Informazioni che faticano a trovare spazio

La grandine di Enzo Del Re

Riprendo da Sergio Martin, presente al funerale di Enzo Del Re, questa cronaca.

Questa mattina ho guardato l’auto incredulo. Tutta butterata. Piccoli ma profondi incavi sul tetto e sul cofano, anche negli angoli più duri dei bordi. E sul cofano anche il segno di un taglio alla vernice. Effetto della grandine che ieri ha colpito il sud barese, tra Polignano e Mola di Bari. E’ caduta all’improvviso ed è durata una mezz’ora. Il primo sasso l’ho ricevuto mentre mi preparavo a riprendere la bara uscire dalla Chiesa (attenzione… ci torneremo!) ed ho pensato fosse un calcinaccio del fronte romanico. Ho guardato in alto pensando al delicato patrimonio di quelle pietre scolpite ma subito dopo ero già al lavoro. La bara ha sceso le scale della Chiesa e tra gli applausi commossi della piazza Enzo è entrato nell’auto del servizio funebre. Pochi minuti, per noi lunghissimi, tra lacrime, pugni chiusi, bandiere rosso nere dell’anarchia e il gesto bellissimo di un ragazzo che sollevava una sedia come fosse un vessillo. Tu e la tua sedia, Enzo, vi siete incamminati. Il cofano si è chiuso e il corteo si è formato dietro. Pochissimi passi, nemmeno due metri, e gli ombrelli si sono aperti, il corteo ha resistito e un secondo dopo è caduta dal cielo la tua ira, Enzo. L’operatore RAI si è subito rifugiato in un negozio della strada, io avrò resistito due secondi in più. Ho sentito prima un tonfo sulla mia telecamera e poi un sasso di ghiaccio ha colpito la lente sull’occhio destro dei miei occhiali. Un’ira terribile. Poco dopo eravamo tutti consapevoli che era l’ultimo saluto di Enzo.  Ti ho riconosciuto ed ho gridato forte al cielo, da sotto una pensilina che ci salvava dal peggio: “Dai Enzo!”. E la grandine rimbalzava furiosa sui tetti delle auto e sul selciato di chianche. Un rumore assordante e una ritmica che era tutta la tua: vecchio e giovane rapper, bluesman delle nostre terre. Ci hai suonato le ultime note e la piccola folla ti ha riconosciuto. In quei sassi di ghiaccio, che qualcuno divertito raccoglieva da terra, c’era la stessa espressione con cui talvolta mi accoglievi, ora per un ritardo ora per una regola non rispettata del tuo preciso protocollo di vita. Duravano poco quei momenti e dopo tornava il sereno e la voglia di fare e fare bene. Mi mancheranno e mancheranno a tutti i tuoi “compagni” ed anche agli amici e ai tuoi famigliari. Ma tu ce ne hai lasciato il ricordo, il segno sulla pelle: delle nostre auto! Ora in tanti ci si è chiesti cosa ha scatenato la tua ira. Per me valgono tutte e tre, quante io ne ho contate oggi. Per i parenti è stata la loro decisione di portarti in Chiesa (ecco perché, divevo prima, sarei tornato sull’argomento). Di certo tu non l’avresti voluto e loro increduli si dicevamo “abbiamo sbagliato, avete visto? e poi dici che non esiste…”. Paradossi della fede. Io capisco la loro necessità di darti un ultimo caloroso abbraccio con la benedizione in Chiesa. Come erano contenti di averti ospite la domenica o nelle feste laiche (le altre ti rifiutavi di celebrarle e quindi anche di festeggiarle con loro). E magari al contempo di sentire le tue imprecazioni. L’amore va oltre e tu sapevi farlo capire. Soprattutto con le tue canzoni. Per altri invece, quella grandine era stata la tua ultima suonata ma per altri ancora era la vendetta per averti fatto fare il tuo ultimo viaggio in auto. Tu “pedone per scelta esistenziale” (definizione curatissima, come tutte le tue, con cui mi hai chiosato la tua rabbia sull’argomento) volevi rimproverarci per questo affronto: DOVEVAMO PORTARTI SULLE SPALLE E A PIEDI. HAI RAGIONE ENZO! L’auto del servizio funebre ha temuto, proseguendo, di rompersi il tergicristallo e si era rifugiata anch’essa da qualche parte. La mia era parcheggiata sul lungomare e tu me l’hai segnata. Sei stato filmato e fotografato in quell’auto.  Ti abbiamo portato da Mola a Sanremo per il premio Tenco, e poi ancora da Mola a Roma per il Primo Maggio, lungo le colline toscane per trovare i vecchi amici Nissim. Non era un’auto Enzo, era un piccolo pulmino con cinque persone intente a raccogliere le tue memorie anche durante il viaggio. Tu accanto a me, che guidavo e ti intervistavo, a raccontare senza sosta ma ancora di più a spiegarci l’importanza di ogni parola, di ogni lessico. Ora quell’auto porta con se per sempre il battere del tuo cuore. Piccoli colpi scolpiti. Come sulla tue sedia! Grazie Enzo.
Bari, 8 giugno 2011

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