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“Mors tua vita mea”, ecco Berlusconi-Gheddafi. Altro che “Sic transit gloria mundi”

Qui di seguito ecco l’articolo di Repubblica (Walter Galbiati) sugli affari “italiani” di Gheddafi. Manca però l’affare più stretto con Berlusconi, quello che li vede soci della  Quinta Communications. Quanto vale ora quel 10% acquistato dalla Lafi Trade – la cassaforte finanziaria della famiglia Gheddafi –  dentro la Quinta Communications? E chi se lo incorporerà? La Lafi Trade non è chiaro da chi venga manovrata e se può essere manovrata, a questo punto della vicenda. Quale Gheddafi è in grado di agire per suo conto? Più semplice prevedere invece che fine farà quel 10%  di Gheddafi: sarà “incorporato” dai due soci esistenti, Tarak Ben Hammar col suo 68% atytuale della società e Berlusconi con suo 22%, insomma tre quarti a Ben Hammar e un quarto a Berlusconi. Domanda: ma si era mai visto nel capitalismo un simile fenomeno, del socio che dichiara guerra internazionale al partner e poi ne assorbe i beni? Aggiungiamo di un socio che come premier in

un paese “scanna” il socio despota e ne acquisisce i beni? Qui di seguito ecco l’articolo di Repubblica (Walter Galbiati) sugli affari “italiani” di Gheddafi. Manca però l’affare più stretto con Berlusconi, quello che li vede soci della Q uinta Communications. Quanto vale ora quel 10% acquistato dalla Lafi Trade – la cassaforte finanziaria della famiglia Gheddafi –  dentro la Quinta Communications? E chi se lo incorporerà? La Lafi Trade non è chiaro da chi venga manovrata e se può essere manovrata, a questo punto della vicenda. Quale Gheddafi è in grado di agire per suo conto? Più semplice prevedere invece che fine farà quel 10%  di Gheddafi: sarà “incorporato” dai due soci esistenti, Tarak Ben Hammar col suo 68% e Berlusconi con suo 22%, insomma tre quarti a Ben Hammar e un quarto a Berlusconi. Domanda: ma si era mai visto nel capitalismo un simile fenomeno, del socio che fa guerra al partner e poi ne assorbe i beni? Aggiungiamo di un socio che fa il premier in un paese che scanna il partner despota in un altro? Altro che “sic transit gloria mundi” come ha detto oggi Berlusconi, qui siamo semmai a “mors tua vita mea”.

Qui di seguito l’articolo di Repubblica sugli affari italiani del rais:

C’era un patto d’amicizia tra il Colonnello e Silvio Berlusconi che sfociava in un addentellato economico che tra investimenti e commesse era stimato in 40 miliardi di euro. Non a caso l’Italia è stata da sempre il primo partner commerciale della Libia.

Il capitolo più delicato è legato al petrolio, in quanto il Paese arabo è il primo fornitore dell’Italia. Tripoli da sola garantisce il 23,3% del nostro fabbisogno di greggio, spedendone circa 50mila tonnellate al giorno. L’Eni è l’azienda italiana più esposta. I suoi pozzi pompano 244mila barili al giorno nel deserto libico, poco meno del 15% della produzione del Cane a sei zampe. Il numero uno Paolo Scaroni, forte del feeling Berlusconi-Gheddafi, ha ottenuto l’anno scorso un allungamento di 25 anni delle concessioni in loco in cambio di 28 milioni di dollari di investimenti in 25 anni, tra cui diversi progetti di edilizia sociale. Nel settore gas, invece, il Colonnello provvedeva al 12% di quanto consumato in Italia. L’Eni ha venduto alla libica libica National Oil Corporation una quota e la gestione del gasdotto Greenstream che collega la costa africana a Gela (Sicilia).

Ma gli affari col Colonnello li ha fatti anche un altro colosso di Stato, Finmeccanica. In Libia è stato aperto un impianto per l’assemblaggio di elicotteri Agusta e Finmeccanica ha incassato commesse per 1,75 miliardi per rifare i sistemi di segnalamento

ferroviario nel Paese e 300 milioni destinati a sistemi per il controllo dei confini meridionali della Libia in chiave anti-immigrazione.

