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Follia, solitudine a armi a volontà, come 13 anni fa a Columbine: ecco i diari dei due killer del ’99

Stragi americane. Tredici anni fa lo stesso copione di ieri, a Columbine. Michel Moore ha cercato di spiegarlo nel 2002 col suo film “Bowling a Columbine”, un altro film “Elephant” ha scavato nel problema. Che resta una società che produce mostri, armati fino ai denti. On è dunque solo un problema di armi, ma anche di schegge impazzite che trovano troppo facilmente armi. Qui di seguito l’articolo del corriere sulla pubblicazione, sei anni fa, dei diari dei due giovani killer di Columbine. Ecco:

Online i quaderni dei due studenti: «Siamo degli dei»

Columbine, i diari dei killer: «Sarà l’inferno»

Mille pagine di appunti: il massacro del ’99 fu studiato nei minimi dettagli. «Dopo aver sparato, ci schiantiamo in aereo su New York»

Disegni di persone con la gola tagliata. Approfondite ricerche sul serial killer Charles Manson. Frasi e simboli copiati dalla propaganda nazista. Inni d’amore per il sangue, e per le armi. È di questo che scrivevano, nei loro diari privati, i due ragazzi americani protagonisti della strage del Liceo Columbine, dove spararono all’impazzata uccidendo dodici compagni e un insegnante. Sette anni dopo, la polizia di Denver ha deciso di pubblicare questi diari online. Era il 20 aprile del 1999, il diciottenne Eric Harris e il diciassettenne Dylan Klebold entrarono nel loro liceo a West Denver, in Colorado, e prima di suicidarsi fecero una strage. La storia, che sconvolse l’America, fu raccontata in un documentario, «Bowling a Columbine» di Michael Moore, e ispirò un film, «Elephant» di Gus Van Sant.

«IO UCCIDERO’» – I diari, quasi mille pagine di appunti, hanno dato nuovi argomenti a chi, all’indomani della tragedia, disse che la strage poteva essere prevista ed evitata. Dagli appunti è evidente che i due giovani stavano pianificando il massacro da mesi. E che più volte, proprio a scuola, avevano lasciato intendere il loro progetto. In alcune pagine, i ragazzi si lamentano di non avere amici, di non essere abbastanza integrati a scuola. In altre lasciano proclami come questo: «Arriverà il giorno in cui io finalmente ucciderò. Ci sono al massimo cento persone nella scuola che sono sole e che io non voglio uccidere. Tutti gli altri devono morire». Lo scrive Harris nell’ottobre ’98, sei mesi prima della strage. E Klebold è ancora più esplicito: «L’inferno sulla terra, aaaah, il mio libro favorito» scrive sopra al disegno di un soldato decapitato, con un mitra e una pistola in mano. L’obiettivo della loro missione? «500+ dead», oltre cinquecento vittime. E poi, in una calligrafia che a volte sembra infantile, a volte è disturbante: «Noi, gli Dei, ci divertiremo… NBK (sigla di natural born killers, assassini nati,ndr) a uccidere i nemici, distruggere tutto, uccidere i poliziotti… Lo sapete cosa odio? Odio la gente».

«CI SARA’ DA DIVERTIRSI» – Tra le carte rese pubbliche dalla polizia ci sono anche ricerche e compiti in classe dei due ragazzi. Mesi prima della strage, Harris scrive in un tema che gli studenti «devono essere liberi di portare le pistole in classe»; in una lunga tesina si lancia in un’apologia della «cultura nazista»; in un altra racconta ammirato la vita di Charles Manson, paragonandolo a Gesù, e a Satana. Due mesi prima del massacro, in un racconto per la classe di letteratura, Klebold scrive la storia di un uomo che – senza motivo – uccide 9 persone. Finisce così: «Io vidi trasparire da lui potere, autocompiacimento e devozione. Compresi la sua azione». Più giù, l’appunto del suo professore: «Prima di darti un voto mi piacerebbe parlare con te di quello che hai scritto. Tu sei un eccellente narratore, ma ho avuto molti problemi nel leggere questo racconto».

«LA COSA PIU’ BELLA È ODIARE» – In una delle ultime pagine Klebold prevede nel dettaglio tutte le tappe del massacro, minuto per minuto: «Appuntamento alle sei del mattino in punto; 10.30, organizzazione finale; 11.09, prendere le bombe; 11.12 inizio della strage; 11.16, ritorno. Hahaha». No, nelle mille pagine dei loro diari i killer non parlano mai di suicidio. Anzi, hanno programmato anche un piano di fuga, dalla scuola all’aeroporto e da lì in aereo fino a un Paese straniero. Altrimenti, se le cose non fossero andate a buon fine, avevano immaginato un’alternativa: «Precipitare in aereo su New York City». «Ho l’intenzione di distruggere il più possibile – conclude Harris -. E non devo essere distratto dalle mie simpatie, dalla pietà o dalle preghiere. La cosa più bella è odiare».

Francesco Tortora

10 luglio 2006

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