Giovani tunisini dispersi, una madre si è data fuoco a Tunisi
domenica, 22 Aprile, 2012Migranti tunisini dispersi, ancora silenzio
Madre si dà fuoco: “Vogliamo verità”
Una delegazione di donne rappresentanti delle famiglie di migranti scomparsi è stata ricevuta dal consigliere del primo ministro Hamadi Jebali. Ma le ricerche sui clandestini che potrebbero essere sbarcati sul nostro territorio non vanno avanti. Si teme che molti di loro siano morti in mare
di SABINA AMBROGI
Si chiama Jannet Rhimi, abita a Tunisi, nel quartiere popolare di Ennour. Alle 4 di giovedì pomeriggio si è data fuoco e ha ustioni gravissime sul torace e sulla gola. E’ stata la cognata a salvarla da morte certa.
La mamma di Oussam, 19 anni, ha voluto così drammaticamente protestare contro le autorità tunisine e, indirettamente, contro le autorità italiane che dopo un anno non hanno dato né a lei né alle altre famiglie informazioni di alcun genere sulla sorte dei migranti dispersi.
Oussam voleva raggiungere il fratello in Europa. E’ partito la notte del 29 marzo 2011 per l’Italia assieme ad altri 35 ragazzi su un’imbarcazione di fortuna da una spiaggia vicino Sfax, a sud della Tunisia. Da allora, né lui né i suoi compagni di viaggio hanno più dato notizie di sé.
Jannet è ora ricoverata nell’ospedale di Ben Arous, lo stesso in cui tentarono invano di salvare il venditore ambulante Mohamed Bouazizi avvolto nelle fiamme che accesero la rivoluzione dei Gelsomini.
In seguito a questo avvenimento, ieri mattina, una delegazione di madri rappresentanti delle famiglie di migranti (molti dei quali protagonisti della rivoluzione) è stata ricevuta dal consigliere del primo ministro Hamadi Jebali. Si dicono deluse da questo incontro (“ancora promesse”), e deluse dalla vaghezza con cui Houcine Jaziri, sottosegretario agli Affari Sociali, sta gestendo le informazioni che in Tunisia sembrerebbero arrivate – solo parzialmente – dal nostro paese, generando però confusione e maggiore angoscia, fino a reazioni radicali come quelle di Jannet, che si può anche temere vengano emulate visto il livello di esasperazione dopo un anno di attese.
Il primo ministro tunisino Hamadi Jebali, durante il suo viaggio in Italia, il 15 marzo scorso, ha incontrato la delegazione dei rappresentanti dei familiari dei dispersi che si trova a Roma da qualche mese. Jebali ha dato la massima disponibilità a collaborare con le nostre autorità per dare buon esito alle ricerche. Anche il presidente del Consiglio, Mario Monti si è impegnato a fare il possibile. Così come il ministro Riccardi e la ministra Cancellieri che si sono impegnati in questo senso durante il loro recenti viaggi a Tunisi. C’è perfino una commissione al Senato per i diritti umani che se ne sta occupando. Di sicuro ci sono dei tempi burocratici e delle procedure da rispettare, ma di fatto è da ormai un anno che le famiglie tunisine attendono di sapere qualcosa circa la sorte dei propri figli.
Solo prossimamente saranno resi noti i risultati complessivi dell’esame che sta effettuando il Servizio Immigrazione del ministero degli Interni. Si tratta dei raffronti tra le impronte digitali che in Italia si prendono all’arrivo dei migranti, o nei Cie, o nelle carceri, e quelle mandate dalla Tunisia, rilevate al momento del rilascio della carta di identità. Anche se i dispersi sarebbero molti di più, si parla di 250 impronte digitali disponibili. Solo dopo lunghe attese, le autorità tunisine hanno mandato in Italia le impronte dei connazionali sui supporti adatti per essere “lavorate”. E, dato di non poco conto, nel periodo di cui stiamo parlando, molto spesso in Italia non sono state prese affatto le impronte digitali dei migranti. Il mese di Marzo 2011, quello dello “tsunami umano” come lo chiamò Berlusconi, la parola d’ordine era svuotare Lampedusa. Portati in massa dentro le navi, i migranti, furono allora trasferiti nelle strutture allestite ad hoc, tra cui quella di Manduria, da dove in molti sono fuggiti.
Di certo, le impronte confrontate restano la traccia più sicura (anche se non l’unica) per sapere se le persone cercate sono arrivate vive sul suolo italiano, giacché la maggior parte dei migranti, se identificati, dà nomi falsi al momento dello sbarco. Per questo sono chiamati “harraga”, dall’arabo “bruciare”, per indicare che, bruciando le loro identità, bruciano, metaforicamente, le barriere tra paesi. Per estensione, ciò significherebbe allora riaffermare la prerogativa di essere umano, a prescindere dalla provenienza. Una questione profondissima che viene rilanciata di continuo sul tappeto della politica, tunisina e italiana, dalle madri dei dispersi: queste donne di origini umili e di condizioni economiche disperate, vogliono sapere quale sia stato il destino dei loro figli, in quanto esseri umani. E lo vogliono sapere anche se vengono considerati “clandestini” perché avrebbero agito illegalmente secondo le leggi di entrambi i paesi. Vogliono saperlo anche se alcuni di loro erano dei pregiudicati evasi dalle carceri e vogliono sapere cosa hanno fatto i due stati con le loro politiche migratorie.
