Informazioni che faticano a trovare spazio

Massimo Fini chiede la prescrizione per i nazisti, Il Fatto quotidiano lo pubblica, poi ignora le proteste che arrivano (magistrati militari compresi)

MASSIMO FINI E LE “RAPPRESAGLIE ” PROCESSUALI CONTRO I POVERI VECCHI CRIMINALI NAZISTI

signor direttore, signor Furio Colombo

il fatto quotidiano non ha voluto rispondere, a proposito del pessimo, vile, articolo di Massimo Fini del 9 luglio 2011, non solo alla lettera di Sergio Fogagnolo ( figlio di uno dei patrioti partigiani fucilati a piazzale loreto il 10 agosto 1944 ), né al mio messaggio ( sono figlia di un ufficiale fucilato a Cefalonia il 24 sett. 43 e parte civile – rappresaglia ? – nei processi in Germania e in Italia per quella strage ) ma neppure alla garbata e precisa lezione di dirittto penale internazionale, di giornalismo e di storia ( è necessario conoscere I FATTI storici per poi parlarne anche se si è solo dei giornalisti  e non degli storici)  di Marco De Paolis, Procuratore Militare Capo della Repubblica di Roma e, in passato, Pubblico Ministero, a La Spezia, per molti processi contro criminali di guerra nazifascisti, processi tra i quali i più noti furono quelli per le stragi di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto ?

” Il Fatto” non ha tenuto  in alcun conto neppure il valore “istituzionale” di un tale messaggio e la sua importanza, non solo per la difesa delle vittime, di allora e di oggi ( noi figli ) ma per i giovani che sarebbe opportuno imparassero che, sempre, se possibile, i crimini vanno, almeno, condannati anche tardivamente, anche quando punirli veramente è diventato impossibile o inopportuno ?

LA  CASTA dei giornalisti ( come quella che siede in Parlamento ), ancora una volta ha vinto.

Ho letto oggi la “pezza” di cui sono grata a Loris Mazzetti, ma IL FATTO mio con il “loro” quotidiano, che consideravo anche mio, è tutt’altro che risolto.

Un quotidiano, che ho creduto si collocasse in un’area , diciamo “liberale”, in senso positivo, NON PUO’ trascurare il dialogo con i suoi lettori.

Trascurare poi l’intervento di un magistrato della importanza, dedizione,bravura, serietà come Marco De Paolis, mi pare veramente anche oltraggioso e scarsamente intelligente.

Sono stata tra i primi abbonati de Il Fatto Quotidiano.A causa della assoluta inefficienza delle poste italiane non ho rinnovato l’abbonamento ma l’ho sempre comprato, ogni giorno, sino ad oggi, per l’ultima volta.

Questa vicenda, per il piccolissimo potere di convincimento di cui dispongo,tra coloro che delle stragi nazifasciste portano ancora oggi il peso,  farà perdere al giornale un poco di lettori e di abbonati.

