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Processo Rostagno, parla il poliziotto Linares che ha riaperto il caso: quel calibro 12 di Mazzara e il ruolo di capomafia di Virga

12 ottobre 2011, 19° udienza del processo per l’omicidio di Mauro Rostagno. In aula il dirigente della Squadra Mobile Giuseppe Linares, che nel 2008 ha riaperto il caso (nella foto la presentazione ieri a Roma, da Melbookstore, del libro di Maddalena Rostagno). 

Ex dirigente della squadra Mobile di Trapani, dal settembre 1992 al gennaio 2011.  Linares da dirigente della Mobile è autore di una informativa presentata nel gennaio 2008 sul delitto Rostagno.  La seconda attività della squadra mobile fu avviata nell’ottobre del 2007 dopo che nell’88 la squadra mobile di Trapani  se ne era occupata nell’immediatezza.

Quel materiale era rimasto nella memoria collettiva dell’ufficio ma non si era mai presentata l’occasione di riproporre alle procure l’utilizzo approfondito di queste immagini.

“I nuovi accertamenti disposti nell’autunno del 2007 dalla Dda di Palermo  scattarono da una riflessione dell’ufficio circa il vissuto investigativo sulla presenza della mafia nel trapanese e sulle connessioni. Da una verifica degli atti in possesso sul caso Rostagno ci accorgemmo che mai era stata effettuata una analisi balistica da parte della polizia scientifica della Polizia di Stato.

Era stata fatta dall’arma dei carabinieri nell’immediatezza del delitto.  L’idea era quella di comparare i reperti disponibili sul delitto Rostagno con i reperti di altri delitti commessi dalla mafia trapanese peraltro la squadra mobile aveva notato che l’esecuzione del delitto Rostagno risultava analoga all’esecuzione di altri delitti, “avevano un modus operandi identico”.

Il dirigente della Mobile elenca questi delitti, omicidi commessi per la faida di Partanna, il delitto dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, l’omicidio del pregiudicato Monteloeone Antonio, secondo Linares a unire questi delitti c’è il comune denominatore della disponibilità esclusiva di un calibro 12, un fucile, fucile usato per questi delitti. Gli imputati condannati sono Vito Mazzara, altri delitti probabilmente riconducibili a Mazzara sono quelli di Giovanni Riina e Gaetano Pizzardi anche se rimasti senza responsi giudiziari. 

Linares ribadisce che in questi delitti è costante la presenza di un fucile calibro 12 che giudiziariamente è stato attribuito come possesso e uso per questi delitti a Vito Mazzara che in qualche occasione avrebbe fatto parte di commando omicidi ari dei quali faceva parte l’attuale latitante Matteo Messina Denaro.

Fatti di sangue che hanno avuto una certa serialità. Al di là del fucile calibro 12, i delitti elencati dal dott. Linares  hanno presentato analogia anche sull’uso di una pistola calibro 38, e l’utilizzo di una stessa auto una fiat Uno, ovviamente come modello.

La Polizia scientifica accertò anche un’altra caratteristica, l’arma usata da Vito Mazzara veniva modificata di volta in volta per alterare le impronte della culatta, circostanza che i pentiti ci avevano riferito, che Vito Mazzara ricorreva a questo espediente per rendere difficile una eventuale perizia balistica.

Monteleone e Montalto vennero uccisi con i killer che fuggirono con una stessa auto, una Fiat Uno, unì’auto di colore verde, abbandonata dopo il delitto Montalto in contrada Palma sotto un cavalcavia.  

Linares riferisce adesso sull’esito di una nuova perizia balistica chiesta al gabinetto di Polizia scientifica della Polizia, con comparazione tra i reperti di questi delitti eseguiti con analogo praticamente sovrapponibile modus operandi.

Linares ha fatto cenno anche al delitto del boss di Campobello Natale L’Ala che presenta similitudini con altri delitti commessi da Vito Mazzara.

