Anno 1980 o giù di lì. L’indirizzo l’avevo trovato da qualche parte. Così scrissi su un foglio le domande e unii una cassetta audio vergine, “Dear Steve Jobs.-…”. Gli chiedevo come era cominciata l’avventura in quel garage della Silicon Valley, da dove veniva lui, insomma la sua storia ecc. Popi spedii il tutto. E naturalmente me ne dimenticai. Perciò con quale meraviglia mi vidi arrivare sei mesi dopo una busta dalla California. Aprii e dentro c’era la voce di Steve Jobs che rispondeva ai miei quesitia. Una decina di minuti di storia, e quale storIa. Tanto bastava per spiegarmi che lui era cresciuto in una famiglia non benestante e che inviato poi all’università ne era poi fuggito per affrontare l’avventura in qualche altro modo. Ora so che era Stanford, all’epoca non mi pare me l’avesse detto. Il concetto era però che l’università non gli era servita a nulla e che le idee erano nate fuori di lì. Quando poi Steve Jobs ha preso l’honoris causa a Stanford ha spiegato questi stessi concetti agli universitari di quella costosa istituzione americana. Una cosa per me fu chiara, non erano ancora i tempi della condivisione dei files o di Napster (a proposito la prima condivisione di file musicali è morta anch’essa oggi), il grande innovatore era capace di abbassarsi a spedire indietro una misera cassetta a un giornalista che era incuriosito dal suo successo appena nato. Anche questo era Steve Jobs. E la cassetta? Peccato, l’ho cercata, chissà dove è finita, la cercherò ancora, è un piccolo pezzo da museo.