprio passato, rendere più forte e trasparente la Nostra Democrazia.
Noi non ci arrendiamo e continueremo ad essere qui, in questa piazza, il 28 maggio finché giustizia non sarà fatta.

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