Le indagini sul delitto L’Ala fece parte degli atti del maxi processo Omega. Vecchio uomo d’onore di Campobello che si era messo contro i corleonesi, e stava dalla parte della vecchia mafia di Alcamo rappresentata dai fratelli Rimi. Presto così entrò in contrasto con il boss di Campobello Nunzio Spezia. Di L’Ala nella precedente udienza ha parlato Carla Rostagno, sorella di Mauro, che ha riferito di avere appreso dopo un colloquio con il maresciallo dei carabinieri Beniamino Cannas che Mauro aveva incontrato L’Ala, colloquio dal quale era uscito sconvolto. Fatti a conoscenza del solo Cannas che però sentito già due volte nel processo non ha mai riferito questo particolare.

L’Ala figura tra gli iscritti della loggia Iside 2, dopo un periodo di residenza all’estero, e dopo avere subito delitti trasversali di suoi nipoti,

L’Ala tornò a Canmpobello e sfuggì a due tentati omicidi, e infine fu assassinato. A parlare del delitto L’Ala fu il pentito di Marsala Antonio Patti.

Il movente del delitto Rostagno.

Linares ricroda come premessa che all’epoca del delitto Rostagno sono liberi uomini che fanno parte a gruppi di fuoco ma anche soggetti che rappresentano un filo che unisce la mafia alla borghesia.

Linares cita l’indagine cosiddetta Rino dove è rivelata la commistione tra mafia, politica e impresa nel trapanese e che in gran parte come realtà descritta è retrodatabile al 1988.

Lungo l’elenco di politici indagati, parlamentari, consiglieri comunali, provinciali, fatti spesso che li vedevano chiamati in causa erano di natura edilizia, speculazioni, gestione di aziende.

Rostagno trattava le vicende politiche trapanesi mentre mafia a Trapani si parlava poco, tentava di risvegliare una città dove pochi anni prima un sindaco si era permesso di dire che la mafia non esisteva.

Questa sua vis non era raccolta da nessuno, mentre in quel periodo si procedeva a processare Mariano AQgate boss di Mazara per il delitto del sindaco di Castelvetrano Lipari.

Rostagno di questo processo parlava abbondantemente e per quello che abbiamo tratto noi questa circostanza dava fastidio a Cosa nostra.

La mafia non poteva sopportare e i pentiti lo hanno confermato, Mauro era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato.

Questa è la convinzione che ci ha fatto riaprire il caso. Nel rapporto della Mobile del 1988 vengono citati gli editoriali di Rostagno sui cavalieri del lavoro di Catania peraltro interessati a lavori pubblici eseguiti a Trapani. Fatti giudiziari che però verranno accertati solo anni dopo il delitto Rostagno.

Adesso a fare le domande è il pm Francesco Del Bene (dapprima le domande erano del pm Gaetano Paci).

Linares fa la storia giudiziaria dell’imputato Vito Mazzara. 

L’imputato del delitto Rostagno sta seguendo l’udienza da una delle gabbie dentro l’aula, è seduto e guarda fisso verso il teste.

Linares prosegue come sia nota investigativamente l’abilità di Mazzara ad usare le auto, era campione di tiro a volo, sia sull’abilità a modificare le stesse armi usate. Abilità di tiro dimostrata quando fu ucciso l’agente Montalto, era in auto e seduta affianco a lei c’era la moglie, il killer sparò con certezza che la rosata di pallini avrebbe colpito la sola vittima e non la moglie, cosa che si è puntualmente verificata.

Adesso il dott. Linares risponde alle domande su Virga Vincenzo altro imputato del processo, segue il dibattimento in video conferenza dal carcere di parma perché sottoposto al 41 bis, al contrario di Mazzara.

Di Virga indica la propensione a gestire imprese in nome della mafia ma anche la violenza del soggetto nell’imporre voleri ed estorsioni in questo spalleggiato dai figli Franco e Pietro come il padre anche loro condannati per associazione mafiosa, estorsioni ed altro.