Va sottolineato che trovare un solo passeggero, di una sola imbarcazione significa essere informati sul destino di tutti i compagni di viaggio. Pertanto le stime, per quanto riguarda la parte italiana, si sarebbero potute fare più in fretta: basta trovare un solo membro di una sola imbarcazione per sapere della vita o della morte degli altri. Si tratta in particolare delle imbarcazioni partite l’1, il 14 e 29 marzo 2011 (quella che portava anche il figlio di Jannet Rhimi).
La delegazione di famiglie tunisine in Italia ha portato con sé una serie di “prove” che hanno tenuto in vita e continuano a tenere in vita le speranze. Si tratta di telefonate dal mare nella notte; cellulari che hanno suonato a vuoto per lungo tempo; immagini catturate dai video dei tg; foto sgranate con volti familiari, chiamate ricevute una sola volta dopo gli sbarchi presunti, e non andate mai a buon fine, notizie di sbarchi che si accavallano con quelle dei naufragi. Sono i frammenti di un’ illusione collettiva o indizi da seguire? Di certo mostrano tutta la loro fragilità perché non trovano né conforto né smentita da parte di chi avrebbe i mezzi e i poteri per verificare.
E di nuovo allora tutto torna alle madri e alle loro richieste, con i sit-in non autorizzati davanti alle sede diplomatiche di entrambi i paesi, sostenute da alcune donne italiane: il collettivo femminista “2511” e l’associazione Pontes, che hanno dato vita alla campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano”.
E chiedono alle autorità italiane e tunisine: “Perché non fate tutto quello che è in vostro potere fare? Quali risorse state stanziando realmente per verificare gli indizi che vi portiamo?” E’ una posizione radicale che le madri dei migranti tunisini pongono di continuo anche di fronte alla sola vera prova che oggi fa pensare il peggio, e che è poi quella più ovvia e evidente: da un anno a questa parte nessuno dei dispersi ha mai veramente
tagged under: Jannet Rhimi.Madri.Tunisia- Appuntamenti (45)
- Best (136)
- Cultura (95)
- Fotografia (26)
- Internet-Media (108)
- Lettere (20)
- Libri (25)
- Mondo (2.247)
- Ndrangheta (4)
- Politica (192)
- Società (3.530)
-
andrea
Flavia Perina in questa prosa che filtra cose a lei scomode (Elena Pacinelli) e amplifica particolari insignificanti (presnuto gramscianesimo della… -
Alessandro Londero
Salve, se Paolo Brogi avesse richiamato magari avrebbe potuto avere più info di quel viaggio. Ora che l’ONU ha fatto… -
Geneva
Hi there to every body, it's my first visit of this blog; this webpage consists of awesome and in fact…
- Aprile 2022
- Marzo 2022
- Febbraio 2022
- Gennaio 2022
- Dicembre 2021
- Novembre 2021
- Ottobre 2021
- Maggio 2021
- Marzo 2021
- Febbraio 2021
- Gennaio 2021
- Dicembre 2020
- Settembre 2020
- Maggio 2020
- Aprile 2020
- Marzo 2020
- Febbraio 2020
- Giugno 2019
- Maggio 2019
- Aprile 2019
- Marzo 2019
- Gennaio 2019
- Novembre 2018
- Ottobre 2018
- Settembre 2018
- Agosto 2018
- Giugno 2018
- Maggio 2018
- Marzo 2018
- Febbraio 2018
- Gennaio 2018
- Novembre 2017
- Ottobre 2017
- Maggio 2017
- Aprile 2017
- Marzo 2017
- Febbraio 2017
- Gennaio 2017
- Dicembre 2016
- Novembre 2016
- Ottobre 2016
- Settembre 2016
- Agosto 2016
- Luglio 2016
- Giugno 2016
- Maggio 2016
- Aprile 2016
- Marzo 2016
- Febbraio 2016
- Gennaio 2016
- Dicembre 2015
- Novembre 2015
- Ottobre 2015
- Settembre 2015
- Agosto 2015
- Luglio 2015
- Giugno 2015
- Maggio 2015
- Aprile 2015
- Marzo 2015
- Febbraio 2015
- Gennaio 2015
- Dicembre 2014
- Novembre 2014
- Ottobre 2014
- Settembre 2014
- Agosto 2014
- Luglio 2014
- Giugno 2014
- Maggio 2014
- Aprile 2014
- Marzo 2014
- Febbraio 2014
- Gennaio 2014
- Dicembre 2013
- Novembre 2013
- Ottobre 2013
- Settembre 2013
- Agosto 2013
- Luglio 2013
- Giugno 2013
- Maggio 2013
- Aprile 2013
- Marzo 2013
- Febbraio 2013
- Gennaio 2013
- Dicembre 2012
- Novembre 2012
- Ottobre 2012
- Settembre 2012
- Agosto 2012
- Luglio 2012
- Giugno 2012
- Maggio 2012
- Aprile 2012
- Marzo 2012
- Febbraio 2012
- Gennaio 2012
- Dicembre 2011
- Novembre 2011
- Ottobre 2011
- Settembre 2011
- Agosto 2011
- Luglio 2011
- Giugno 2011
- Maggio 2011
- Aprile 2011
- Marzo 2011
- Febbraio 2011
- Gennaio 2011
- Dicembre 2010
- Novembre 2010
- Ottobre 2010
- Settembre 2010
- Agosto 2010
- Luglio 2010
- Giugno 2010
- Maggio 2010
- Aprile 2010
- Marzo 2010
- Febbraio 2010
- Gennaio 2010