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Lenzi, intitolata a Mauro Rostagno la strada dell’agguato. E Valderice gli dedica una stele

Rino Giacalone ha creato il documento “Delitto Rostagno: 22 anni per avere il processo, l’intitolazione di una strada, una stele là dove lo hanno ucciso”

di Rino Giacalone

Lenzi. È la strada che la sera del 26 settembre 1988 percorse per l’ultima volta Mauro Rostagno guidando la sua Fiat Duna bianca. In fondo, a pochi metri dall’ingresso della comunità Saman, c’erano i killer ad attenderlo. Gli spararono due volte, la prima per fermarlo, la seconda volta per finirlo. Ci sono voluti 22 anni ma adesso questa strada reca il nome di Mauro Rostagno per decisione dell’amministrazione comunale di Valderice. Più avanti per volontà ancora del Comune di Valderice e della Provincia regionale, ieri è stata inaugurata anche una stele in marmo, laddove era stata piantata una palma, che non è sfuggita al terribile «punteruolo rosso», dai ragazzi di Saman, una palma per ricordare il sociologo e animatore della comunità. Ci sono voluti 22 anni perchè qualcuno si scrollasse di dosso l’apatia e il disinteresse per un delitto che la mafia voleva, pretendeva, aveva ordinato che non interessasse mai nessuno. «Un delitto per questione di corna» disse il capo mafia di Mazara Mariano Agate (secondo il racconto del pentito Angelo Siino) incontrando i suoi «uomini d’onore» all’interno della propria azienda di calcestruzzo alcuni giorni dopo l’omicidio. Agate era il “bersaglio” degli interventi televisivi di Rostagno che il nome di Agate lo aveva incrociato anche nelle trame delle logge segrete, e nei tavoli dove andò a sedere ricevuto in pompa magna dai mafiosi, il capo della P2 Licio Gelli, in quegli anni ’80 quando si diceva che la mafia non esisteva mentre sporcava di sangue le strada. E per quasi 22 anni il passaparola funzionò bene, ucciso per «questione di amanti e di tradimenti». Tanto che se ne sente ancora parlare nell’aula della Corte di Assise dove da febbraio è invece cominciato il processo che vede alla sbarra due conclamati mafiosi, Vincenzo Virga, capo del mandamento di Trapani, presunto mandante, e Vito Mazzara, presunto killer. Delitto di mafia dice ora la Dda di Palermo e l’ordine arrivò da Castelvetrano dalla casa del patriarca della mafia belicina Francesco Messina Denaro. Ciccio Messina Denaro aveva fatto uccidere un suo figlioccio, Lorenzo Santangelo, per una partita di droga sparita, figurarsi se poteva permettersi quel giornalista che non faceva altro che denunziare la mafia e i suoi affari da quella tv che apparteneva peraltro ad un imprenditore, Puccio Bulgarella, che con i mafiosi aveva (racconta sempre Siino) un conto aperto per pizzo non pagato.

Doveva essere dimenticato Mauro Rostagno perchè in città aveva fatto «troppo chiasso» dagli schermi di Rtc. E se non fosse stato per l’associazione «Ciao Mauro» forse Cosa nostra ci sarebbe riuscita. E invece ci sono state le oltre 10 mila firme raccolte che hanno sollecitato gli investigatori e la Procura di Palermo a tentare e cercare nuove vie per l’indagine. Scoprendo che in 22 anni la perizia balistica non era stata fatta su quelle cartucce trovate quella sera di settembre sulla strada che ora porta il nome di Mauro Rostagno. Merito questo che va riconosciuto all’ex capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares e ad un brigadiere vecchio stampo, Nanai (Leonardo) Ferlito.

