19 luglio, la strage di Borsellino: ora i giudici di Caltanissetta dicono che il killer fu Graviano e depistatori poi tre alti funzionari di ps
lunedì, 18 Luglio, 201119 luglio, diciannove anni fa un’autobomba spazzava via a Paloermop in via d’Amelio  la vita di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta:  Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Quel giorno dal posto dell’attentato fu sottratta dai carabinieri l’agenda rossa del magistrato. Per questo è nato il movimento Agende Rosse.
Di nuovo quest’anno Salvatore Borsellino, fratello del magistrato, diffida lo stato dall’essere presente alla commemorazione alla quale sono venuti per essere presenti migliaia di giovani da tutta Italia.
La posizione di Salvatore viene confermata da quanto sta emergendo dall’inchiesta dei giudici di Caltanisetta, che hanno individuato tre poliziotti depistatori nelle indagini successive all’attentato.  A uccidere è stato Giuseppe Graviano, si apprestano a dire i giudici inquirenti, ma ci fu subito dopo una grande opera di depistaggio in cui sono stati attivi funzionari dello Stato.
Qui di seguito l’articolo online del collega Alfio Sciacca su corriere it del 18.7.2011:
Il 19 luglio si celebrano i 19 anni dalla morte di Paolo Borsellino. E mentre a Palermo si prepara la commemorazione alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini e del ministro dell’Interno Roberto Maroni (il Corriere.tv trasmetterà l’evento in diretta streaming a partire dalle nove), si avvicina la verità sulla strage di via d’Amelio.
LE INDAGINI SULLA STRAGE – Si dovrebbe però parlare di almeno «due verità possibili» e di almeno un tentativo di depistaggio. Dalle indiscrezioni che trapelano dalla Procura di Caltanisetta, che sta conducendo l’ultima inchiesta sull’uccisione del magistrato e dei cinque agenti di scorta. Sullo sfondo, come unica certezza, resta la pista della trattativa, l’accordo tra Stato e Mafia che il braccio destro di Giovanni Falcone, ucciso pochi mesi prima, avrebbe scoperto alla fine di giugno 1992, mettendosi forse di traverso. Per questo la sua eliminazione sarebbe stata affrettata. Il procuratore nisseno Sergio Lari si appresterebbe infatti a concludere sulla base di queste ipotesi le indagini che porteranno alla richiesta di revisione del processo per alcuni condannati con sentenze definitive. La svolta, attesa per settembre, dovrebbe coinvolgere anche investigatori – tre sono iscritti nel registro degli indagati per falso e calunnia – che avrebbero pilotato le accuse di Vincenzo Scarantino, il collaboratore di giustizia della prima ora smentito prima da Gaspare Spatuzza e poi da Fabio Tranchina, fedelissimi di Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio che avrebbe organizzato l’attentato premendo perfino il telecomando per innescare l’auto-bomba.
IL DEPISTAGGIO – L’ombra del sospetto si allunga intanto sul gruppo di investigatori, guidati da Arnaldo La Barbera, questore morto nel 2002, che per Lari avrebbe allestito un «colossale depistaggio». Tre funzionari risultano attualmente indagati, ma l’indagine tocca altri investigatori tra cui il poliziotto che avrebbe alterato un verbale del 1994. Accanto alle dichiarazioni di Scarantino sono state trovate le annotazioni di un poliziotto che avrebbe svolto, si sospetta, un ruolo di «suggeritore». Ma è tutto l’impianto accusatorio basato sulle indagini del pool di La Barbera a essere smentito su molti punti dalla Procura di Caltanissetta e dalle rivelazioni di Spatuzza considerato un collaboratore attendibile. I nuovi indirizzi dell’inchiesta stanno insomma delineando quella che il procuratore Lari definisce una «deriva istituzionale».
IL DESIDERIO DI VERITA’ – «Vorremmo capire chi e perchè ha organizzato il depistaggio», dice Manfredi Borsellino, il figlio del magistrato che ora dirige l’ufficio di polizia di Cefalù. «Nella ricerca della verità è ora necessario – aggiunge – che si vada fino in fondo, e noi saremo vigili e attenti». L’altro fratello del magistrato ucciso, Salvatore, ha guidato lunedì sera i giovani del movimento Agende rosse in un corteo che ha ufficialmente aperto le celebrazioni per commemorare il magistrato morto per il suo impegno antimafia: «Ragazzi che vengono da tutta Italia – ha spiegato il fratello di Paolo Borsellino – affrontando sacrifici personali. Dimostrano che la nazione e la città di Palermo non dimenticano»
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