La storia dei marò e dei due pescatori uccisi vista dal Kerala
lunedì, 12 Marzo, 2012Anna Migotto di “Terra” dal Kerala. Un reportage per il blog inveritàtidico (http://www.inveritatidico.it/blog/2012/03/12/bisognerebbe-guardarla-dal-kerala/ ) che riracconta questa storia di pescatori e di marò. Ridando un volto ai due morti: “Valentin Jalestin un padre di due figli adolescenti e un giovane tamil, Ajesh Binki, orfano di entrambi i genitori e unico sostentamento per le due sorelle, di 17 e 15 anni”. La foto è del servizio. Ecco il pezzo:
Bisognerebbe guardarla dal Kerala
di: Redazione // 12 marzo 2012 // Internazionale // Nessun Commento
Bisognerebbe guardarla dal Kerala, la storia dei due “marines” italiani che sparano dalla nave che debbono proteggere contro un possibile attacco da parte di “pirati” travestiti da pescatori. Guardarla da qui, dove di terroristi del mare non vogliono proprio sentir parlare, di arrembaggi alle navi straniere neppure. Tantomeno di diplomazia, di opportunità, di ingerenze della politica, locale ed internazionale, in un aula di tribunale. Guardarla da qui, da Kollam, dove in tanti conoscevano gli uomini uccisi, un padre di due figli adolescenti Velentin Jelestin e un giovane tamil, Ajesh Binki, orfano di entrambi i genitori e unico sostentamento per le due sorelle, di 17 e 15 anni. Pescatori, punto. Poveri, punto. A volte morti di fame, punto. Pirati mai.
Scriviamo il loro nome perché non si debba dimenticare. Loro che sembrano a volte solo comparse, hanno pagato, per ora, il prezzo più alto. Sono i padri e fratelli per cui si chiede sommessamente giustizia, sono i “loro morti “, i morti di uno stato che chiede giustizia a voce alta. È solo simmetria in fondo: l’Italia chiede giustizia per i “suoi ragazzi”, Latorre e Girone, padri di famiglia, bravi militari; l’India chiede la stessa cosa per i “suoi morti”, padri di famiglia, bravi pescatori.
Lo chiede un paese che non ama i colonialismi, e lo chiede uno stato orgoglioso di essere stato il primo al mondo a formare un governo comunista eletto democraticamente, orgoglioso del suo 91% di alfabetizzati, con il tasso di corruzione più basso dell’intero continente indiano, con il piu’ alto tasso di pluralismo religioso e le minori disparità socio-economiche, tra uomini e donne o far caste. Quasi ovvio che qui si esiga che l’atto di giustizia sia esemplare. Guardata dal Kerala, guardata con occhi lontani dai giochi della diplomazia, lontani dalla politica internazionale, questa storia ha una versione assai semplificata.
Un mercantile straniero e una petroliera italiana, l’Enrica Lexie, che, temendo un attacco di pirati attiva i militari che sono a bordo, in acque che possono essere pericolose, e due di loro sparano. Sono le 16:30 del 15 febbraio. Colpi che non vogliono uccidere ma solo allontanare, intimidire, respingere. Colpi che, purtroppo, finiscono dentro il corpo di due uomini che erano a bordo del peschereccio, il St. Antony, partito il 7 febbraio per la pesca del tonno. Muore Ajesh che era al timone, colpito in pieno viso e Velentin che alzandosi e’ stato ucciso con un colpo al petto. Gli altri pescatori, 9 uomini, erano sottocoperta, riposavano perché la pesca avviene di notte.
Una storia tragica e semplice, troppo semplice per tutti quelli che, non in India, vorrebbero intrecciarla con la campagna elettorale in corso nello stato e farne una vicenda molto politica, dove due pescatori uccisi e duè marò italiani, dal grilletto facile, sono personaggi buoni ad essere utilizzati, piegati a logiche estranee alla mera cronaca. Una storia semplicemente tragica tra i vicoli del quartiere di pescatori di Kollam dove Velentin viveva con la moglie Dora e i figli Derrick, 17 anni e Jeen, 10.
