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Salta giù: Abderrahman, i carabinieri di Montagnana (Pd) e i pirati della Malesia

«Rinfrescati le idee nel fiume» Migranti, la punizione dei militari.
La punizione inflitta ai migranti ubriachi a Montagnana (Padova). Patteggiano tre carabinieri ma sullo sfondo resta una morte misteriosa.
Melting Pot Europa, 29-11-2012
Il corpo di Abderrahman Salhi lo aveva trovato un contadino riverso a faccia in giù nelle fredde acque del Frassine, a pochi chilometri da Montagnana in provincia di Padova. Gli amici con cui condivideva la baracca in riva al fiume non avevano sue notizie da nove giorni, da quando qualcuno lo aveva visto salire a bordo di una macchina dei carabinieri nel centro storico di Montagnana durante la «Festa del prosciutto».
Era ubriaco Abderrahman quella sera, si era comportato un po’ sopra le righe e aveva infastidito qualche paesano. Per questo, alla fine, erano dovuti intervenire i carabinieri che lo avevano fatto salire in macchina e portato via verso un buco nero da cui uscì cadavere soltanto nove giorni dopo, la mattina del 24 maggio 2010.
«Morto affogato», la più facile delle conclusioni per quel cittadino marocchino venticinquenne, senza fissa dimora, spesso ubriaco e clandestino. Un invisibile, in sostanza. E invece è stata proprio la fine di Abderrahman a sollevare il velo su una storia incredibile che lunedì ha portato al patteggiamento di tre carabinieri della stazione di Montagnana: 2 anni, pena sospesa, per il maresciallo capo Claudio Segata e 1 anno e 10 mesi per Giovanni Viola, entrambi accusati di concorso in sequestro di persona e violenza privata. Ha patteggiato invece una multa di 300 euro l’appuntato scelto Daniele Berton, accusato di omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale, la stessa ipotesi per cui andrà a processo l’appuntato scelto Angelo Canazza.
Perché scavando nella vicenda di Abderrahman il procuratore aggiunto di Padova Matteo Stuccilli e il sostituto Roberto D’Angelo hanno portato alla luce una vicenda assurda di violenza e diritti violati.
Il marocchino, infatti, dopo essere stato fermato in paese era stato condotto dai militari sul greto del Frassine e poi costretto a saltare dentro le acque buie del fiume dove poi venne ritrovato cadavere. L’inchiesta per omicidio colposo, però, si avvia ormai a chiusura perché la procura ha già depositato la richiesta di archiviazione a carico dei militari. L’autopsia sul cadavere del venticinquenne, eseguita dal professor Massimo Montisci, ha infatti rilevato segni nella parte frontale della testa di Abdherrahman compatibili con una caduta, ma ha fissato il momento della morte ad alcuni giorni dopo la sera del suo «prelievo» ad opera dei carabinieri.
Abdherrahman, in sostanza, è morto sì affogato dopo essere caduto nelle acque del Frassine, è rimasto sì cadavere per alcuni giorni nel greto del fiume, ma il tutto sarebbe accaduto in un momento successivo rispetto a quando fu costretto a saltarci dentro dai carabinieri. Discorso chiuso, allora, pur con tutti i dubbi che la perizia medico legale non è riuscita a fugare.
Quello che è invece è andato avanti fino ad arrivare al patteggiamento di lunedì, invece, è il fascicolo che la procura ha aperto in base ai risultati dell’inchiesta. Un lavoro che ha permesso di scoprire che quanto capitato ad Abdherrahman non era un fatto eccezionale, ma si trattava piuttosto di un «protocollo informale» che i carabinieri Segata e Viola hanno utilizzato in seguito in altri quattro casi.
Tutti con storie più o meno simili che hanno visto per protagonisti altri due immigrati. Fermati in strada o perché ubriachi o perché responsabili di molestie, «privati della libertà – hanno scritto i magistrati nell’atto di chiusura indagini – costretti a salire su veicolo di istituto e condotti in località argine del fiume Frassine» dove poi li «costringevano a immergersi in acqua». Un rito ripetuto per altre quattro volte, fra l’estate del 2010 e quella del 2011, dopo la morte di Abdherrahman Salhi.
Una sorta di punizione sommaria inflitta agli immigrati sorpresi ubriachi a disturbare la quiete dei diecimila abitanti del Comune amministrato, da maggio 2011, dalla sindaca leghista Loredana Borghesan. Fatti che, hanno scritto i magistrati, gli appuntati Berton e Canazza avrebbero «omesso di denunciare» nonostante fossero «agenti di polizia giudiziaria ai quali incombeva l’obbligo del rapporto».
Sono stati, infatti, propri i due immigrati vittima del «trattamento speciale» a raccontare alla procura di Padova di quelle pratiche, del prelievo in città e del bagno nelle acque del Frassine. Lo stesso Salhi, prima di quell’ultima sera in cui fu visto vivo salire nell’auto dei carabinieri, ad aprile 2010 aveva dovuto subire il medesimo trattamento.
Ricostruzioni che i carabinieri coinvolti non hanno potuto smentire, spiegando che si trattava unicamente di una pratica «per far rinfrescare le idee» agli extracomunitari obbligati.
Articolo di Massimo Solani
tratto da: unita.it

Ambak pare. Salta giù. Così sono soprannominati i pirati tra la Malesia e le Filippine, così si rivolgono alle loro vittime una volta che le hanno rapinate. Ecco cosa mi ricorda questa storia. Ma un conto sono i pirati della Malesia e quei lontanissimi mari, un altro il rio Frassine nel Veneto e una gazzella dei Cc…Chissà cosa hanno detto i Cc al povero Abderrahame. Salta giù?

Il fiume Frassine (nella foto in piena) è un corso d’acqua della provincia di Padova. È un canale di origine artificiale che, presso Borgo Frassine di Montagnana, accoglie le acque del Guà deviandole verso est. Segna per un tratto il confine con la provincia di Vicenza quindi, in comune di Este, giunge ai piedi dei colli Euganei dove le sue acque sono incanalate nel canale Brancaglia che in ultima sfocia nel Gorzone.

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