La sentenza sul Piano Condor, lacrime e riconoscimenti. A sera tutti insieme a cantare “Todo cambia”
mercoledì, 18 Gennaio, 2017Una sentenza sui “desaparecidos”. Una sentenza con luci e ombre, però importante. La prima che dice che il Piano Condor è esistito e ha permesso atrocità nei paesi dell’America Latina.
Condannati due militari cileni per gli omicidi dei cileni Juan Montiglio e Omar Venturelli. Condannati altri cinque militari, tre peruviani e due boliviani, più un civile uruguaiano, per altri omicidi.
Assolti molti accusati, ben 19, soprattutto uruguaiani. E questo è apparso inaccettabile…
Ma il primo punto da cui partire è la sanzione, storica, sul famigerato Piano Condor. La sentenza, quando se ne conosceranno le motivazioni, ci dirà di più. Per tutti i paesi latinoamericani, a partire da Cile, Argentina e Uruguay, questo punto è un punto importante acquisito. I militari condannati di paesi diversi come Cile, Uruguay, Perù e Bolivia ne sono una testimonianza.
C’era grande attesa per gli omicidi noti perpetrati in Cile subito dopo il golpe dell’11 settembre 1973.
La Terza corte d’assise di Roma ha condannato all’ergastolo due militari. Hernàn Jeròninmo Ramireza Ramirez e Rafael Ahumada Valderrama, ritenuti responsabili della morte di Omar Venturelli e di Juan Montiglio.
Il primo Hernán Jerónimo Ramírez Ramirez era nell’ottobre del 1973, nel momento in cui “scompare” Omar Venturelli detenuto nel carcere di Temuco, il comandante militare della regione. Non poteva non sapere dell’eliminazione di quell’ex sacerdote, che si era battuto per la lotta dei Mapuche per la terra, militante del Mapu, vicino al Mir, sposato e con una bambina piccola, arrestato, torturato e poi “scarcerato” in una di quelle finte scarcerazioni che equivalevano all’eliminazione. Il suo corpo non è mai stato trovato..
Omar Venturelli
Per Omar Venturelli era stato già portato in aula a Roma, in un processo concluso purtroppo nel 2011 con un’assoluzione per l’articolo 530 (quello dell’insufficienza di prove) l’avvocato cileno Alfonso Podlech Michaud, un rappresentante dei “terratenientes”, all’epoca dei fatti procuratore militare. Era il 2011 e quell’assoluzione, seguita da un incidente procedurale per il quale la Procura è arrivata in ritardo a chiedere l’appello determinando così la fine del processo, aveva colpito la famiglia Venturelli ridotta dopo la morte della vedova Fresia all’unica figlia, Maria Paz, rimasta orfana all’età di tre anni.
Ora per Maria Paz c’è stato almeno questo riconoscimento.
Maria Paz “Pacita” Venturelli
L’altro omicidio sanzionato è quello di Juan Montiglio, assassinato l’11 settembre 1973 dopo l’espugnazione del palazzo presidenziale della Moneda a Santiago.
Montiglio è stato immortalato in quella foto straordinaria che ritrae il presidente di Unidad Popular, Salvador Allende, col casco in testa e il mitra in braccio mentre esce dalla Moneda sotto l’infierire dell’attacco dei militari golpisti.
Montiglio è il giovane con gli occhiali subito dietro il presidente, è in quel momento nella guardia del presidente come membro del Gap (Grupos amigos del Presidente), gli altri due della foto si chiamavano Bertulin (con i baffi) e Mauricio. Tutti morti.
Ma Montiglio fu liquidato dentro la caserma Peldehue in modo atroce. Fu portato lì, gli fecero scavare la fossa, lo colpirono alla testa con un colpo di arma da fuoco, poi sul corpo esanime finito nella fossa scaraventarono parecchie bombe a mano per dilaniarlo in modo totale.
A capo della caserma era Rafael Ahumada Valderrama, ecco il motivo della sua condanna all’ergastolo.
La storia di Juan Montiglio, 26 anni, due figli, non è finita qui. Pochi anni fa sono stati ritrovati i resti di quella fossa comune in cui ci sono anche i suoi. E’ stato preso il dna della figlia Tamara, non quello della madre perché la donna non è la donna che l’ha partorito. Quella., la madre naturale, vive invece (o viveva fino a poco tempo fa) a Puerto Montt e finora nessuno le ha mai chiesto il dna per riconoscere i resti di Montiglio.
La morte di Juan Montiglio ora ha un responsabile. E per Tamara e Alejandro, i suoi figli venuti a Roma, la sentenza di ieri ha avuto un senso.
Il terzo caso più importante cileno era quello di Juan Maino, 26 anni, fotografo, militante del Mapu. “Dassaparecido”. Per lui era chiamato a risponderne il militare Pedro Octavio Espinoza Bravo. La Corte l’ha assolto. Margarita Maino, la sorella della vittima, venuta a Roma dalla lontana Santiago, non ha nascosto ieri le lacrime.
Margarita Maino
A Juan Maino l’Ambasciata del Cile ha dedicato una mostra che espone una trentina di belle foto scattare prima del goipole dal fotografo nelle periferie povere di Santiago. Almeno questo è stato un riconoscimento alla sua fìgiovane vita stroncata dalla dittatura.
Maino fu prima torturato a Villa Grimaldi e poi liquidato nella Colonia Dignidad, una struttura agricola gestita da tedeschi ex nazisti guidati da un orribile pedofilo.
Juan Maino
Per Maino si è mobilitata a lungo la madre che ha guidato anni fa, prima di morire, una processione dentro Colonia Doignidad conclusa in riva al fiume che attraversa il comprensorio dove furono gettati fiori. Un video su you tube documenta la triste scena.
Del resto si è detto. A far scalpore le assoluzioni degli uruguaiani, salvo un civile ritenuto reponsabile della morte di Banfi. Ma come hanno annunciato già ieri i difensori delle vittime uruguaiane se ne riparlerà presto all’appello. La lotta per la verità non è finita.
I familiari ieri a Roma hanno cenato insieme e alla fine hanno cantato qualche canzone, in coro hanno sottolineato che “Todo cambia”…
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