Informazioni che faticano a trovare spazio

Monica Serra, la sera in cui è stato ucciso Mauro Rostagno

“Delitto Rostagno: così lo hanno ucciso La testimonianza di Monica Serra “, di Rino Giacalone.
“Nel 1988 aveva 25 anni. Chi la ricorda, ha la memoria di una ragazzina vivace, acqua e sapone come si dice, magrolina, svelta nel comprendere le cose, faceva l’apprendista giornalista, lei che a Saman era arrivata con un figlio già da crescere, in un momento difficile della sua vita. La cognata che già era a Saman le aveva parlato di quella comunità, delle cose belle che si facevano, che lì avrebbe potuto trovare un momento di riflessione per superare le cose brutte della vita. E così era arrivata a Lenzi. Sapeva che tra le attività c’era quella del giornalismo e lei desiderava conoscere quel mondo. Un giorno la chiamò Chicca Roveri, che sulla scheda di presentazione aveva letto di questa sua predisposizione, e le disse che sarebbe andata con Mauro Rostagno in tv, a Rtc. Una esperienza durata poco, il tempo di vedere qualche montaggio, di ascoltare e partecipare al confezionamento di qualche edizione di telegiornale, un paio di interviste, seguire Mauro in una sua missione  “investigativa” a Marsala, che quel mondo di impegno e spensieratezza le è stato spezzato la sera del 26 settembre del 1988 sulla strada di ritorno da Nubia, dalla sede di Rtc, tra Trapani e Paceco, a pochi metri dalle saline trapanesi, a Lenzi, una campagna distesa tra la montagna di Erice e la collina di Valderice, dove c’era l baglio sede della comunità Saman. Lei al solito sedeva affianco a Rostagno che guidava la sua Duna bianca, stava con i piedi sul cruscotto, spensierata, parlava di quello che si era fatto, di quello che si sarebbe fatto, pensava che di lì a poco avrebbe rivisto il figlioletto che come ogni giorno aveva lasciato alla cognata. E di colpo invece quei colpi sordi, i vetri dell’auto in frantumi, il sangue sul maglione di Mauro, altri colpi, la morte, il ruomore di sportelli che si chiudono e di un’auto che va via. Lei corre via va verso la comunità, corre a piedi, c’è chi le va incontro, dice che c’è stato un incidente, la raggiungono Chicca Roveri, e poi Maddalena, la compagna e la figlia di Mauro, anche a loro dice un incidente, Chicca le chiede se Mauro ha avuto un infarto, lei le risponde indicandole dov’è l’auto. Un incidente. Ma non lo dice per cominciare da quel momento a nascondere la verità, lo dice per lo choc che ha subito, per l’impressione della morte che le è passata accanto, per la paura che anche lei poteva essere uccisa se Mauro non le avesse detto di mettersi giù, sotto al cruscotto per ripararsi dai colpi. Non è reticenza, le è mancato il coraggio di annunciare a Chicca per prima che Mauro era stato ucciso. Oggi di anni ne ha 48, ed è una donna matura, un po’ appesantita, ancora si porta dentro la paura. Che non è solo quella della morte che l’ha sfiorata ma anche quella di essersi trovata sotto accusa, arrestata, sospettata di avere dato una mano a chi uccise Mauro. Di avere visto chi aveva sparato ma di averne taciuto i nomi. Ha dentro un’altra paura, quella che la giustizia possa ancora colpirla, ingiustamente, fare, moralmente, quello che i killer di Mauro magari non sono riusciti a farle fisicamente. Lei è Monica Serra, la ragazza che il 26 settembre 1988 era con Mauro in auto mentre i sicari mafiosi sparavano.

Ieri è comparsa come testimone nell’aula della Corte di Assise di Trapani dove si stanno processando il presunto mandante del delitto, Vincenzo Virga, e il presunto esecutore, Vito Mazzara. Lei è comparsa in aula vestita di una lunga tunica, capelli raccolti, della ragazza di allora sono rimaste le lentiggini sul volto.  Non ha voluto essere ripresa perché, si è capito, vorrebbe restare fuori da quel circuito dell’informazione nel quale si è sentita anche stritolata. Sui giornali sul suo conto era uscito di tutto, a poche ora da delitto si scrisse che lei aveva visto i killer, forse li aveva riconosciuti, poi col passare degli anni si scrisse che lei forse aveva fatto da complice per il delitto. Davanti alla Corte di Assise ha spiegato dell’ansia e della paura che la pervasero, e ancora ieri era come spaventata. «Sono stata sempre pronta a testimoniare, la giustizia con la quale volevo collaborare invece mi ha portato in carcere».

