Informazioni che faticano a trovare spazio

Dario Lanzardo

E’ morto Dario Lanzardo. Aveva animato Torino negli anni ’60. Veniva dalla Spezia dove aveva fatto il fotoreporter col giornale di Bilenchi. Poi dagli anni ’70 si era dedicato molto alla fotografia. Aveva presentato i suoi scatti in parecchie mostre, di recente. A La Spezia, a Genova alla biblioteca Berio…Gli anni ’70. Come in questo scatto qui sotto. L’avevo conosciuyto allkora in quella Toruino che si svegliava dal lungo sonno degli anni ’50. Un uomo allegro, spiritoso, felice di essere stato nei Quaderni Rossi, un vanto allora. Devo aver dormito anche a casa sua, si faceva così. Grazie comunque. Pubblico il ricordo che ha fatto Vittorio Rieser su Liberazione.


Attenzione: apre in una nuova finestra.

Dario Lanzardo, compagno fuori del comune

Dario Lanzardo, scomparso sabato a Torino, è stato un compagno fuori del comune, un militante e un intellettuale poliedrico e innovativo; un intellettuale autentico e non “per mestiere”, anche perché la sua formazione intellettuale se l’è costruita da sé, in un’esperienza di lavoro e politica incasinata e multiforme. Diplomato macchinista navale, ha lavorato sulle navi (e di questo c’è un’eco nel suo primo romanzo), ha fatto il fotoreporter collaborando a giornali, ed è approdato a Torino (da La Spezia dov’era cresciuto) alla fine degli anni ’50 come dipendente delle Ferrovie. E’ qui che inizia il mio incontro con lui – e, siccome era il mio più antico e caro amico, inevitabilmente percorrerò un po’ il filo dei miei ricordi.
Arrivò a Torino, insieme alla sua compagna Liliana, come militante di sinistra del Psi – scopersi dopo che, a La Spezia, aveva fatto parte (come me e Giovanni Mottura a Torino) dello sparuto ma vivace gruppo dell’Usi di Valdo Magnani – e subito Dario e Liliana legarono col gruppo di compagni che si stava costruendo attorno a Raniero Panzieri, approdato a Torino dopo essere uscito dal gruppo dirigente del Psi, ormai dominato dalla linea di Nenni. Nacquero allora i Quaderni rossi, a cui Dario diede un contributo determinante: sul piano dell’elaborazione sindacale (l’opuscolo sulla lotta contrattuale dei ferrovieri fu il primo in cui si proponevano – un po’ (forse troppo) in anticipo – gli aumenti salariali uguali per tutti) e sul piano teorico: è grazie a un articolo di Dario (“Produzione, consumi e lotta di classe”, Quaderni rossi n° 4) che “scoprimmo il fordismo” e la sua portata innovativa nello sviluppo capitalistico.
Mi sia permesso qui un aneddoto. Nella prima fase dei Quaderni rossi, imperversavano i litigi tra i compagni che facevano capo a Tronti e chi vi si contrapponeva (Panzieri, per un po’, mantenne una posizione “mediana”). In una di queste riunioni, particolarmente infuocata, i compagni che facevano capo a Tronti ci spiegavano che la classe operaia era “tutta fuori del capitale”, mentre nella nostra analisi finiva per essere “tutta dentro al capitale”. In un intervallo, Dario – che, pur avendo una posizione precisa, manteneva un suo distacco ironico – camminava su e giù per la sala canticchiando “tutto fuori, tutto dentro – gli faremo un monumento…”.
Alla fine del periodo dei Quaderni rossi, Dario fu uno degli animatori di una delle esperienze più interessanti del lavoro operaio dei QR, il giornale “La Voce Operaia”, costruito insieme ad operai della Fiat, dal 1966 agli inizi del ’68. E – insieme a Liliana – prese attivamente parte all’intervento nelle lotte operaie avviato nel movimento studentesco: la Lega studenti-operai fu un’altra esperienza significativa di quel periodo.
Nel corso degli anni ’70, Dario si allontanò dalla militanza organizzata, non riconoscendosi nei vari “gruppetti” in cui si era frazionato il “movimento del ’68”; non però dall’impegno politico, come mostra la sua attività di fotografo (raccolta recentemente in una mostra fotografica sulle lotte di quel periodo), o il libro sui fatti di piazza Statuto.
Il (relativo) disimpegno dall’attività militante-organizzata fece esplodere tutte quelle capacità professionali e intellettuali che erano rimaste un po’ in secondo piano. Anzitutto la passione (e la genialità) sviluppatasi, fin dagli inizi, per la fotografia. Da allora ad oggi, Dario ha prodotto mostre e volumi di fotografie su una gamma di temi non solo politici, ma più “astratti” e – vorrei dire – “filosofici”: dalle armature agli spaventapasseri, dal tema della luce a quello delle nuvole. E non erano “solo fotografie”, perché attorno ad esse si sviluppava un’acuta e originale ricerca ed elaborazione culturale, che spaziava da Goethe agli autori più moderni. In questo si manifestava, anche, la “simbiosi intellettuale” con la compagna Liliana – che, come sappiamo, ha sempre mantenuto una sua autonomia di impegno politico e di ricerca (con importanti lavori di storia sociale), così come un suo originale lavoro di pittrice e autore di testi, ma che ha contribuito alla “ricerca intellettuale” che accompagnava il lavoro fotografico di Dario.
Ma Dario aveva anche una vena di scrittore – l’ultima, in ordine di tempo, che sviluppò pienamente: lo testimoniano i due romanzi e la raccolta di racconti usciti negli ultimi anni (altri ne aveva in cantiere).
Dario era un vulcano di idee – in tutti i campi. Si aveva l’impressione che producesse idee più rapidamente di quanto riuscisse a tradurne in testi di fotografie o letterari. Per questo si sentiva sempre “in ritardo”, malgrado lavorasse a un ritmo incessante. E per questo la sua morte improvvisa, oltre che dolore, ci lascia un senso di rabbia: perché Dario aveva tante cose ancora da dirci – alcune “già pronte” nella sua testa – che sono rimaste interrotte.

Vittorio Rieser

Liberazione, 22/02/2011

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