Salento, sciopero degli immigrati del pomodoro. 3,50 euro a cassetta di pomodori…
domenica, 31 Luglio, 20113,50 euro a cassetta di pomodoro. E a fine giornata la “stecca” da dare al caporale. Ma oggi nel Salento è partito il primo sciopero dei braccianti immigrati impiegati nella raccolta del pomodoro. C’è anche un giovane tunisino morto in circostanze non chiare. L’articolo è di una brava cronista di Repubblica, Chiara Salento. Eccolo
È una domenica di campi vuoti quella che trascorre tra i filari di pomodori del Salento. Ultimo scorcio di luglio, in cui centinaia di immigrati, impiegati come raccoglitori, proclamano lo sciopero e si rifiutano persino di salire sui trabiccoli che all’alba dovrebbero condurli al lavoro. È il giorno dopo l’assemblea autogestita alla masseria Boncuri, funestato dalla morte improvvisa di un tunisino di 34 anni, e diverso dai precedenti per la calma surreale che regna nelle campagne. Lì dove il sole arroventa le piante e migliaia di tonnellate di prodotto rischiano di marcire se non vengono raccolte in tempo. Il danno economico derivante dallo sciopero potrebbe essere enorme, perché gli italiani da anni non fanno questo genere di lavoro, gli extracomunitari lo capiscono e, forti di questa certezza, cercano una trattativa con la parte datoriale. L’assemblea di sabato sera, in questo senso, è stata illuminante.
Vi hanno partecipato i sindacalisti della Cgil e i volontari che gestiscono la masseria Boncuri, “Finis Terrae” e le “Brigate di solidarietà attiva”, ma i veri protagonisti sono stati i lavoratori. Tra le mura secentesche della struttura trasformata in campo d’accoglienza, si sono mischiate lingue e idee, confrontate esigenze e posizioni molto diverse e, alla fine, è stato stilato un documento che in quattro punti riassume la piattaforma delle rivendicazioni. L’obiettivo dichiarato è il rispetto del contratto provinciale di lavoro per l’agricoltura, che prevede un tariffario preciso per la raccolta di pomodori: 5,92 euro a ora e 38,49 a giornata (6 ore e 30). La realtà, invece, parla di cifre molto diverse: 3,50 euro a cassone, praticamente la metà del previsto.
Alla paga già ridotta si deve poi sottrarre la mazzetta da versare al caporale per entrare a far parte dei gruppi che quotidianamente vanno sui campi (da 3 a 5 euro) e il prezzo da pagare per essere portati sui luoghi di lavoro (3 euro). Alla miseria retributiva si aggiunge il fatto che gli “ingaggi” legali sono pochissimi (circa 120 contando anche le persone già impiegate nella raccolta delle angurie), che la maggior parte del lavoro viene svolto in nero, che l’assistenza sanitaria è inesistente e i contributi previdenziali pure. La situazione è esplosiva e connotata da profili di evidente illegalità. Questioni su cui la Cgil punta il dito, tramite la segretaria confederale Antonella Cazzato, che stigmatizza “la scarsità dei controlli sui campi” insieme “alla poca disponibilità da parte delle istituzioni e all’evidente disinteresse della politica” rispetto alla questione Nardò. Senza dimenticare una frecciatina all’Asl, “che dovrebbe spiegare come mai non è stato rispettato l’impegno preso a giugno di dotare la masseria Boncuri di acqua calda”, e una ai datori di lavoro “che non hanno contatto con i raccoglitori e affidano ai caporali la completa gestione degli ingaggi”.
Proprio i produttori, del resto, dovrebbero essere i primi interlocutori dei lavoratori, i quali hanno ben chiare le rivendicazioni da fare e i diritti da far rispettare. “In una situazione in cui le irregolarità sono così evidenti – aggiunge la Cazzato – le testimonianze e le denunce non bastano. Il sindacato può svolgere la funzione di raccordo, tra i lavoratori, le aziende e gli altri soggetti istituzionali. Per questo abbiamo già chiesto la convocazione del Consiglio territoriale per l’immigrazione, affinché ogni soggetto che ha responsabilità spieghi perché gli impegni assunti non sono stati rispettati”. Di impegni, del resto, a inizio stagione ne erano stati presi tanti, amplificati dalle campagne mediatiche e puntualmente disattesi nelle settimane a venire. Quel che accade a metà estate nei campi lo dimostra chiaramente. E il fatto che gli immigrati, che fino a ieri erano disposti a tutto pur di guadagnare pochi euro, scelgano di incrociare le braccia è ancora più significativo. Vuol dire che lo sfruttamento è arrivato al limite massimo. Che le regole esistono solo a parole e che i diritti, quando i lavoratori sono stranieri, non valgono.
Almeno non nei campi di Nardò e dei paesi limitrofi. Lì dove il sole matura i pomodori e in questa domenica di fine luglio nessuno li raccoglie. Dove per la prima volta la parola sciopero rimbalza tra i filari, fino alla masseria Boncuri dove i raccoglitori trascorrono la giornata in attesa che qualcosa si muova. Hanno molto da dirsi ma lo fanno a bassa voce, in segno di rispetto per il “fratello” morto nella notte. A trovarlo, all’alba, sono stati i connazionali con cui divideva la tenda e che hanno dichiarato alla polizia di non essersi accorti di nulla e di non aver ricevuto alcuna richiesta di aiuto. Come è stato riscontrato dal medico legale, il giovane tunisino è morto per cause naturali e il suo corpo è stato trasportato all’ospedale di Vito Fazzi di Lecce, a disposizione dell’autorità giudiziaria, che deciderà se sia necessario effettuare l’esame autoptico.
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