E dopo le Fosse Ardeatine Erich Priebke andò a terrorizzare il bresciano. Ecco cosa fece al Nord
domenica, 20 Ottobre, 2013Erich Priebke a Brescia. Una pagina dimenticata degli orrori dell’ex capitano, raccontata da Bresciaoggi il 17 ottobre 2013. Dedicato ai perdonanti e a chi invoca la pietas per le Ss. E anche a quel chirurgo bresciano, Alberto Negri, che gli ha offerto un posto nella cappella di famiglia. Dopo le Fosse Ardeatine Priebke si spostò al Nord: ecco le sue imprese in quel ’44 in attesa della Liberazione. Ce le riferisce l’ex partigiana, allora diciottenne, Agape Nulli (nella foto):
Quando Priebke terrorizzava il Bresciano
LA STORIA. Il «boia delle Fosse Ardeatine» rimase qui a lungo. In molti, soprattutto detenuti a Canton Mombello, subirono per ordine suo pestaggi e torture. Il ricordo di Agape Nulli: «Un ufficiale alto, elegante, dal tratto freddo e signorile. Comandava i rastrellamenti, ordinava le deportazioni»
Martedì si è scatenata la bagarre, e i funerali di Erich Priebke non hanno avuto luogo ad Albano. Nel pomeriggio di ieri la salma del “boia delle Fosse Ardeatine” era ancora ferma all’aeroporto di Pratica di Mare, dopo esserci arrivata nella notte con un furgone. Anche Brescia è stata segnata dalla presenza del capitano delle Ss. Molti bresciani, soprattutto quelli detenuti nella sezione speciale di Canton Mombello, subirono per ordine suo pestaggi e torture, alcuni persero la vita. I documenti conservati nell’Archivio storico della Resistenza fanno capire che Priebke è stato molto solerte nell’ottemperare alla disposizione di distruggere il movimento partigiano. C’È PURE una testimone d’eccezione, che si chiama Agape Nulli, vedova di Sam Quilleri ex comandante partigiano e poi deputato liberale. Ieri non è stato possibile rintracciarla, ma nel ’96, ai tempi del processo al criminale nazista, con un’intervista al «Corriere della Sera» testimoniò con efficacia le responsabilità del «boia». «Erich Priebke me lo ricordo benissimo – ebbe a dire tra l’altro -. Per nove mesi sono stata sua prigioniera nel carcere di Canton Mombello. Priebke era il comandante delle Ss a Brescia e provincia, un ufficiale alto, elegante, dal tratto signorile, freddo. Aveva potere assoluto. Era lui che comandava i rastrellamenti, era lui che ordinava le deportazioni nei lager di uomini, donne e bambini. Era lui che ordinava all’aguzzino del carcere, Leo Steinweinder, di interrogare e picchiare selvaggiamente noi partigiani. Mi ricordo Bruno Gilardoni: dopo ore di botte era appeso al soffitto. Priebke entrò nella stanza e chiese a Leo se si poteva continuare quello che definì l’interrogatorio. Gli uomini da fucilare, invece, li consegnava ai fascisti italiani. Per nove mesi, fino alla fine della guerra, Priebke è stato il capo dei nazisti, sopra di lui c’era solo il comandante supremo che risiedeva a Verona. E per favore non dite che doveva obbedire agli ordini. Qui a Brescia, tappa successiva della sua carriera dopo Roma e le Fosse Ardeatine, gli ordini li dava lui». Agape Nulli Quilleri aveva 70 anni, nel ’96. Quando fu arrestata era una ragazzina diciottenne che faceva la staffetta per le Fiamme Verdi. In bicicletta trasportava valige piene di caricatori per i fucili modello ’91 e messaggi in codice da un gruppo partigiano all’altro, sfidando i posti di blocco della Gestapo. Venne catturata il 18 agosto ’44 e rimase in prigione fino al 25 aprile ’45.Tuttavia negli ultimi anni è stata tra le più attive nel chiedere di mettere fine alla stagione dell’odio. IL CAPITANO delle Ss ebbe molti ruoli in terra bresciana. Tra gli altri, dal 14 giugno 1944 divenne ufficiale di collegamento con lo stato maggiore della Guardia nazionale repubblicana (Gna) con sede in città, e diede un forte impulso a perquisizioni e azioni di rastrellamento per individuare le cellule cittadine di supporto ai partigiani che presidiavano le valli e le montagne nostrane. Lui stava a Brescia, però, e non si allontanava mai dalla città. Gli arrestati, allora, furono centinaia, appartenenti alla Resistenza o semplici sospettati. Reclusi a Canton Mombello, venivano portati al suo quartier generale per gli interrogatori, che a volte conduceva personalmente. Allo scopo aveva requisito una palazzina stile liberty tuttora esistente tra via Panoramica e via privata Mai. Era un luogo isolato, a quei tempi, e gli interrogatori potevano avvenire al riparo da orecchie indiscrete. Dai documenti non risulta che fosse un picchiatore, il che non vuol dire che non approvasse. Semplicemente, pare che non si abbassasse a tanto, e lasciava le torture ai subordinati. Non sempre le date relative alla sua permanenza a Brescia sono univoche. Così come non trova conferma una notizia secondo la quale sarebbe stato a Brescia già nel ’42, a capo della sezione locale della Gestapo, periodo in cui si sarebbe distinto per aggressività e insensibilità nel suo rapporto con gli italiani. Si tratta di una presenza che solleva molti dubbi. Soprattutto, nel ’42 si era ancor lontani dall’armistizio dell’8 settembre del ’43. In Italia non c’erano ancora ingerenze naziste nel governo fascista, e non si spiegherebbe l’esistenza di una sezione Gestapo.
Mimmo Varone
Ringrazio Varone e i colleghi di Bresciaoggi per questo articolo.
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