Amedeo Ricucci (Rai), Elio Colavolpe, Andrea Vignali, Susan Dabous (free-lance). Quattro giornalisti rapiti in Siria.
venerdì, 5 Aprile, 2013Quattro reporter rapiti dai ribilli in Siria. I loro nomi li fa Pino Scaccia. Sono Amedeo Ricucci (Rai, sotto nella foto) e tre free-lance Elio Colavolpe, Andrea Vignali, Susan Dabous: Seguiamo con apprensione la situazione. Ecco cosa ha scritto Scaccia in “Professione reporter”:
Rieccoci, ancora quattro reporter rapiti per non farli raccontare – scrive Pino Scaccia. Tre coraggiosi freelance (Elio Colavolpe, Andrea Vignali e l’italo-siriana Susan Dabous) più un caro amico, Amedeo Ricucci della Rai. Vecchia quercia: stava nell’Afghanistan sotto i talebani, nascosto in montagna insieme al mio vecchio compagno di viaggio Norberto Sanna, e stava con lui anche a Ramallah, in Palestina, quando i carri armati israeliani uccisero un valente fotoreporter, Ciriello. Adesso si trova Siria come ha annunciato brevemente sul suo profilo Facebook pochi giorni fa: “Ci siamo. Parto. Per la Siria, ancora una volta. E’ doveroso e spero che serva a bucare il muro dell’indifferenza. SILENZIO, SI MUORE è non a caso il nome che abbiamo dato a questo nuovo reportage RAI. Lo potrete seguire giorno dopo giorno, fino al 15 aprile, sulle pagine del mio blog e sul sito http://www.lastoriasiamonoi.rai.it, grazie ad un web-doc che si preannuncia molto interessante. Parlatene, condividete i miei post, aiutateci a parlare di questa tragedia infinita”.
E’ partito infatti per un progetto importante. Lo ha spiegato lui stesso sul blog due settimane fa: “Onesta, umiltà, passione, competenza, interazione e trasparenza: sono secondo me i presupposti per costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network. Non c’è altra via per recuperare la credibilità di un mestiere che sembra aver perso l’anima, oltre che la bussola, e si dimostra sempre più incapace di intercettare le esigenze reali dei suoi ”editori di riferimento”, quelli veri, che sono i lettori o i radio-tele-spettatori, al cui servizio noi giornalisti dovremmo porci, sempre. Le tecnologie digitali offrono da questo punto di vista delle opportunità gigantesche per innervare di linfa fresca il nostro lavoro, per ridargli senso e dignità. Bastano solo un pizzico di coraggio e la voglia di sperimentare, rimettendosi in gioco personalmente. Prendiamo il caso della Siria, una tragedia infinita che si consuma nell’indifferenza delle cancellerie occidentali e dell’opinione pubblica internazionale. Raccontarla andando sul posto non è facile, come dimostra l’alto tributo di sangue già pagato dai giornalisti e dagli operatori dell’informazione che in questi due anni hanno provato a farlo. E poi c’è il rischio dell’effetto-assuefazione, che consiglia di non esagerare con le notizie, le foto o le immagini dai fronti di guerra per non turbare troppo i sensi e le coscienze delle famigliole riunite per cena nel tinello di casa. Tutto vero. Forse, però, l’indifferenza è figlia anche della nostra incapacità di raccontare la tragedia siriana, coinvolgendo di più e meglio il nostro pubblico, rendendolo cioè partecipe di quella tragedia. Ed è una cosa che si può fare, con le tecnologie che abbiamo a disposizione. Anzi, è una cosa che si deve fare, se si crede nel dovere della testimonianza e nel diritto all’informazione”. Una grande lezione, soprattutto per chi ancora non ha capito che il mondo non può rinunciare ai testimoni.
