Informazioni che faticano a trovare spazio

L’Italia e la Nato responsabili della morte un anno fa dei 62 immigrati rimasti per 15 giorni in un barcone alla deriva in mezzo a navi da guerra e radar. Allora a capo della Nato era Di Paola attuale ministro della Difesa

Fa impressione sapere che il responsabile della Nato che ha lasciato morire 62 migranti nel canale di Sicilia sia l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (nella foto) che Monti ha scelto come suo ministro della Difesa.  Lasciati morire nel barcone alla deriva, un’agonia durata per ben 15 giorni nella primavera 2011, sotto i radar e gli occhi della Nato e dell’Italia. Lasciati morire nonostante l’allerta lanciata dal sacerdote don  Mussie Zerai (agenzia Habeshia) che è rimasto totalmente inascoltato. L’Ue li condanna. Condanna chi e come? Gli articoli di Repubblica, il pezzetto del Messaggero, il silenzio di tutto il resto. Molto assordante.

“Anche l’Italia responsable della morte di migranti”
la Repubblica, 30-03-2012
GIAMPAOLO CADALANU
SE I comandanti avessero seguito la legge del mare, se l’Italia avesse fatto il suo dovere, se la Nato non avesse ignorato gli appelli, i 63 migranti morti sulla barca alla deriva nel Mediterraneo nella primavera scorsa si sarebbero salvati. È una prima condanna, sia pure solo politica, il primo risultato dell’indagine aperta dal Consiglio d’Europa e curata dalla parlamentare olandese Tineke Strik. «Queste persone non dovevano morire», dice il documento intitolato Vite perse nel Mediterraneo: chi è responsabile. E la Tineke punta il dito prima di tutto sul nostro Paese, perché è stata la Guardia Costiera italiana a ricevere la prima richiesta d’aiuto, inoltrata il 27 marzo 2011 dal sacerdote eritreo Mussie Zerai, a sua volta contattato dai migranti disperati nel gommone alla deriva. Va aggiunto che a Bruxelles in quei giorni alla guida del comitato militare della Nato era l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, oggi ministro della Difesa del governo Monti: la relazione della Strik non lo sottolinea, ma è evidente che l’ammiraglio non poteva non sapere quello che stava succedendo al largo delle coste libiche.
Dopo nove mesi di inchiesta, il giudizio è severo: «Se i diversi attori fossero intervenuti, si sarebbe potuto mettere in salvo i migranti in molte occasioni. Molto si deve ancora fare per evitare che persone muoiano nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa». È vero che le acque del Mediterraneo non sono pietose: l’anno scorso sono morte almeno 1500 persone nel tentativo di raggiungere l’Europa. Ma stavolta, sottolinea la relazione della Strik, il caso è diverso, perché «appare che le richieste di soccorso siano state ignorate da pescherecci, navi militari e da un elicottero militare». Il contatto con quest’uItimo, secondo le testimonianze dei nove sopravvissuti raccolte nella bella inchiesta della Radiotelevisione svizzera Rsi, è stato quasi una beffa: il velivolo militare ha girato a lungo sulla barca, si è allontanato, è tornato solo per lanciare qualche pacchetto di biscotti e poche bottiglie d’acqua.
La condanna a morte per i 63 disperati è dovuta a una serie di ” errori” : non solo l’Italia e Malta non hanno dato seguito all’allarme lanciato dal Guardacoste, ma anche «la Nato non ha risposto alla richiesta di soccorso, anche se c’erano navi dell’Alleanza vicino alla zona da dove era stata lanciata la richiesta». In particolare, secondo quanto la Strik è riuscita a ricostruire, c’era una nave spagnola, la “Méndez Núnez”, ad appena 11 miglia, (dato discusso dalla marina di Madrid), mentre l’italiana “Comandante Borsini” era a 37 miglia. Non è chiaro a quale nave appartenga l’elicottero che ha portato i pochi rifornimenti: entrambe hanno a bordo un velivolo, ma in nessun caso riporta sulla fiancata la dizione “Army”, come raccontato dai superstiti. Le testimonianze dei sopravvissuti vengono considerate «credibili» dalla relatrice dell’inchiesta, anche quando parlano di un’altra nave militare, descritta come «molto grande», che si era avvicinata molto al gommone il decimo giorno, ma senza  fornire nssuna assistenza. I marinai si erano limitati a osservare con i binocoli e fotografare
Di chi sia stata la decisione ultima che ha condannato 63 esseri umani a morire di sete, di fame, o fra le onde, la Strik non lo dice. Il rapporto parla di «fallimento collettivo di Nato, Onu e dei singoli Stati nel pianificare gli effetti le operazioni militari in Libia e nel prepararsi per un atteso esodo via mare». Ma la storia non finisce qui: il documento della Strik sara al centro del dibattito all’assemblea del Consiglio d’Europa, il 24 aprile prossimo. Con la Speranza che le conclusioni non siano: colpa di tutti, quindi di nessuno.

