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Olivier Voisin, fotografo. Morto in Siria

Un fotografo francese è morto in Siria, Olivier Voisin. Ne dà notizia International Journalist Festival di Perugia, prossima edizione dal 24 al 28 aprile. Olivier avrebbe dovuto partecipare…


Sono solo un piccolo fotografo, il piccolo Olivier

24 febbraio 2013

di Emilio Fabio Torsello

Olivier Voisin, fotoreporter francese di origini coreane, è morto oggi per le ferite riportate, dopo che alcuni giorni fa era rimasto coinvolto in combattimenti nella città di Hamah, in Siria, dove era andato per raccontare le atrocità della guerra, al seguito dell’Esercito Siriano Libero. Olivier avrebbe dovuto partecipare con me – il prossimo 25 aprile – ad un panel del Festival Internazionale del Giornalismo, insieme ad Amedeo Ricucci (Rai) e Andrea Iacomini (Unicef), per parlare della realtà dimenticata e per lo più ignorata della Siria.

Sono solo un piccolo fotografo, il piccolo Olivier, per me è un onore poter raccontare

mi aveva detto emozionato ricevendo l’invito a Perugia. In realtà l’onore era tutto nostro.

Prima della Siria, Olivier aveva fotografato la Libia, Haiti e tante altre situazioni di guerra e difficoltà. Nei suoi progetti c’era anche un viaggio in Birmania. Giornalista umile e coraggioso, cercava di raccontare la realtà: “La guerra ti cambia la vita – mi diceva – dopo che l’hai vissuta, vivi ogni cosa con una consapevolezza diversa”. E proprio per aver conosciuto l’inferno, Olivier era una persona solare, accogliente, sempre disponibile. Circondato da tanti amici. “Hi from Syria!”, esordiva sempre quando mi scriveva. E puntualmente concludevo con “Oliver be careful”. A dicembre sarei dovuto andare ad Aleppo con lui, poi saltò tutto per problemi economici. Ma mi scriveva sempre, quasi ogni giorno. E se anche la guerra che ha raccontato per anni (il suo sito è www.oliviervoisin.fr) questa volta l’ha ucciso, le sue fotografie, i suoi scatti in bianco e nero che con un attimo impresso sulla pellicola raccontavano la vita, resteranno. Grazie Olivier.

Di seguito, l’ultima mail che ha inviato dalla Siria a Mimosa Martini, giornalista del Tg5 che l’ha tradotta. Più che una mail è un vero e proprio reportage.

***

Siria 20 febbraio 2013

Alla fine sono riuscito a passare! Dopo essermi fatto rifiutare l’attraversamento della frontiera dalle autorità turche, è stato necessario passare il confine illegalmente di nuovo. Un passaggio non molto lontano ma attraverso la terra di nessuno con qualche mina a sinistra e a destra e il pagamento di tre soldati. Eccomi, solo soletto, attraverso il letto di un fiume con circa due chilometri da fare nascondendosi per non farsi notare dai cecchini.

Porca puttana, ho avuto una tale strizza di farmi pizzicare e di fare il passo falso!
E poi, a un tratto, l’amico siriano che mi aspetta e mi sento come se fosse una liberazione. La borsa e soprattutto le macchine fotografiche pesavano 10000 chili sulle spalle.

L’automobile è lì con gli uomini della sezione di combattimento che raggiungo a nord della città di Hamah, ci aspettano due ore di strada e arriviamo con i fari spenti per non farci vedere. Gli uomini mi accolgono incredibilmente bene! E rimangono impressionati dal passaggio in solitario del confine che ho appena fatto.

I primi colpi di artiglieria si fanno sentire in lontananza. Vengo a sapere che le forze lealiste sono a più di 25 chilometri a nord di Hamah e che la linea del fronte è rappresentata soprattutto dalle demarcazioni tra alauiti e sunniti. Quindi le forze di Assad bombardano alla cieca e restano molto potenti. Per fortuna gli aerei non attaccano più, talmente il tempo fa schifo!

