Informazioni che faticano a trovare spazio

Il processo surreale che si tiene a Gaza sull’omicidio di Vittorio Arrigoni. Ne parla l’avvocato Pagani

Riprendo dopo il mio post di ieri questo resoconto che l’avvocato Gilberto Pagani ha pubblicato e-ilmensile a un anno dalla morte di Vittorio Arrigoni. E’ significativo già a partire dalle prime tre righe…

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Un anno senza Vittorio, un anno senza verità

15 aprile 2012

Gilberto Pagani*

Un anno è trascorso dall’omicidio di Vittorio. Vittorio venne rapito il 13 aprile 2011, attirato in una trappola da persone che egli conosceva e ucciso dopo che il governo di Gaza aveva rifiutato lo scambio con un esponente salafita detenuto.

l 19 aprile i rapitori furono rintracciati e nel corso di un conflitto a fuoco due di loro vennero uccisi (secondo alcune voci) dalle forze di sicurezza di Hamas. Due giorni dopo i quattro superstiti furono interrogati dalla Procura Militare di Gaza e confessarono la partecipazione al crimine, sia pure in ruoli differenziati. Questa la scarna verità ufficiale, secondo quanto emerge dagli atti del processo.

Il rapimento e l’omicidio di Vittorio sono stati commessi da un commando di quattro persone, guidato da un giordano e composto da tre appartenenti alle forze paramilitari del governo di Hamas (Civil Defense Unit). Hanno cooperato al crimine un altro appartenente alla Civil Defense Unit (con il ruolo di basista) e un pescatore che ha ospitato gli assassini. Date le premesse era prevedibile che il processo si sarebbe chiuso in pochissime battute, per questo non appena possibile mi sono recato a Gaza per assistere al dibattimento.

Gli imputati sono quattro, tre hanno partecipato al rapimento, due hanno partecipato direttamente all’omicidio, uno ha ospitato i rapitori ed assassini. Essi hanno lamentato che le confessioni furono rese in seguito a pressioni, all’ultima udienza del 12 aprile 2012 hanno ammesso la loro partecipazione al rapimento ma non alla premeditazione dell’omicidio.

Come detto due dei partecipanti all’omicidio sono stati uccisi durante l’azione delle forze di sicurezza e in particolare l’organizzatore e capo del gruppo non potrà fornire una sua versione. Il processo si svolge davanti alla Corte Militare, in cui non è ammessa la costituzione di parte civile. Il processo si trascina stancamente da circa venti udienze e gran parte di esse sono durate pochi minuti o rinviate per le ragioni più varie .

Una volta perchè il medico legale non si presenta, una volta perchè sono i testimoni a non presentarsi, una volta perchè gli avvocati difensori sono assenti, più volte perchè la difesa chiede termini per poter esaminare la documentazione dell’accusa. Un’udienza è stata rinviata per motivi di sicurezza, in quei giorni erano in corso i bombardamenti che a marzo hanno causato circa trenta vittime. Si tratta di motivi di rinvio che anche in una Corte europea sarebbero accolti, ma (a parte quello per cause belliche) porterebbero a sanzioni nei confronti dei testimoni o degli avvocati assenti; in questo processo però può accadere qualsiasi cosa.

Addirittura uno degli imputati (quello accusato di favoreggiamento) è stato scarcerato e ora è introvabile. Chi conosca anche minimamente la situazione di Gaza si domanda come tutto ciò sia possibile. Gaza è una prigione a cielo aperto, un territorio di circa 360 chilometri quadrati in cui un lato è il mare e per il resto è circondato da una buffer zone di un chilometro e da una barriera metallica munita di telecamere e mitragliatrici che sparano in automatico.

Da Gaza è estremamente difficile entrare o uscire, sia legalmente dai tre valichi, sia illegalmente dai tunnel sotterranei che permettono lo scarso approvvigionamento di prodotti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione ed un nutrito andirivieni di persone. Da uno di questi tunnel entrò il giordano Al-Brizat per pianificare e portare a termine il rapimento e l’omicidio di Vittorio.

Questi continui rinvii del processo danno la sensazione che non ci sia una reale volontà di arrivare alla verità e alla punizione dei colpevoli. Le dichiarazioni auto accusatorie degli imputati non hanno chiarito i moltissimi punti oscuri della vicenda, tante sono le domande che non hanno avuto risposte e che ci si aspettava sarebbero giunte attraverso le testimonianze.

