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Una superperizia balistica per l’omicidio Rostagno

Processo Rostagno, adesso è l’ora della super perizia

di  Rino Giacalone

Gli ultimi istanti dell’udienza di mercoledì scorso, appena ieri, 18 luglio, la Corte di Assise di Trapani che sta processando i due presunti autori del delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, assassinato il 26 settembre del 1988 a pochi metri dal cancello di ingresso della Comunità Saman di Lenzi, Valderice, li ha dedicati a decidere il conferimento di un duplice incarico per una nuova perizia balistica attorno a ciò che resta delle armi e dei bossoli trovati sulla scena del delitto. Se ne occuperanno il maggiore dei Ris, Emanuele Paniz, e il dott. Santi Gatti, due luminari. Le indagini prima e il processo dopo hanno presentato in proposito diversi elementi, alcuni contraddittori, per cui secondo i giudici non vi sono versioni chiare ed incontrovertibili, ogni tesi ascoltata ha profili di veridicità ed è impossibile che l’una schiaccia via l’altra. Da qui la “super perizia” che verrà conferita alla prossima udienza, quella del 26 settembre, giornata che segnerà il 24° anniversario dal delitto di Mauro Rostagno. Lungo l’elenco dei quesiti forniti dalla Corte di Assise presieduta dal giudice Pellino, non è escluso che in sede di conferimento dell’incarico le parti, pm, difese e parti civili, chiedano che se ne aggiungano altri. E’ una perizia che riguarda direttamente la sorte processuale di Vito Mazzara, soggetto acclarato mafioso, riconosciuto killer di mafia in processi oramai definiti (nella foto l’altro imputato Virga).  La Squadra Mobile di Trapani e la Polizia scientifica riaprendo le indagini sul delitto Rostagno aveva colto precise corrispondenze tra alcuni delitti per i quali Mazzara è stato condannato e l’omicidio Rostagno. Una costante abitudine a sovraccaricare le cartucce, l’abilità all’uso del fucile, le dichiarazioni di pentiti come Francesco Milazzo lo indicavano come a capo del commando composto da altre due persone. Sulla scena del crimine anche i residui di un fucile scoppiato cosa che aveva portato i carabinieri a sostenere che si trattava di uno scoppio dovuto ad un madornale errore, avere poggiato la canna del fucile al lunotto della Duna guidata da Rostagno e sul cui sedile di guida il giornalista fu inchiodato per sempre da una serie di colpi, e nonostante l’esecuzione del delitto era di quelle tipicamente mafiose, che non lasciano scampo, i carabinieri parlarono di “delitto raffazzonato” per via di quel fucile esploso e in aula quando fu sentito l’allora comandante del nucleo operativo, generale Montanti, sostenne che “era abitudine dei cacciatori sovraccaricare le cartucce”. Le indagini di Polizia più recenti dimostrarono altro e che quel fucile era esploso per quelle cartucce sovraccaricate, e che quella era una abitudine propria di uno dei più pericolosi killer della mafia trapanese, Vito Mazzara per l’appunto, e che diverse coincidenze si trovavano con altri delitti dallo stesso “certamente commessi”. Ex campione di tiro a volo, componente della nazionale azzurra, Vito Mazzara sfruttava questa sua “attività agonistica” per andare in giro “armato”, circostanza della quale hanno parlato anche alcuni pentiti che con lui hanno ammesso di avere “sparato” non per gare sportive ma per ammazzare “cristiani”: e così il pentito di Marsala Antonio patti ha ricordato come in occasione di un duplice delitto commesso a Partanna mentre gli altri componenti del commando “a lavoro finito” consegnarono le armi ad una persona che doveva farle poi sparire, Vito Mazzara se ne tornò indietro con il suo fucile. Tra le circostanze emerse quelle di un uso a freddo delle cartucce, così da lasciare sui bossili una serie di striature per non fare individuare l’arma dalla quale poi sarebbero state esplose, abitudine che ripetuta secondo la Procura di Palermo ha rappresentato la “firma” di Vito Mazzara su quei delitti. La difesa di Mazzara ha portato sul banco dei testi un proprio consulente e anche un esperto di polizia scientifica che hanno dedotto ben altro, presentando un loro panorama di valutazioni, sostanzialmente parole che hanno escluso coincidenze tra delitti, ricostruzioni balistiche. Da qui la decisione della Corte di Assise di andare verso una nuova super perizia. L’udienza di mercoledì 18 luglio ha visto il transitare automatico nel fascicolo del dibattimento di un verbale di due pagine appena, l’interrogatorio risalente al 5 maggio del 1995 del pentito Gaspare Mutolo che ha detto in quella occasione di non sapere nulla sul delitto e che mai ha sentito altri mafiosi parlare male di Rostagno. In particolare da parte di Mariano Agate che fu con lui detenuto in cella nello stesso periodo in cui era sotto processo a Trapani per il delitto del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Quel processo che Rostagno seguiva e per il cui interessamento caparbio un giorno Agate mandò a dirgli, attraverso un operatore della tv di Rostagno, Rtc, che era in aula, di “finirla con lo sparare minchiate”. Mutolo era pronto a testimoniare citato dalla difesa ovviamente interessata a sentire dire dal pentito che niente sapeva del delitto, ma acquisendo il verbale non c’è stato bisogno della testimonianza diretta. Gran parte dell’udienza è stata segnata dalla testimonianza di Francesco Elmo, personaggio comparso a metà degli anni ’90 sulla scena di indagini importanti come riciclaggio di denaro e traffici di armi, droga e rifiuti tossici. Fu indagato e collaboratore della Procura di Torre Annunziata, poi arrivò a Trapani e i suoi racconti sembravano sovrapporsi a quelli degli affari misteriosi che Rostagno avrebbe scoperto sulla pista di un aeroporto chiuso, quello di Chinisia, scalo militare in funzione a Trapani fino agli anni ’50. Elmo però negli anni poco alla volta è stato “scaricato” dalle Procure perché risultato inattendibile, i suoi racconti masticano di faccende da “servizi segreti”, ma potrebbero essere stati racconti frutto di indottrinamenti o addirittura millanterie. E la sua testimonianza in Corte di Assise non ha fatto altro che fare crescere queste convinzioni. Anche Elmo è stato soggetto citato dalla difesa di Vito Mazzara. Nel corso della testimonianza non sono emersi fatti importanti, se non uno, in modo indiretto: Elmo prima di essere sbugiardato, cosa avvenuta solo al’inizio del 2000, era tenuto in considerazione  per molte importanti indagini, diversi pm sono andati appresso alle sue dichiarazioni, oggi potrebbe essere di diritto ammesso nella cerchia dei depistatori che hanno sporcato tante indagini siciliane. Ad accorgersene era stato anche l’allora capo della Procura di Trapani, Gianfranco Garofalo, che dopo averlo sentito diverse volte, in un ultimo interrogatorio riempì un verbale di contestazioni contro quel testimone. E oggi che ricorre il 20° anniversario della strage di via D’Amelio, mentre si parla di trattative ed inciuci, la deposizione di Elmo prova che in questi anni spesso si è andati appresso a verità prefabbricate. Oggi 19 luglio 2012 poi anche l’imputato Vito Mazzara ha un anniversario da festeggiare: esattamente quella domenica di luglio del 1992 mentre a Palermo si urlava dolore per la strage di via D’Amelio, lui, nella sua Valderice, faceva festa…ufficialmente per l’inaugurazione della sua gioielleria.

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