Le condizioni di vita qui sono più che precarie. È un po’ dura. La buona notizia è che perderò un po’ di pancia, anche se al mio ritorno avrò bisogno di dieci docce per tornare appena presentabile.

Oggi mi sono imbattuto in alcune famiglie che arrivano da Hamah e che hanno perso la casa. Vivono sotto terra oppure dentro alcune grotte. Hanno perso tutto. Di colpo si ridimensiona subito il problema delle mie condizioni di vita in questa compagnia. Scatto foto ma non sono nemmeno sicuro che l’AFP me le prenda.

La notte fa freddo. Fortunatamente mi sono comprato delle calze da donna in Turchia e questo me la rende un po’ più sopportabile.

L’artiglieria spara ogni 20 minuti più o meno e il terreno trema spesso. Il fatto è che ho la sensazione che sparino alla cieca e comunque hanno cannoni abbastanza potenti da coprire una ventina di chilometri.

Ci sono pochi combattimenti diretti. La compagnia ha bisogno di più o meno 20000 dollari americani in munizioni per reggere tra le 2 e le 4 ore di battaglia. Di conseguenza combattono poco. Non fanno più niente tutto il giorno. Mi chiedo come possano vincere questa guerra.

Mi conferma ciò che sospettavo. La guerra durerà molto a lungo. Allora il capo del capo viene qualche volta a metterci del suo, porta una pecora da mangiare, e gli uomini se ne vanno a fare legna nei boschi qui attorno. Porta anche delle stecche di sigarette e la sera fa pregare tutti i suoi!

Certi sono molto giovani. Hanno già perduto una ventina di compagni, altri sono feriti ma sono comunque presenti e io penso soprattutto a Abou Ziad, che ha perso un occhio ed è lui che fabbrica i razzi rudimentali per lanciarli durante i combattimenti. E’ temerario e coraggioso. Sempre davanti, sempre il primo per tutto, per aiutare, per tagliare la legna, dare sigarette, alzarsi. Con qualche parola di arabo cerchiamo di parlarci. Evidentemente le discussioni cadono spesso sulla religione ma loro non si considerano salafiti. Detto tra noi, se così non fosse, non sarei più vivo. Mi piace stare con lui. Quando gli altri mi chiedono delle cose – chiaramente con l’apparecchiatura che ho – è sempre lui che li “sgrida” di lasciarmi in pace!

Rispetto ad Aleppo ho la netta sensazione che sia meno pesante dell’estate scorsa. In estate era davvero pesante anche se i colleghi più vecchi dicono che non è niente rispetto alla Cecenia. Sicuramente era perché io mi trovavo più vicino ai combattimenti e la mischia era quotidiana. Qui ancora una volta costa talmente tanto per loro che sparano solo ogni tanto. E’ diverso anche rispetto alla Libia dove avevano tutte le munizioni che volevano. E qui si sta molto più su battaglie in terreno aperto, niente a che vedere con i combattimenti di città.

Aleppo è appena stata dichiarata, la settimana scorsa, la città più distrutta dai tempi di Stalingrado durante la seconda guerra mondiale. Il comandante mi chiede quando la Francia fornirà loro un aiuto militare. E che ne so io!

Mi vergogno perché sono già due anni che non si sa. Mi dicono che nessuno li aiuta, e chiedono di cosa abbia paura l’Occidente. Io non ho voglia di rispondergli. Si ha paura dell’estremismo che si nutre costantemente della mancanza di educazione intellettuale di queste persone che considerano il Corano l’unico libro da leggere…che fare? E poi che cazzo, non sono mica un uomo di potere o un politico. Sono solo il piccolo Olivier, che muore di fame con loro e che gli rompe le palle perché i combattimenti diretti si fanno attendere. Il problema è quello che chiede Afp. Meno faccio e meno guadagno, c’è anche questo, e quanto guadagno ora non è certo fantastico e più i giorni passano più diventano le foto che mi vengono richieste e che non scatto.