La foto del padre sta su un tavolino, diventato un altare, accanto la Bibbia aperta per pregare da cristiani, come sono quasi tutti i pescatori qui. Come erano le due vittime che avevano 48 e 25 anni. Il 20% dei 35 milioni di abitanti del Kerala è cristiano, grandi numeri se si pensa che la media della popolazione cristiana in India si attesta al 2,3%. La Chiesa, tutta, si è stretta attorno alle famiglie dei pescatori uccisi, al punto che l’arcivescovo maggiore della chiesa siro-malabrese, il cardinale George Alencherry che da Roma aveva fatto una proposta di mediazione tra Italia e India, ha dovuto fare marcia indietro quando i giornali indiani lo hanno messo in croce con titoli come :“Il cardinale è più leale all’Italia o alla sua gente?”
Nei vicoli stretti, di case piccole, ma anche di case nuove costruite con i soldi dello stato e della diocesi dopo lo tsunami, nessuno odia gli italiani, nessuno ci odia. E anche le proteste dei giorni successivi all’incidente sono state, spiegano in molti qui, un modo di sollecitare il governo del Kerala a non chiudere gli occhi, a non lasciar perdere, come accade ed è accaduto tante volte nel caso di pescatori uccisi, catturati, imprigionati dalle forze navali dello Sri Lanka, in quel tratto di mare che divide i due stati, dove spesso i pescherecci sconfinano. Ma quello che accade in quel maledetto tratto di mare, con grande frequenza, potrebbe disegnare uno scenario diverso per la vicenda italo- indiana?
Vediamo.
L’equipaggio del St. Antony, il peschereccio dove hanno trovato la morte Velentin e Ajesh, era di ritorno dal ‘punto buono’ per la pesca ai tonni, una zona nell’area del confine marittimo con lo Sri Lanka. Dunque potrebbe essere stato attaccato da imbarcazioni di quel paese, da motovedette della marina cingalese? Potrebbe essere finito in una di quelle storie che la polizia indiana avrebbe semplicemente archiviato? Se così fosse, si può escludere che qualcuno possa aver pensato che accusando gli italiani sarebbe stato più facile ottenere quanto meno un degno risarcimento? E se la denuncia di un tentato attacco dei pirati da parte della petroliera italiana Enrica Lexie, proprio in quelle ore, avesse in qualche modo reso lo scenario possibile?
E, ancora: se il governo del Kerala avesse intravisto una via per placare i pescatori infuriati da tanti “incidenti”, 300 negli ultimi anni, uccisioni mai punite? Una via per poter dimostrare un pugno di ferro mai visto di fronte a quei due milioni di pescatori, che sono anche due milioni di elettori? Solo una ipotesi, che sta circolando, piu’ in Italia che in India, a dire il vero. Ma della vicenda che ha coinvolto i marò si parla oggi anche in Tamil Nadu, lo stato che confina con il Kerala. Sedici pescatori del Tamil sono rimasti feriti quando in una spedizione repressiva, la Marina dello Sri Lanka ha attaccato una flottiglia di pescherecci indiani.
Un nuovo incidente e nelle reazioni dei sindacati del Tamil la condanna del silenzio del governo di New Delhi quando al centro delle tensioni c’è lo Sri Lanka e, dalla parte opposta, la sua solerzia quando si tratta di perseguire una nave italiana.Quella nave, l’Enrica Lexie, che non avrebbe mai dovuto entrare in un porto indiano, ribadisce la Farnesina, e che ancora oggi attende di poter ripartire. Per alcuni sarebbe l’opportunità politica a tenerla ancorata al largo di Kochin, almeno fino al giorno del voto, il 17 marzo, sabato prossimo. Giorno in cui svanirebbe il pericolo che qualcuno accusi il primo ministro Chandi, del partito del congresso della “italiana” Sonia Gandhi, di aver liberato la petroliera degli italiani. Intanto nel carcere di Thiruvananthapuram i due italiani aspettano. Un attesa da detenuti di riguardo, rassegnati loro come la diplomazia, a tempi lunghi, seppure scanditi da due appuntamenti cruciali: l’esito delle analisi balistiche e la sentenza dell’Alta Corte del Kerala sulla giurisdizione.
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