Informazioni che faticano a trovare spazio

Uomini di Al Qaeda alla testa dei rivoltosi libici?

Da I misteri d’Italia, la newsltetter del collega Sandro Provvisionato, riprendo.

La nuova Libia sarebbe nelle mani di Al Qaida, con uomini dell’organizzazione terroristica in ruoli chiave dell’esercito ribelle e a controllare il traffico d’armi e di munizioni.

La tesi, proposta più volte da Muammar Gheddafi, in misura apparentemente strumentale, è questa volta ripresa, con tanto di nomi e cognomi da Ahmed Shabani, esule libico di orientamento liberale.

Da Londra, il 43enne Shabani, fondatore del Partito democratico libico, ha chiarito che Gheddafi resta un pericolo per il popolo libico: “È tornato al suo vecchio mestiere, quello del terrorista” ha spiegato Shabani.

“Chi davvero controlla adesso la Libia sul terreno, chi ha il controllo delle armi e delle munizioni è al-Qaida”, ha affermato senza giri di parole Shabani, intervistato dalla radio israeliana. E la denuncia è circoscritta: “Bengasi è gestita da Abu Obeid al-Jarah e Tripoli da Abdelhakim Belhaj”. Entrambi estremisti islamici vicini all’ideologia di Osama Bin Laden.

Da mesi i servizi segreti israeliani seguono da vicino la crisi libica, anche nel timore di ripercussioni sul traffico di armi verso la striscia di Gaza. Fonti militari israeliane hanno infatti riferito che a Gaza si nota una moltiplicazione di forniture di lanciagranate (Rpg) e di batterie missilistiche antiaeree di progettazione sovietica Sa-7: tutte provenienti, a quanto pare, proprio dalla Libia, attraverso il Sinai.

Per quanto riguarda il leader dei ribelli a Tripoli, Abdelhakim Belhaj, egli è conosciuto anche con il nome di Abu Abdullah al-Sadek. E’ nato nel 1966 ed ha iniziato la sua carriera di jihadista in Afghanistan, nel 1988, combattendo contro i russi. Dopo l’Afghanistan si trasferisce prima in Pakistan e in seguito in Iraq. Nel 1995, come scrive il quotidiano francese Libération, fonda il Gruppo islamico di combattimento libico (Lifg), una piccola formazione ultraradicale ma che negli anni precedenti agli attentati del 2001 gestisce due campi di addestramento in Afghanistan. In Iraq Belhaj stringe i rapporti con Abu Musab al-Zarqawi, capo di al Qaeda in quel paese, e nel 2007 il Lifg verrà riconosciuto come affiliato della rete del terrore da Ayman al-Zawahiri, a quel tempo numero due di al Qaeda dopo Bin Laden.

A lungo ricercato dalla Cia, Abdelhakim Belhaj viene rintracciato e catturato dagli americani nel 2003 in Malesia. Trasferito in un carcere segreto di Bangkok viene interrogato e, probabilmente, torturato fino a quando nel 2004 viene consegnato ai servizi segreti libici. Riesce a lasciare il carcere libico nel 2010 grazie ad un processo di riconciliazione con il Gruppo islamico di combattimento libico avviato nel 2009 dal secondo figlio di Gheddafi, Saif al Islam. Belhaj, insieme agli altri guerriglieri imprigionati, prima di essere liberato viene costretto a firmare un documento di 417 pagine in cui si afferma che: “la guerra santa in Libia è illegale ed è consentita solo nei paesi musulmani invasi (Afghanistan, Iraq, Palestina)”.

Quando all’inizio di quest’anno è iniziata la rivolta contro il colonnello Gheddafi, Abdelhakim Belhaj si è subito alleato con i ribelli, prendendo la guida militare dei berberi delle montagne occidentali e conducendoli alla presa del bunker di Gheddafi di Bab al Aziziya, a Tripoli, con il sostegno dei bombardamenti Nato. Un’azione che sembra essergli valsa un salvacondotto per i suoi precedenti con al Qaeda tanto che ora, sulla scia del consenso che si è guadagnato tra gli insorti, aspira ad un ruolo militare di alto libello nella nuova Libia. Per il momento detiene il governatorato di Tripoli dove l’Italia sta riaprendo la sua ambasciata in Libia.

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