Vincenzo Virga è anche condannato per delitti, e sconta ergastoli.

Le domande della parte civile. Avv. Miceli.

Chiede sui riscontri relativi all’uso dello stesso modello di auto per i delitti dei quali è ritenuto colpevole con sentenze passate in giudicato l’imputato Vito Mazzara.

Quasi sempre le auto furono bruciate tranne in qualche occasione.  

Parola alla difesa. Avv. Vito Galluffo. Il legale, difensore di Vito Mazzara, pone domande sulle modalità di delitti, poi chiede al teste se è a conoscenza del fatto che l’imputato per le sue abilità di tiro fece parte della nazionale azzurra di tiro a volo. Continua a fare domande sulla esecuzione di delitti commessi nella provincia di Trapani.

L’avv. Galluffo chiede se furono fatte indagini sull’eventuale esistenza di una cassetta di sicurezza nella disponibilità di Rostagno presso un ufficio postale.

Linares risponde che la chiave trovata agli atti, analoga a quelle in uso per aprire cassetta di sicurezza, risultò essere la chiave di una cassaforte presente dentro Saman.

Adesso la domanda è relativa agli editoriale di Rostagno che lasciò nulla di in attaccato.

Linares conferma e insiste nel dire che gli editoriali più pesanti erano relativi al processo per il delitto Lipari dove erano imputati mafiosi di Mazara e Catania, come Agate e Santapaola.

Il difensore chiede notizie sull’esito balistico condotto durante le indagini, il pm si oppone dicendo che sono domande che vanno fatte all’esperto balistico citato per le prossime udienze. 

Galluffo interviene e chiede spiegazione sull’affermazione serialità usata dal teste Linares.

Il teste ripete la ragione per l’analogia di diversi delitti emersa dalla lettura di atti giudiziariamente definiti.

L’avvocato Salvatore Galluffo chiede se era stato preparato un album fotografico per una eventuale ricognizione fotografica relativa all’imputato Vito Mazzara.

Il teste Linares nega la circostanza perché non vi era questa necessità, conferma che di Vito Mazzara sicuramente esistono agli atti foto da foto segnalamento a seguito del suo arresto. Foto certamente datata.

L’avv. Salvatore Galluffo insiste sul particolare della foto supponendo che possa essere stata usata durante l’audizione di alcuni testi. Gli album fotografici si predispongono quando c’è una delega della magistratura che dispone il tentatvo di riconoscimento fotografico, in questo caso non abbiamo avuto alcun teste che poteva riconoscere autori del delitto Rostagno.

L’avv. Salvatore Galluffo introduce il nome delle teste Fonte che sentite a suo dire possono avere avuto sottoposto un album fotografico.

Nessun album fotografico è stato predisposto risponde Linares anche perché le Fonte esordirono dicendo di non ricordare alcun volto e quindi non avevamio ragione di fare riconoscimenti fotografici.

Adesso le domande sul fucile, semrpe da parte dell’avv. Salvatore Galluffo.

Fucili calibro 12 se ne vendono e se ne rubano molti dice Linares al quale il difensore chiede se conosce il prezzo di vendita, il teste nega di avere questa conoscenza.

Reperti di fucile esploso furono trovati solo sulla scena del delitto Rostagno, per altri delitti solo bossoli. Sulla scena del delitto Rostagno furono trovati per terra bossoli inesplosi.

Sull’album fotografico torna l’avv. Salvatore Galluffo, che riferisce di precedenti testimonianze di altri ispettori di Polizia che invece dissero che al momento di sentire le sorelle Fonte sul tavolo c’era un albunm contenente la foto dell’imputato Mazzara.

Quell’album precisa Linares era stato predisposto  in occasione delle indagini per il delitto dell’agente Montalto. Per il delitto Rostagno non fu fatto album né ricognizione fotografica.