I 63 migranti morti la Ue:”Fu colpa di Italia e Nato”
Il Messaggero, 30-03-2012
BRUXELLES. L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ieri ha accusato l’Italia e la Nato di essere responsabili della morte di 63 migranti che nel marzo dei 2011 avevano cercato di fuggire dalla guerra in Libia su un’imbarcazione, poi rimasta alla deriva per 15 giorni. Secondo un rapporto della Commissione per le migrazioni, i rifugiati e gli sfollati, «una serie di fallimenti» da parte delle autorità italiane, che avrebbero dovuto lanciare le operazioni di ricerca e soccorso in mare, e della Nato, che durante il conflitto libico controllava il settore, è all’origine del mancato salvataggio dei migranti. II barcone aveva lasciato Tripoli con 72 persone a bordo, una settimana dopo l’inizio dei raid aerei Nato, per tentare di raggiungere Lampedusa.

Il soccorso in mare è un obbligo per tutti
la Repubblica, 29-03-2012
Laura Boldrini
72 persone lo scorso marzo sono state lasciate alla deriva per 15 giorni. Eppure in tanti li avevano notati ma nessuno li aveva soccorsi. Come risultato di questa omissione 62 persone sono morte.
Secondo il rapporto presentato oggi all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, frutto di un’inchiesta durata 9 mesi, queste morti sono attribuibili ad una serie mancanze a cominciare da quelle riferibili alle autorità libiche che non hanno rispettato l’impegno di eseguire il soccorso in mare nella zona di loro competenza; ai centri di coordinamento di soccorso in mare di Italia e Malta che non hanno lanciato le operazioni di salvataggio; alla NATO che in quel momento aveva delle unità navali nelle vicinanze e non è intervenuta; agli Stati di appartenenza delle unità navali sotto mandato NATO (Italia e Spagna) ed infine a due pescherecci che avrebbero visto il gommone con i migranti a bordo e non li hanno soccorsi.
Per quanto riguarda questo specifico incidente non sta all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stabilire le responsabilità poichè non è nella posizione di poterlo fare. Va comunque sottolineato che l’obbligo di salvataggio in mare deve essere rispettato da tutti affinché il mar Mediterraneo non diventi una “terra di nessuno” dove vige l’impunità. L’antica tradizione del salvataggio in mare rischia di essere compromessa se gli Stati si dilungano a fare questioni di competenza.
Rimane incredibile e inaccettabile che nel corso dello scorso anno oltre 1.500 persone in fuga dal conflitto in Libia abbiano perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo, uno dei mari più pattugliati. Tutto questo dimostra che c’è urgente bisogno di sistemi di ricerca e soccorso più efficaci ed operativi. Nei primi tre mesi del 2012 altre 64 persone non ce l’hanno fatta, un numero che ci auguriamo non sia destinato ad au

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