Un mesto saluto d’addio

marcella  de negri

marcella.denegri@gmail.com

via santa croce 4

20122  milano

La lettera di marco de paolis al fatto quotidiano

Gentile Sig. Direttore,     Le scrivo in relazione all’articolo a firma di Massimo Fini, pubblicato sul Fatto Quotidiano del 11.07.2011.   L’unica spiegazione che riesco a dare di fronte ad affermazioni come quelle che leggo è che l’autore, ahimè, parla di cose che probabilmente non conosce.   A cominciare dalla retroattività della legge e per finire ai processi di Norimberga e Tokio, tutte cose che nulla hanno a che vedere con i processi per crimini di guerra contro i nazisti.  Anzitutto perché in questi processi la legge non è per nulla retroattiva (diversamente sarebbe incostituzionale), ma ben chiaramente anteriore ai fatti : sia quella italiana (l’art. 185 del codice di guerra è del 1941) e sia quella tedesca (l’art. 47 del codice di guerra tedesco) che è del 1940.   Forse non si sa che il nostro codice militare fascista (tuttora in vigore) era all’avanguardia del diritto umanitario dell’epoca, prevedendo già nel 1941 norme a tutela dei civili e delle vittime della guerra. Nulla a che vedere con Norimberga e Tokio che si rifacevano invece a principi di un diritto non scritto.   Inoltre, si omette di dire che la non operatività della prescrizione vale non soltanto per i crimini di guerra (che, peraltro, costituiscono il massimo di gravità che si possa immaginare) ma anche per tutti i normali comuni omicidi aggravati.    Ma ciò che impressiona, e sconvolge, è far passare i criminali di guerra nazisti per persone da comprendere (e giustificare?) solo perché “asseritamente” traditi (da altri).   Io credo che chi sostiene queste tesi non potrebbe farlo se solo avesse messo piede una volta nelle aule del tribunale militare di La Spezia o in quello di Verona e avesse potuto guardare negli occhi solo qualcuno delle centinaia di bambini di allora – anziani di oggi – ai quali è stato tolto tutto, per tutta la vita. Genitori, fratelli, sorelle, case, vestiti, ogni cosa. Lorenzo Buzzini, che nella strage di San Polo di Arezzo a 5 anni perse padre, madre, nonni, quattro fratelli, e che rimase senza casa (che gli fu bruciata) e senza neppure un gioco o un vestito, e che visse in orfanatrofio fino ai 18 anni restando solo per tutta la sua vita, ebbene in aula a La Spezia, con gli occhi umili e profondi di chi ha vissuto per 67 anni con un dolore incancellabile, ebbe a dire queste semplici parole : io dalla vita non ho avuto nulla. Ma i suoi carnefici si : hanno vissuto e prosperato nelle loro famiglie in Germania o in Austria insieme alle loro mogli, ai propri figli e oggi con i propri nipoti. Tutto questo lo hanno negato alle loro vittime che ancora oggi ne portano i segni.    Qualificare questi processi come “rappresaglia” verso i carnefici è oltraggioso sia per la memoria dei morti e sia per la dignità dei vivi, che meritano duplicemente rispetto: anzitutto per la grande tragedia che li ha colpiti, e inoltre per la beffarda ingiustizia che hanno dovuto subire con quell’illegale occultamento dei fascicoli riguardanti tutte queste stragi, che si verificò circa 50 anni fa e che impedì di svolgere allora il doveroso accertamento giudiziario che oggi si completa.    Certamente comprendo che può esser difficile accettare in linea teorica l’idea di un processo che si celebri ad oltre 60 anni dai fatti: ma l’enormità del crimine e della tragedia che ne segue non possono essere cancellati dalle difficoltà giudiziarie di accertare i fatti.  E, comunque, se una decisione su questi temi deve esser presa, che sia presa con responsabilità da chi ha il potere per farlo, cioè i legislatori. Non è certo il giudice che può venir meno alla legge vigente rendendosi arbitrariamente interprete di supposti (e comunque non condivisi) atti di pietà giudiziaria.   Ignorare tutto questo e capovolgere persino le più palesi ingiustizie, oltre ad aggiungere offesa ad offesa, non aiuta neppure le nuove generazioni a comprendere appieno gli sforzi titanici che la comunità internazionale compie oggi contro i criminali di guerra contemporanei che, dalla Cambogia al Ruanda, dalla ex Jugoslavia all’Iraq, continuano a seminare morte e distruzione al pari dei nazisti di un tempo.    E per comprendere questi concetti e diffonderne i valori, credo che servano anche “penne” avvedute e sensibili quale può essere quella di un grande giornalista al quale porgo l’invito a riflettere anche su queste mie poche righe.