E poi è vero, sono un tossico di questa roba di merda. Nessuna altra droga sarà tanto potente quanto l’adrenalina che ci scatena in un attimo sensazioni incredibili, soprattutto quella di voler vivere.

Stasera fanno tre giorni che sono arrivato. E come ogni volta dimentico come un idiota di portarmi un libro così di conseguenza non ho granché da fare la sera.

Lavorare le foto mi prende più o meno una media di 2 ore e siccome non c’è internet e la connessione è limitata mi ritrovo come un coglione.
La maggior parte dei ragazzi è gentile con me e cercano di rendere il mio soggiorno tra loro più piacevole possibile. Fanno 1000 domande su Parigi e sulla Francia e continuano a non capire come io possa essere francese. Allora dico loro che mio padre è francese e mia madre coreana. Detto questo mica è la prima volta che mi succede! In tutti i paesi del sud mi scambiano per un “cinese” anche se dire che si è coreani è sempre visto meglio!

Come ogni volta, immaginano come viviamo noi a casa nostra? E questo anche prima della guerra?

Mi sento sempre in imbarazzo quando mi chiedono delle foto di me a Parigi perché il divario è talmente forte. È come quando mi raccontava un vecchio amico su uno dei suoi viaggi nei paesi dell’est subito dopo il crollo del muro, la gente in Lituania non riusciva a capire che da noi ci potessero essere dei poveri che muoiono di freddo in inverno. Non mostrargli quelle foto (bisognerebbe anche che ne avessi nel laptop!) mi permette di vivere il momento presente e non quello del prima o quello del dopo.

Quello che manca è un po’ d’alcol! Se Dio è simpatico, sarebbe bello che la prossima guerra fosse altrove che in un paese arabo o musulmano! E che si potesse parlare alle donne anche. Gli uomini mi chiedono se non ho anche foto pornografiche. Questo è buffo…e triste allo stesso tempo perché non sarà certo dopo la guerra che ne avranno di più. Con questi cretini di moralisti religiosi.

La violenza è tanta. L’odio è tanto. Come si può alimentare un odio simile? Una simile voglia di andare a uccidere? Ho visto dei video degli abitanti di Homs massacrati di botte dai soldati lealisti, non ho mai visto così tanta violenza e sangue dappertutto con uomini che piangono come bambini…e i colpi che continuano ad abbattersi che siano sui piedi, sulle mani, o che siano i colpi di bastone che fanno schizzare il sangue. Eppure ne ho già visto un bel pezzo di questo mondo di merda. Queste immagini per la loro violenza, se un giorno saranno confermate da testimonianze, visto che si vedono le facce dei soldati, saranno da tribunale internazionale.

Noi occidentali crediamo, oppure siamo cresciuti, con questa idea del diritto, che è possibile far giudicare degli uomini da parte di altri uomini. Ma come fare questo con uomini che credono solo nella giustizia divina? Il dopo sarà altrettanto sanguinoso, sempre se questo dopo arriverà. La questione della riconciliazione è importante per noi anche per la nostra cultura cristiana.

Mi ripeto: ma in Polonia o in Cecoslovacchia dopo la caduta del muro, ci ritrovo questa idea di riconciliazione in paesi cristiani che soffrivano ugualmente per le persecuzioni nei regimi comunisti. Ma il paragone si ferma lì. “Questa fiducia del cuore” di cui ci parlava Frère Roger de Taizé che avrebbe tanto segnato me e i miei amici, ancora oggi più che mai è proprio la preghiera dei parà che mi viene in mente ogni volta che dubito: “Mio Dio, dammi ciò che gli altri non vogliono, dammi la rissa e la tormenta, Te lo chiedo questa sera perché domani non ne avrò più il coraggio”.

Olivier

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