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Lars von Trier e le sue provocazioni nazi, nate in un paese dal passato grigio e che oggi sospende Schengen

Perché Lars Von Trier “gioca” così col nazismo? Per pura provocazione? Forse. Però perché questo danese, per quanto anomalo e fuoriditesta, si permette tutto ciò? In che paese vive?

La Danimarca propone oggi al mondo una situazione politica piuttosto mediocre. Da tempo è regno di una destra antieuropea la cui ultima sortita è stata la sospensione di Schengen, decisione passata purtroppo quasi inosservata, sollecitata dall’estrema destra del Partito del popolo danese (Ppd).

Ma il vero problema è anche e forse un passato irrisolto, quello che cela nonostante una forte resistenza antinazista anche un deciso collaborazionismo che ha avuto il volto di governanti come Erik Scavenius.

Com’è andata infatti con il nazismo?

Nell’aprile del 1940 il governo danese accettò in pochissimo tempo l’ultimatum tedesco. La Danimarca ottenne in cambio una formale indipendenza territoriale: il re, il gabinetto e il parlamento mantenevano la propria posizione istituzionale. Questa forma di dominio permetteva ai tedeschi di offrire al mondo un volto “più umano” del Reich, smentendo parte della propaganda nemica che accusava Berlino di adottare metodi disumani.

In Danimarca, l’uomo forte fu scelto nella persona di Cecil von Renthe-Fink: costui svolse un difficile compito a metà strada tra le aspirazioni danesi e l’autoritarismo di Hitler.
Nella mente di Hitler, il re Christian X andava deposto quanto prima. Von Renthe-Finke durò poco, così come il generale della Wehrmacht dislocato in Danimarca, Erich Lüdcke.

Il passo successivo fu l’invio nella penisola scandinava di due ufficiali nazisti, Hermann von Hanneken e Werner Best. “I danesi – spiegò subito Best – si adegueranno al nuovo ordine in Europa come hanno fatto gli islandesi con il cristianesimo. Non è stato il risultato di un’azione di propaganda o di forza, ma la presa di coscienza di un fatto inevitabile”.

Le pressioni di Best portarono ad un rinnovamento del governo danese: esautorato il premier socialista Vilelm Buhl, un nuovo alleato si presentò nella persona di Erik Scavenius, ministro degli esteri apertamente filotedesco. Queste particolari relazioni “a maglia larga” tra Copenaghen e Berlino durarono a lungo, fino al 1943, quando Best arrivò a permettere libere elezioni parlamentari nel paese, unico caso nella storia del nazismo. Si trattò di elezioni perfettamente libere, tanto che il partito filonazista di Fritz Clausen ottenne un misero 3 per cento dei voti (nella foto Scavenius a sinistra con Best).

I danesi però  non si erano mai rassegnati a “morire tedeschi”: alcuni scioperi agitarono le piazze e poi si verificarono diversi sabotaggi contro le forze tedesche d’occupazione. A quel punto Best fu convocato a Berlino, dove si beccò una dura lavata di capo da von Ribbentrop, il suo superiore diretto.

Tornato a Copenaghen, Best sciolse subito il Parlamento danese, mise sotto sorveglianza il Re, disarmò l’esercito e la marina, impose la legge marziale. E in questo scenario prese corpo la resistenza danese

Prima però c’è stata una lunga fase grigia che ancora pesa nella coscienza della Danimarca. Una fase piena di fantasmi che forse permette a un provocatore sufficientemente fuoriditesta come Von Trier di dichiararsi ammiratore dell’architetto Albert Speer, sì il gerarca che a Norimberga si beccò vent’anni di carcere. Von Trier è purtroppo figlio di un revisionismo scellerato che trova terreno di coltura in quella destra oggi al potere in Danimarca.

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