Informazioni che faticano a trovare spazio

Rostagno, Aldo Ricci ritorna su quella frase di cui è unico testimone: “se mi rompono i c… dico quello che so su Calabresi”. Peccato che poi Rostagno abbia detto ben altro

L’udienza riprende di pomeriggio con l’audizione di Aldo Ricci. Una testimonianza anche colorita dal racconto di vicende personali, ma che ha conosciuto un picco quando ha ricordato che nel 1978 in un momento in cui Rostagno era, ha detto, deriso per la gestione del locale Macondo, mi disse che se lo continuavano a deridere (dall’ambiente degli ex compagnia della sinistra) avrebbe raccontato quello che sapeva sul delitto Calabresi.

Se continuano a rompermi  i c….dirò chi ha ucciso Calabresi, una affermazione detta in un epoca in cui non c’era nemmeno un elemento che faceva pensare ad una indagine sul delitto del commissario.

Ricci ha riferito che Rostagno gli disse che aveva rotto ogni rapporto con gli ex compagni di Lotta Continua, in particolare aveva rapporti tesi con Giorgio Pietrostefani.

Rostagno non era un bacchettone come altri personaggi di Lotta Continua, come per esempio Marco Boato, Rostagno aveva un modo di comportarsi e di vestirsi che non andava bene a quelli di Lotta Continua, mi pare che metteva un ombretto sugli occhi, portava braccialetti, andava vestito in un certo modo. Quelli di Lotta Continua non potevano essere dalla sua parte, perché i comportamenti erano diversi, per punizione, Pietrostefani, responsabile del servizio d’ordine di lotta continua, responsabile della militarizzazione di Lotta Continua,  Pietrostefani mi ha mandato in Sicilia, dove sono stato benissimo.

A poposito di Francesco Cardella, duro e sprezzante il giudizio, gangster e pornografo per cui non sopportava che Rostagno potesse dipendere da lui.

Su Pinuccio Bulgarella, una persona simpatica, con lui parlai del delitto Rostagno, io arrivai uno o due giorni dopo il funerale, non venni perché avrei incontrato Martelli, Boato, quelli di Lotta Continua, arrivai apposta due giorni dopo il funerale, Cardella mi portò a Rtc, dopo avere conosciuto Caterina Ingrasciotta e Bulgarella, andammo tutti in barca e durante questa giornata Bulgarella mi disse che dovevo togliermi dalla testa che questo era un delitto mafioso, per delle caratteristiche balistiche.

Bulgarella ripeteva questa cosa in modo categorico, ossessivo, per un mese mi disse questo. Questo fino a quando all’arrivo di Martelli, loro si riuniscono a Lenzi, dopo un’ora viene fuori Bulgarella, mi dice che Martelli gli ha dato un miliardo di pubblicità, abbiamo parlato del delitto, non è stata la mafia con la m maiuscola, ma una mafia con la m minuscola, qualche balordo, io a quel punto me ne andai. La folgorazione di Martelli fece cambiare, secondo

Fin qui il resoconto dall’aula di Trapani. Aggiungo un mio commento: 

Era probabilmente inevitabile che Aldo Ricci non se ne tornasse col suo viscido raccontino di cui peraltro è l’unico notaio. Ci ha costruito a suo tempo un minimo di fortuna mediatica.  “Se non smettono di rompermi i c…dico quel che so su Calabresi”.

Peccato per Ricci che quel che Rostagno aveva da dire sulla materia l’ha detto eccome in quell’agosto del 1988 quando fu raggiunto dall’avviso di garanzia proprio per Calabresi. Ecco, se Mauro Rostagno non avesse pubblicamente detto quel che ha detto anche attraverso Rtc sulla vicenda Calabresi, questa confidenza di cui Ricci si dichiara gran custode – per quanto surreale – potrebbe forse trovare qualche campo. Ma come la mettiamo con le frasi pronunciate – queste sì reali e documentate – con cui Mauro – sì il Mauro che era stato di Lc ma anche sanyasin, di Macondo e terapeuta per tossici, infine giornalista – difendeva il proprio onore e quello di Lotta Continua?

“Io ho tutto il diritto di sapere – si rilegge in quelle sue proteste pubbliche dell’agosto ’88 – chi, come, quando, perché e per quali motivi e su quale base, poffarbacco (mi ha tirato dentro questa storia)…E questo mi sembra veramente il minimo. Ho anche il diritto di venirne fuori, con totale restituzione dell’onore mio personale — cosa a cui non smetto di tenere — e anche dell’onore di Lotta continua, vicenda che se pur lontana e passata, è una fetta della mia vita a cui non ho nessuna intenzione di rinunciare, perché è una cosa bella, positiva e a cui sono felicemente attaccato. Grazie”.

In quell’agosto del 1988 dopo essere stato raggiunto dall’avviso di garanzia che non gli aiutò certo la vita un giornalista chiese a Mauro Rostagno se avesse scheletri nell’armadio. E Mauro rispose: “Ma io non ho neanche l’armadio…”.

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