La parola all’avv. Mezzadini, difensore di Vincenzo Virga. Chiede se le indagini della Mobile hanno compreso i pronunciamenti giudiziari sul caso Rostagno.

Il teste risponde che si tratta di una conoscenza storica e personale, non facente parte del bagaglio investigativo che ha portato all’attuale dibattimento.

Anzi su alcuni procedimenti Linares dice di sconoscere il contenuto di alcuni atti indicati dal difensore, anche in ordine a Francesco Cardella.

Su Vincenzo Virga Linares ribadisce ruolo di capo mafia ricoperto dagli anni 80 così come accertato con sentenze. Posto che dapprima era occupato da Totò Minore ucciso per volere di Riina nel novembre del 1982.

Interviene l’altro difensore di Virga,  l’avv. Giuseppe Ingrassia. 

Le domande riguardano il rinvenimento dell’auto usata per il delitto, e l’audizione delle sorelle Fonte possibili tetsimoni oculari del delitto.

In quella occasione non fu fatto riconoscimento fotografico, la signora ci disse che non si sentiva di fare alcun riconoscimento perché non ricordava nulla.

Sul ruolo di Virga Linares ribadisce che lo stesso era attivo sul territorio dalla metà degli anni 80, che dal 1988 si occupava di cemento, chiede se Rostagno aveva mai fatto riferimento a Virga e alla Calcestruzzi Ericina, Linares risponde dice che non l’avrebbe potuto fare perché la contezza investigativa su Virga emerse negli anni 90 considerato che all’epoca investigatori anche di punta andavano cercando il capo mafia Totò Minore che era però già morto e sostituito ma di questo non si aveva contezza all’epoca in cui Rostagno faceva il giornalista.

Anni dopo si scoprì che capo della mafia trapanese dal 1985 in poi era Vincenzo Virga per volere di Matteo Messina Denaro e Mariano Agate, nomina che venne tenuta riservata.

L’unica volta che uscì il nome di Virga era per un procedimento per estorsioni contro il clan Lipari, in quella occasione si scoprì che uno di questi ubriaco, Angelo Lipari, era entrato nella gioielleria di proprietà di Virga creando caso, successivamente suo fratello Franco intercettato fu sentito raccontare l’episodio parlando di Virga come colui il quale comandava a Trapani.

I pregiudicati sapevano chi comandava a Trapani e non le forze investigative proprio per come la nomina era stata tenuta blindata.

Sui rapporti tra Agate e Santapaola, Linares evidenzia l’esistenza di rapporti personali tra i due mafiosi.

Queste ultime domande vengono fatte in fase di riesame dai pm Paci e Del Bene. Linares ricorda che il 14 agosto del 1980 i due furono fermati insieme ad un posto di blocco dei carabinieri.

Viene sentito l’ispettore Palumbo della Squadra Mobile.

Risponde a domande del pm Gaetano Paci.  Viene acquisita una relazione, e viene sentito a proposito di attività di intercettazione video ed ambientale eseguita presso la casa circondariale dove era recluso Vito Mazzara.

L’ispettore conferma che sono state registrate conversazioni tra Mazzara e i suoi familiari. Indica anche alcune intercettazioni ritenute importanti tra Mazzara, la moglie e la figlia, il 29 maggio 2008, durante questa conversazione Mazzara fece riferimento ad un nascondiglio esistente presso la sua abitazione perché la figlia andasse a controllare che dentro non vi era nulla di compromettente. Eseguimmo subito la perquisizione prima che giungesse la figlia, che si trovava presso il carcere di Biella dove era detenuto il padre, e in effetti fu trovato il nascondiglio era un foro cilindrico largo 20 centimetri lungo un metro, in questo buco c’erano solo contenitori vuoti per la ricotta.

Mazzara nelle intercettazioni si lamentava delle notizie nel frattempo comparse sui giornali sui risvolti delle indagini in corso per il delitto Rostagno.

L’udienza si conclude,. Il 19 saranno sentiti i consulenti della Procura Milone e Garofalo.

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