A molte domande ha risposto con dei «non ricordo» quasi suscitando fastidio anche negli stessi pm, nelle difese, nei giudici. Ma ha spiegato che dopo 22 anni è difficile ricordare, anche gli stessi momenti del delitto, lei giovanissima ch si trovò sotto il fuoco dei sicari. Uno choc che si porta ancora dietro. Non era reticenza e alla fine si è compreso che la sua non era una voglia a nascondere. Si è adirata invece quando dalla difesa si è sentita fare domande sulle relazioni d’amore dentro la comunità, «ma posso fare io una domanda – ha detto ad un certo punto rivolta all’avv. Ingrassia, difensore di Virga – ma tutto questo col delitto cosa c’entra?».

«Hanno fatto in modo, ponendo domande suggestive, che io dicessi che c’era qualcuno che ci aspettava la sera dell’agguato». Ha detto che, nel corso degli anni, gli investigatori avrebbero cercato, a volte, di condizionare la ricostruzione da lei fornita sulla dinamica dell’agguato. Serra ha specificato di avere invece sempre sostenuto che, mentre «l’auto era in marcia, sono stati esplosi dei colpi di fucile dal retro». Versione confermata anche oggi in aula. «Dopo i primi colpi chiesi a Rostagno se andava tutto bene e lui mi rispose “sì non ti preoccupare, ma stai giù”». A quel punto la donna ha detto di essersi rannicchiata sotto il cruscotto e di aver udito, subito dopo, altre due detonazioni molto forti, provenienti dal lato sinistro. «Sono scesa dall’auto per chiedere aiuto solo quando ho sentito un’auto partire a gran velocità».

C’era lei quella sera del 26 settembre 1988 con Rostagno. Da una settimana lavorava a Rtc, mattina e sera era sempre lo stesso tragitto che facevano tutti e due assieme, con la stessa auto: «Ero contenta perchè era quello che volevo fare, andare a lavorare in televisione». Rostagno non correva mai, guidava con prudenza, andatura normale anche quella sera. Il suo racconto sulla scena del delitto è toccante: «Io tenevo i piedi sul cruscotto al solito, d’improvviso ho sentito dei colpi e i vetri in frantumi del lunotto posteriore che si diffondevano per la macchina, ho guardato Mauro ho sentito la macchina avere un paio di sussulti e fermarsi. Ho visto il maglione che indossava, bianco, sporcato di sangue all’altezza della spalla destra, gli ho chiesto se stava bene, mi rispose dicendo di stare giù, ed in quel frangente mentre mi mettevo sotto al cruscotto immaginavo, non sentendo più sparare, che saremmo tornati a Rtc per dare la notizia, fare lo scoop, e invece ho sentito altri due colpi, più vicini, dalla parte dello sportello di Mauro. Sono rimasta giù, mi sono mossa e sono scesa dopo avere sentito il rumore di un’auto che faceva retromarcia e poi l’ho sentita allontanarsi, avevo anche sentito i rumori di sportelli che si chiudevano». Il racconto è proseguito. «Sono scesa sono corsa verso la comunità, dapprima ho incontrato uno dei sorveglianti, poi ho cercato Chicca, le ho detto che c’era stato un incidente, lei mi chiese se Mauro aveva avuto un infarto. Chicca si allontanò e salendo sopra incontrai Maddalena anche lei mi chiese del apdre e dissi anche lei che c’era stato un incidente».

Su questo particolare è stata come contestata dalle parti, come c’era stato un omicidio e lei parlava di incidente? «Forse l’ho fatto per proteggermi e proteggere Chicca e Maddalena, non me la sono sentita di dire la verità».