Marco De PaolisRoma Procuratore Militare della Repubblica di RomaViale delle Milizie, 5/c – 00192 Roma

12 luglio 2011

L’articolo di Massimo Fini su Il fatto quotidiano del 9 luglio 2011

Nazisti senza prescrizione

pubblicato sul Fatto Quotidiano del 9 Luglio 2011

Il Tribunale militare di Verona ha condannato all’ergastolo sei ufficiali, sottufficiali e soldati della Panzer-Division ‘Hermann Goering’ che nel marzo-maggio del 1944, quando i tedeschi erano in ritirata, incarogniti per il tradimento dell’alleato italiano che, in un momento cruciale della guerra, mentre si lottava per la vita o  per la morte, li aveva pugnalati alle spalle passando dalla parte dei probabili vincitori, si rese responsabile, sull’appennino tosco-emiliano, di alcuni atroci eccidi di civili. I condannati sono tutti ultranovantenni, tranne il più giovane, il caporale Alfred Lhuman, oggi taglialegna in pensione, che ha 86 anni e all’epoca dei fatti ne aveva venti. Da allora sono passati infatti quasi settant’anni (quanto vivono questi nazisti, solo i partigiani gli stani pari).
Confesso che processi di questo genere, come altri che si sono celebrati nei confronti di criminali nazisti, mi lasciano perplesso. Non metto qui in discussione che il Tribunale di Verona, sia pur a tanti anni di distanza, sia riuscito a individuare con esattezza chi, in quei tragici frangenti, uccise e chi no. Non si tratta di questo. È che prima che, con la vittoria del 1945, si affermassero le democrazie occidentali, vale a dire la ‘cultura superiore’, non si erano mai visti nella Storia processi celebrati a settant’anni di distanza dai fatti, tantomeno per ‘crimini di guerra’, una categoria di reati, con efficacia retroattiva, nata con i processi di Norimberga e di Tokyo quando i vincitori non si accontentarono di essere i più forti ma pretesero di essere anche  moralmente migliori dei vinti e quindi tali da poterli giudicare, invece di passarli per le armi come era stato fatto fino ad allora.
Per quanto si vada a scavare nel tempo e nelle varie storie e culture non si trovano precedenti. Forse l’unico è quello che riguarda Giulio Cesare che nel 63 a.C. volle trascinare in tribunale, per certi suoi motivi, il vecchio senatore Rabirio che nel 100 a.C. aveva partecipato al linciaggio del tribuno della plebe Aurelio Saturnino. Il tribunale competente in appello (in primo grado Rabirio era stato condannato) erano i comizi centuriati, una giuria popolare che certamente non aveva nessuna simpatia per un aristocratico come Rabirio che, per giunta, aveva ucciso uno dei loro. Ma il popolo si dimostrò saggio, 37 anni di distanza dai fatti gli parevano troppi. Con uno stratagemma si fece in modo che il processo non si celebrasse.
Anche a me settant’anni, o quasi, sembrano troppi per istruire un processo contro chicchessia. La prescrizione è sempre esistita, anche per il più orrendo dei reati. Ma i vincitori hanno deciso che per i crimini dei nazisti non c’è prescrizione. Su questo punto ci sarebbe da discutere perché viola il fondamentale principio di civiltà giuridica per cui la legge penale non può essere retroattiva. Che è uno dei motivi per cu il giurista americano Rusten Vambery, liberale (quando i liberali esistevano ancora e non erano le parodie di oggi), in un articolo pubblicato il 1 dicembre del 1945 sul settimanale The Nation, contestava la legittimità del processo di Norimberga:” Che i capi nazisti e fascisti debbano essere impiccati o fucilati dal potere politico e militare non c’è bisogno di dirlo: ma questo non ha niente a che vedere con la legge. Giudici guidati da ‘sano sentimento popolare’, introduzione del principio di retroattività, presunzione di reato futuro… ripristino della vendetta tribale, tutti questi erano i punti salienti di quella che la Germania di Hitler considerava legge”.
Ma in fondo, oggi, nemmeno queste considerazioni sono importanti. Il fatto è che il processo di Verona contro dei fantasmi più che il sapore della giustizia ha quello amaro della rappresaglia. Proprio quella rappresagli in nome della quale, tante volte, abbiamo condannato i nazisti.

Massimo Fini

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