Grazie al Binario 21 di Milano un milanese scopre che la madre Jeannette è ebrea e che scappando allora ha cambiato identità da Levy in Scarpiot…
martedì, 18 Febbraio, 2014I percorsi della memoria. Questa sera a Roma Vera Vigevani delle Madres de la Plaza de Mayo, che ha vissuto due strappi violentissimi come la Shoah con le leggi razziali che l’hanno costretta ad emigrare in Argentinamentre suo nonno rimasto a Milano finiva vittima ad Auschwitz e poi con sua figlia Franca “desaparecida” nella dittatura argentina di Videla, ha ricordato in un incontro alla Fondazione Basso l’importanza della memoria. E da Milano dove proprio Vera Vigevani ha partecipato in gennaio alla memoria del Binario 21 ecco riemergere una storia terribile: dopo 70 anni grazie a quel binario la nonna di una ragazzina andata con la scuola a ricordare ciò che è statoi rivela di essere ebrea e di aver cambiato identità in Francia allora. La storia pubblicata sul portale Kolòt (voci). Ecco:
Mia madre dopo 44 anni mi ha detto che sono ebreo
2014/02/18Comunità Ebraiche, ShoahTag:Fabrizio Candoni, Liliana Segre, Paola D’Amico
Fabrizio: nata in Francia, aveva cambiato cognome. La rivelazione dopo che la figlia aveva ascoltato Liliana Segre a un incontro per il Giorno della Memoria
Paola D’Amico
Un uomo scopre, per caso, a 44 anni di essere ebreo. E inizia un viaggio a ritroso nel tempo per ritrovare le proprie radici. Tutto comincia nel Giorno della Memoria, quando la sua secondogenita incontra alla scuola Morosini una testimone della Shoah d’eccezione, Liliana Segre con il direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli. Non possono le parole di Liliana non lasciare il segno sulla bambina, che riporta a casa l’emozione di quel tragico racconto. E come un’eco quel racconto rimbalza fino alle Dolomiti, dove i genitori del nostro protagonista, Fabrizio Candoni, hanno deciso di vivere da qualche anno.
Un fine settimana, la famigliola va a trovare i nonni e lì Fabrizio fa la cronistoria dell’incontro di Sophie con la testimone Liliana. L’anziana mamma, Jeannette, ascolta il figlio, la nipotina, la storia delle deportazioni su carri merci dal Binario 21 ai campi di concentramento nazisti. Poi dice a Fabrizio: «Ti devo raccontare una cosa…». «Pensavo dicesse che anche lei aveva fatto le scuole elementari alla Morosini. Invece no». Prende per mano quel figlio ormai cresciuto e lo porta in cantina. Apre un baule, fruga tra le carte ed estrae una pergamena ingiallita dal tempo: «Vedi, il mio cognome vero era Levy, non Charpiot.
I miei genitori erano ebrei, lo sono io e lo sei tu». Fabrizio rimane senza parole. «Difficile descrivere l’intensità dell’emozione che ho provato. Non è facile capacitarsi di come mia madre sia stata capace di custodire così gelosamente un segreto. E anche mio padre. Bruno, che ho interrogato, ovviamente, e mi ha detto di essere a conoscenza di tutto. Ho provato ad insistere. Papà, perché non me ne hai mai parlato? E lui: se non lo faceva la mamma, perché avrei dovuto farlo io?».
Dopo la sorpresa, Fabrizio, manager di multinazionali, da 20 anni sempre in giro per il mondo, è rimasto affascinato dall’idea di riscoprire le proprie origini. «Sono cresciuto in una famiglia laica, con un papà scienziato, professore di fisica, non sono stato battezzato, ero esentato dalle lezioni di religione. Ora mi dico, sono ebreo. Ma non basta. Mia madre è nata a Nancy e ora voglio andare a scoprire qualcosa di più sulle sue origini e sulla storia della sua famiglia. Nancy è il capoluogo della Lorena, che segna il confine con la Germania. «Il suo certificato di nascita dice che è nata il 2 febbraio del 1935 come Jeannette Levy». Due giorni dopo, il 4 febbraio, un altro documento che Jeannette ha custodito per 78 anni, dice che viene affidata ai coniugi Lucien e Sara Charpiot. «Adottata, dunque. Questo è il secondo dato famigliare su cui voglio indagare. È stato un po’ choccante scoprire che Lucien e Sara erano nonni adottivi. Erano molto benestanti, una famiglia conservatrice, tra loro si davano del ‘voi’.
Erano molto anziani e sono morti quando ero piccolo, avevo 9 anni. Abitavano in un grande attico a Nancy lo ricordo bene. La mamma, invece, a 22 anni venne in Italia e , qui conobbe papà». Un tarlo assilla Fabrizio Candoni. «Mi sono domandato, se Sophie non avesse incontrato Liliana Segre e tutti assieme non avessimo raccontato la giornata della Memoria ai nonni, forse non avrei mai conosciuto le mie origini». Quella valigia sepolta in cantina, poteva non essere mai aperta. E certo, invece, di riuscire a riscrivere la storia della famiglia, risalire lungo l’albero genealogico materno. «Conto sulla burocrazia francese, ho visto come custodiscono gli atti e come sono meticolosi».
Il manager, che tra l’altro ha inventato un microchip che verifica la sicurezza sui cantieri, è in partenza per Mosca. Al rientro scriverà il secondo capitolo della sua storia.
Corriere della Sera – Milano – 17.2.14
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