Ieri i due momenti sono serviti a ricordare il sacrificio di un uomo prima, sociologo e giornalista poi, che per il suo impegno ha sacrificato la cosa più importante, la sua stessa vita. Il sindaco di Valderice Camillo Iovino, il presidente del Consiglio provinciale Peppe Poma, il presidente della Provincia Turano, il sindaco di Paceco Biagio Martorana, presenti anche consiglieri comunali e provinciali, hanno segnato le presenze istituzionali, la dicitura «vittima di mafia» scritta sulla stele è stata una risposta a chi non voleva che Mauro fosse riconosciuto tale. Ci sono voluti 22 anni ma ieri le istituzioni, con il presidente Poma, hanno riconosciuto che «Rostagno fu ucciso per avere denunciato il malaffare». Non ha mancato di ricordare come all’odierna iniziativa si è giunti grazie alla proposta iniziale del consigliere provinciale Giuseppe Ortisi: «Ci siamo riusciti – dice Ortisi – anche se a qualche collega la dicitura “vittima della mafia” non è tanto piaciuta».

«Abbiamo il dovere di perpetuare la memoria dei nostri concittadini, oggi per Mauro Rostagno che ha vissuto nel Comune di Valderice è arrivato questo momento» ha detto il sindaco Iovino. «È importante per le future generazioni il perpeturasi della memoria» ha detto il presidente Turano.

Il «freddo marmo» della stele, come chiosa l’associazione «Ciao Mauro» è stato «umanizzato» da un giovane che ha parlato, più dei politici, quasi a prendersi una giusta rivincita, ai tanti giovani presenti, la colonna sonora della manifestazione è stata segnata da «Azzurro».

Non sono mancate le polemiche. Un gruppo di giovani comunisti ha alzato uno striscione chiedendo che vadano via dalle istituzioni «gli indagati». «Sono sicuro – ha detto Francesco Bellina – che Rostagno non avrebbe gradito la presenza alla cerimonia del sindaco di Valderice, Camillo Iovino, accusato di favoreggiamento all’imprenditore mafioso Tommaso Coppola». Il sindaco di Valderice è attualmente sotto processo nell’ambito di un dibattimento dove si sta discutendo del tentativo dell’imprenditore Coppola (condannato per avere pilotato appalti per conto della mafia) di sottrarre al sequestro il suo impero economico, anche un residence turistico realizzato facendo una truffa allo Stato. E’ l’indagine dove Coppola in carcere viene sentito dire al nipote che lo va a trovare all’ora dei colloqui di parlare con Camillo (IOvino ndr) e con il senatore D’Alì. Ce ne è dunque materiale per muove distinguo, basta solo ricordare che il Consiglio provinciale che ha votato la proposta per la stele è lo stesso Consiglio dove siede un consigliere di Alcamo, Pietro Pellerito, condannato a 6 anni per falso, per avere permesso che un incidente sul lavoro occorso ad un lavoratore dipendente di un imprenditore mafioso, all’ospedale di Alcamo, dove lavorava, venisse dichiarato come incidente stradale. Pellerito invitato alle dimissioni ha reagito dicendo che se le dimissioni gliele avessero ancora chieste avrebbe denunciato tutti alla procura per estorsione. Ma queste sono altre storie.

«Il “sentire” della nostra comunità – dice l’associazione “Ciao Mauro” – ha prevalso con rigore, consentendo anche a chi non era d’accordo, di essere presente esprimendo il proprio disaccordo». Ma la cosa alla quale l’associazione tiene di più a dire è quella che «la manifestazione è stata organizzata grazie al volontariato e dell’associazionismo. Preferiamo le cose fatte a quelle non fatte, questa è una cosa fatta. Noi pensiamo che nonostante tutto, sia stato giusto porre questo segno, perché ciò che resterà nel tempo, ciò che leggerà chi passerà da questo luogo tra qualche centinaio di anni sarà l’unica tragica verità sulla morte di Mauro: “vittima di mafia”».

Le parole che più hanno richiamato attenzione sono state quelle di Sandro Tosto, studente valdericino: ha ricordato a tutti un dovere costituzionale, così come era inteso da Mauro Rostagno, «quello di schierarsi dalla parte dei meno ricchi, dei più deboli». Era questo il richiamo che bisognava fare risuonare, assieme a quello dell’etica e della morale, ai politici, presenti e assenti.

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