Un miliardo di appalti li ha avuti pure Impregilo, cui è stata affidata la costruzione di tre centri universitari. C’è poi la «Autostrada dell’Amicizia»: 1.700 km di asfalto lungo la costa tra Tunisia ed Egitto finanziati da Roma — quasi 3 miliardi la spesa prevista la cui costruzione doveva essere affidata a realtà italiane.

Oltre alle grandi, lavorano in Libia anche le piccole e medie aziende italiane. Secondo l’Istituto per il commercio estero sono 130 le aziende italiane e 600 i loro dipendenti. Sirti sta posando 7mila km di cavi (valore 68 milioni), Trevi segue grandi progetti nel cuore di Tripoli, alcune imprese lavorano al terminal container nel porto di Tripoli.

Sul fronte finanziario, poi, il Colonnello e i suoi figli erano grandi investitori nel capitale delle banche e delle aziende italiane. Un incognita che ora dovrà essere risolto. Dopo aver avviato negli Anni ’70 l’operazione Fiat, di cui possiede ancora il 2%, la Libia di Gheddafi ha rilevato via via il 7% di Unicredit, il 2% di Finmeccanica, il 7,5% della Juventus, il 21,7% della Olcese (tessile) e il 14,8% della Retelit.

(20 ottobre 2011)

scanna il partner despota in un altro? Altro che “sic transit gloria mundi” come ha detto oggi Berlusconi, qui siamo semmai a “mors tua vita mea”.

Qui di seguito l’articolo di Repubblica sugli affari italiani del rais:

C’era un patto d’amicizia tra il Colonnello e Silvio Berlusconi che sfociava in un addentellato economico che tra investimenti e commesse era stimato in 40 miliardi di euro. Non a caso l’Italia è stata da sempre il primo partner commerciale della Libia.

Il capitolo più delicato è legato al petrolio, in quanto il Paese arabo è il primo fornitore dell’Italia. Tripoli da sola garantisce il 23,3% del nostro fabbisogno di greggio, spedendone circa 50mila tonnellate al giorno. L’Eni è l’azienda italiana più esposta. I suoi pozzi pompano 244mila barili al giorno nel deserto libico, poco meno del 15% della produzione del Cane a sei zampe. Il numero uno Paolo Scaroni, forte del feeling Berlusconi-Gheddafi, ha ottenuto l’anno scorso un allungamento di 25 anni delle concessioni in loco in cambio di 28 milioni di dollari di investimenti in 25 anni, tra cui diversi progetti di edilizia sociale. Nel settore gas, invece, il Colonnello provvedeva al 12% di quanto consumato in Italia. L’Eni ha venduto alla libica libica National Oil Corporation una quota e la gestione del gasdotto Greenstream che collega la costa africana a Gela (Sicilia).

Ma gli affari col Colonnello li ha fatti anche un altro colosso di Stato, Finmeccanica. In Libia è stato aperto un impianto per l’assemblaggio di elicotteri Agusta e Finmeccanica ha incassato commesse per 1,75 miliardi per rifare i sistemi di segnalamento

ferroviario nel Paese e 300 milioni destinati a sistemi per il controllo dei confini meridionali della Libia in chiave anti-immigrazione.

Un miliardo di appalti li ha avuti pure Impregilo, cui è stata affidata la costruzione di tre centri universitari. C’è poi la «Autostrada dell’Amicizia»: 1.700 km di asfalto lungo la costa tra Tunisia ed Egitto finanziati da Roma — quasi 3 miliardi la spesa prevista la cui costruzione doveva essere affidata a realtà italiane.

Oltre alle grandi, lavorano in Libia anche le piccole e medie aziende italiane. Secondo l’Istituto per il commercio estero sono 130 le aziende italiane e 600 i loro dipendenti. Sirti sta posando 7mila km di cavi (valore 68 milioni), Trevi segue grandi progetti nel cuore di Tripoli, alcune imprese lavorano al terminal container nel porto di Tripoli.

Sul fronte finanziario, poi, il Colonnello e i suoi figli erano grandi investitori nel capitale delle banche e delle aziende italiane. Un incognita che ora dovrà essere risolto. Dopo aver avviato negli Anni ’70 l’operazione Fiat, di cui possiede ancora il 2%, la Libia di Gheddafi ha rilevato via via il 7% di Unicredit, il 2% di Finmeccanica, il 7,5% della Juventus, il 21,7% della Olcese (tessile) e il 14,8% della Retelit.

(20 ottobre 2011)

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