Non si sa quando il giordano Al-Brizat arrivò a Gaza; chi contattò e frequentò nei mesi trascorsi da clandestino; quali erano gli appoggi di cui egli godeva; se esisteva una vera e propria cellula salafita; perchè il gruppo decise di rapire proprio Vittorio e perchè decise di ucciderlo prima della scadenza dell’ultimatum; come si è svolta l’operazione di polizia nella quale sono morti i due elementi più in vista del commando, che avrebbero certamente potuto dire molte cose.

Se la famiglia di Vittorio avesse avuto la possibilità di costituirsi parte civile e quindi un ruolo attivo nel processo senza dubbio gli avvocati del Palestinian Center for Human Rights, che sono relegati nel semplice ruolo di osservatori, avrebbero portato testimoni, fatto domande, cercato di arrivare alla verità. Ma ciò non è possibile.

Il processo si svolge nell’indifferenza; può essere umanamente comprensibile che la morte di Vittorio susciti un clamore limitato in un luogo nel quale solo l’ultimo attacco di Israele ha causato circa trenta morti, dopo le 1.400 vittime dell’operazione Piombo Fuso e le centinaia di altri uccisi in questi anni (e tra le vittime moltissimi i civili e i bambini).
Ma la situazione drammatica di Gaza non può essere una scusante per i governanti sia italiani che di Gaza, che sembrano stranamente uniti dalla mancanza di interesse per la verità.

La famiglia Arrigoni non ha avuto alcun sostegno dal Governo; l’uccisione di un volontario pacifista in circostanze avvolte nel mistero, è stata sostanzialmente ignorata, nessun rappresentante del Governo era presente all’arrivo della salma, nessun aiuto nè psicologico nè materiale è stata fornito; nessuna iniziativa per la ricerca della verità. Grande e grave è la differenza con altri analoghi episodi che hanno avuto come vittime nostri connazionali uccisi all’estero.

La famiglia Arrigoni ha inviato a più riprese ai Ministri della Giustizia e degli Esteri la richiesta non di aiuti materiali, ma di sostegno per la ricerca della verità, ma le risposte sono state così generiche da far ritenere che non vi sia un reale interessamento. Nè miglior sorte ha avuto la richiesta di verità che la madre di Vittorio ha fatto pervenire al Presidente del Governo di Gaza. Ma si tratta solo di indifferenza oppure di un cosciente occultamento della verità?

Le vicende politiche del vicino Oriente sono particolarmente intrise di mistero; come si è detto il gruppo omicida è stato indicato come salafita, fazione islamica che è venuta recentemente alla ribalta in Egitto, dove il partito ad essa ispirato è divenuto la seconda forza politica del Paese. Non è un esercizio di dietrologia il pensare che la mancanza di verità sulla tragedia di Vittorio sia legata ai complessi rapporti politici nella regione, compreso il ruolo di Israele.

Il silenzio del nostro Governo è intimamente legato ai rapporti con Israele; Hamas è nella black list degli Usa e dell’Unione Europea, non si può neppure pensare di aver alcun contatto con quel partito. Poco importa che altri paesi, come la Svizzera, oltre alle Organizzazioni Internazionali, abbiano con Gaza rapporti regolari e che la politica di Usa e Ue favorisca l’oppressione esercitata verso una popolazione di 1.800.000 persone private dei diritti minimi e senza speranza che la situazione possa evolvere in meglio.

In questa terra affascinante e disperata agiscono con vero eroismo i pochi volontari occidentali, che si industriano per alleviare le sofferenze dei gazawi, organizzando mille attività e soprattutto facendo da scudi umani a fianco dei pescatori e degli agricoltori che vengono continuamente intimiditi e ostacolati nel loro lavoro dall’esercito di Israele. La morte di Vittorio è stato un duro colpo per i volontari dell’ISM.

Come molti sapranno, la famiglia di Vittorio ha chiesto espressamente che, in caso di condanna, non venga comminata la pena di morte prevista dal Codice Penale Rivoluzionario. Il tema non è astratto, il sette aprile sono state eseguite a Gaza tre condanne a morte mediante impiccagione. Il gesto della famiglia Arrigoni è di enorme valore morale e politico, oltre che di profonda nobiltà d’animo, in quanto non è scontato che chiunque nella stessa situazione avrebbe fatto la stessa scelta. La famiglia Arrigoni e tutti coloro che oggi ricordano Vittorio cercano non la vendetta, ma verità e giustizia.

* avvocato, incaricato dalla famiglia Arrigoni di seguire il processo per l’omicidio di Vittorio

da e-ilmensile online

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