Se in quei giorni a Rtc e a Rostagno era accaduto qualcosa in particolare, lei ha ricordato di una «missione» a Marsala. «Mauro si occupava di uno scandalo accaduto a Marsala e incontrò un giorno, il sabato precedente il delitto, un sindacalista (della Cisl ndr), Nino Santoro. Rostagno ricordo che mi disse “adesso ho capito perchè è uscito questo scandalo”». Monica Serra dice di non ricordare con esattezza, c’è però un suo verbale del maggio 1990: lei allora riferì che Rostagno le aveva detto che c’era coinvolto un appartenente ai carabinieri, forse un maresciallo o un colonnello, si limitò a dire adesso ne vedremo delle belle». Il verbale infatti proseguiva facendo cenno alla corruzione di un brigadiere dei carabinieri, un carabiniere che non fu pagato «e per questo venne fuori lo scandalo».

Ma i ricordi di Monica Serra sono stati anche altri: «Cardella (Francesco l’ex guru della comunità ndr) aveva chiesto a Mauro di non esagerare perchè stava denunciando tanto». E su Cardella: «Non l’ho visto molto in comunità, veniva ogni tanto, e guardava tutti dall’alto, una figura quasi ascetica, veniva servito dentro il “Gabbiano” la residenza dei dirigenti della comunità, mentre spesso Mauro e Chicca pranzavano e cenavano con tutti gli altri».

I pm Paci e Del Bene hanno chiesto se ricorda di una cassetta sulla scrivania di Rostagno con su scritto non toccare. «Si, mi sembra che c’era, poi ne ho sentito parlare, ma ho anche pensato che poteva essere una cassetta senza importanza, mi sembrava normale che sulla scrivania di una persona ci possa essere qualcosa con la scritta non toccare».

Poi è tornata a ricordare i giorni successivi al delitto. E in scena è tornato quel Nino Santoro che poche ore prima del delitto aveva parlato di scandali e robacce varie con Mauro Rostagno. Santoro all’indomani del dleitto la andò a trovare: “Mi chiese se avessi riconosciuto i killer. Mi spaventai della domanda e raccontai il fatto al pubblico ministero Messina”. Non vedeva il momento di andare via e questo avvenne quando il padre la andò a prendere e portare via da Lenzi.

Il racconto dell’agguato lo ha dovuto ripetere diverse volte in aula rispondendo anche alle domande dei difensori degli imputati. “Io quella sera non ho visto nessuno, non ho visto ostacoli davanti a noi, Mauro al solito guidava piano, all’angolo della stradina c’era una bambina lui era senza occhiali e mi chiese se era Kusum, sua figlia, no gli risposi, non è lei, non ho sentito macchine che ci inseguivano o visto auto che potevano essere davanti, oggi non ho ricordi nitidi, ma subito ho raccontato ogni cosa ai carabinieri e quindi le cose scritte sui verbali nell’immediatezza sono quelle che ho vissuto in prima persona ed ho riferito”. I colpi sono arrivati improvvisi, “nella mia incoscienza pensavo che saremmo tornati a Rtc a raccontare dell’agguato, ma sono arrivati altri colpi, due forse, più vicini, quelli che uccisero Mauro”. Con le loro domande le difese sono tornate a indagare su quello che avveniva dentro la comunità in quegli anni. Le relazioni sentimentali che si intrecciavano, i tradimenti, le gelosie. Invece delle armi e delle possibili vere ragioni del delitto si è parlato di quello che poteva avvenire a letto. Gli amanti di questo o quella. “Ma che c’entra tutto questo col delitto”ad un certo punto è sbottata ei che ha detto di avere rimosso anche le storie che lei poteva avere avuto. “Volete sapere perché lo hanno ucciso? Leggete le cose che diceva ogni giorno”. E poi arrivò la storia di quello scandalo scoppiato a Marsala, tangenti e carabinieri corrotti all’epoca in cui Marsala era governata da uomini del Psi, uomini vicinissimi al vertice nazionale.

In altra udienza era venuto fuori che Cardella, il guru, si era rivolto dopo il delitto a Claudio Martelli per sapere se col delitto c’entrava la storia di questi scandali dei quali Mauro Rostagno parlava ogni giorno in tv: “Ladri si ma assassini no” gli avrebbe risposto Martelli”.

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