I quattro giornalisti italiani sono stati sequestrati, sembra, da un gruppo di ribelli al nord, appena passato il confine con la Turchia, stessa zona dove fu rapito l’americano James Foley. L’angoscia è alta. Ricordiamo che la Siria è il Paese più pericoloso attualmente per i reporter. L’anno scorso ne sono stati uccisi addirittura trentotto (undici stranieri), quest’anno già quattro. Almeno ventuno i rapiti di cui soltanto tredici rilasciati. Probabilmente Amedeo e gli altrisono stati traditi dagli accompagnatori. Perché la Siria è un posto maledetto dove addirittura mettono le taglie sui giornalisti.
Il 23 marzo Amedeo Ricucci ha scritto infatti sulla sua pagina Facebook:
Onesta, umiltà, passione, competenza, interazione e trasparenza: sono secondo me i presupposti per costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network. Non c’è altra via per recuperare la credibilità di un mestiere che sembra aver perso l’anima, oltre che la bussola, e si dimostra sempre più incapace di intercettare le esigenze reali dei suoi ”editori di riferimento”, quelli veri, che sono i lettori o i radio-tele-spettatori, al cui servizio noi giornalisti dovremmo porci, sempre. Le tecnologie digitali offrono da questo punto di vista delle opportunità gigantesche per innervare di linfa fresca il nostro lavoro, per ridargli senso e dignità. Bastano solo un pizzico di coraggio e la voglia di sperimentare, rimettendosi in gioco personalmente.
Prendiamo il caso della Siria, una tragedia infinita che si consuma nell’indifferenza delle cancellerie occidentali e dell’opinione pubblica internazionale. Raccontarla andando sul posto non è facile, come dimostra l’alto tributo di sangue già pagato dai giornalisti e dagli operatori dell’informazione che in questi due anni hanno provato a farlo. E poi c’è il rischio dell’effetto-assuefazione, che consiglia di non esagerare con le notizie, le foto o le immagini dai fronti di guerra per non turbare troppo i sensi e le coscienze delle famigliole riunite per cena nel tinello di casa. Tutto vero. Forse, però, l’indifferenza è figlia anche della nostra incapacità di raccontare la tragedia siriana, coinvolgendo di più e meglio il nostro pubblico, rendendolo cioè partecipe di quella tragedia. Ed è una cosa che si può fare, con le tecnologie che abbiamo a disposizione. Anzi, è una cosa che si deve fare, se si crede nel dovere della testimonianza e nel diritto all’ Da questa esigenza è nato il progetto “Silenzio, si muore”, primo esperimento RAI (e italiano) di giornalismo partecipativo. Dal 1° al 15 aprile sarò di nuovo in Siria, a decidere questa volta il mio percorso di viaggio, le notizie da seguire e le storie da raccontare, sarà un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena, collegati costantemente con me via Skype. E’ un gruppo che ha già avuto modo di seguire il lavoro che noi di “La Storia siamo noi” abbiamo fatto nei mesi scorsi ad Aleppo con“Siria 2.0″ e sono ragazzi magnifici, da cui mi farò guidare con piacere, certo che i loro consigli, dubbi ed emozioni possano essermi altrettanto utili di quelli che può darmi un collega o il mio direttore.
Non sarà un video-gioco, attenzione. Sarà un modo per portarli con me, tutti e 20, grazie a una tecnologia che ormai annulla qualsiasi distanza. E sono certo che sarà un modo per raccontare la guerra in maniera diversa e, spero, più coinvolgente. Potranno seguirlo tutti gli internauti, sul sito RAI de La Storia siamo noi, grazie ad un web-doc che costruiremo giorno dopo giorno, io dalla Siria e i ragazzi dall‘Italia. Maggiori dettagli ve li darò nel prossimo post. Per adesso vi dico solo: accorrete numerosi, perché ne vale la pena.
P.S. SILENZIO, SI MUORE non sarà solo un web-doc e un reportage televisivo. Sarà anche una open community a cui ognuno potrà dare il suo contributo dalle nostre pagine sui social network. Cominciamo perciò a dare gambe solide a questa nostra community, condividendo questo post e gli altri che seguiranno…
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