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Mare Magazine su “Uomini e donne del Sud”

VENERDÌ 2 NOVEMBRE 2012

Coordinamenti dei comitati dei fuochi della provincia a nord di Napoli

Voi mi direte, ma che c’azzecca questa storia dei fuochi con il mare?
Potrei rispondere che quei rifiuti tossici abbandonati ovunque e lasciati bruciare hanno un tremendo impatto anche sulle acque di falda. Le stesse che poi si usano per irrigare i campi, e che vanno anche a finire nei fossi di scolo, che a loro volta si infilano in qualche torrente, che poi va in qualche fiume e alla fine della storia tutto finisce nel mare.
Sono stato convincente? E poi ne parlo perché il mio grande amico e collega Paolo Brogi nel suo ultimo libro da un paio di giorni in libreria (Imprimatur Editore) Uomini e Donne del Sud, racconta tante storie come questa dei rifiuti con “Ritratti di vite Straordinarie e dell’orgoglio meridionale”, come è ben spiegato nel sottotitolo e nella quarta di copertina.

noltre mi piace palarne perché tra i tanti ha anche parlato con il parroco di Calvano don Maurizio Patriciellotestimone oculare diretto del disastro rifiuti e del genocidio che si sta consumando nella Terra dei fuochi o meglio nella  “Campania infelix”. Paolo non poteva certo immaginare che di lì a poco tempo dopo, don Maurizio diventasse celebre per l’attacco in diretta TV ricevuto dal Signor Prefetto di Napoli!


Paolo ha compiuto un nuovo viaggio nel profondo, sconcertante, eccitante Sud.
Un viaggio tra le donne coraggio che fanno il sindaco sotto scorta in Calabria e le ragazze di Fimmina Tv nella Locride. Tra gli autonomisti che sognano la separazione dal Nord, ma anche con il sindaco Mimmo il curdo che a Riace accoglie immigrati venuti dal mare. E poi i “forconi” che vogliono giustizia per le campagne siciliane contro i pomodori di Pechino. Il Calabria Day, il movimento per l’acqua in Sicilia, l’invenzione della festa della Taranta nel Salento, i supermercati di CompraSud nel catanese e il sogno di prodotti Dom, il lancio del caciocavallo Pallone nelle Murge e i neolaureati glocal, i “bollenti spiriti” di Puglia, le palme salvate a Valenzano dal punteruolo rosso (ma quasi nessuno lo sa), le banconote Napo a Napoli e la scoperta che nella città partenopea non era mai stato fatto un piano di Protezione Civile.

E ancora: i sogni di Eugenio Bennato, l’orgoglio dei sindaci meridionali guidati da Leoluca Orlando, l’Albergheria palermitana e don Cosimo suo prete coraggio, il sogno di un’unica Macroregione, la coppola storta che da Piana degli Albanesi è arrivata a Kobe, le gallerie sull’Adriatica che non fanno passare i container del porto di Taranto, gli avvistatori di roghi della camorra in Campania, i maestri di strada che da Napoli si ramificano in tutto il Sud.
Ecco il nuovo ampio reportage nelle terre del Mezzogiorno, incontrando anche Nichi Vendola e Giuseppe Cassano, Antonio Ciano e Luigi De Magistris, Michele Emiliano e il presidente della Svimez Adriano Giannola, Pino Aprile col suo nuovo quotidiano del Sud e l’assessore Marco Esposito, con una puntata nel carcere di Rebibbia per sentire anche Totò Cuffaro.

Quello che segue è “L’avvistatore dei fuochi” il capitolo sui rifiuti tossici dati alle fiamme

Cinquanta chilometri più giù è l’inferno. Un panorama assurdo e folle che Lucio Iavarone,  project manager di un’azienda pubblica meccanica a nord di Napoli, conosce purtroppo a menadito. Quarant’anni, sposato, un figlio, il manager che abita ad Afragola nella fascia settentrionale della provincia di Napoli ha una sorta di secondo lavoro (non retribuito): fa l’avvistatore di fuochi. Fuochi della camorra.

Iavarone con i suoi scopre, documenta, segnala i roghi della campagna napoletana, quegli incendi da inferno dantesco che popolano ormai da molti mesi un’area in cui vivono due milioni di disgraziati napoletani e casertani.
L’ultima battaglia di Lucio ha la forma di una collinetta e si chiama Contariello. E’ una montagnola neanche troppo grossa, diciamo di quattromila metri quadri d’estensione, ricoperta di terra come se niente fosse. Sta al confine tra i comuni di Casoria e di Afragola.
La montagnola da un po’ di tempo è alquanto irrequieta, brucia assai. Eppure il posto è disabilitato da tempo, anzi è sotto sequestro da undici anni, quando in questo bacino di stoccaggio di rifiuti furono scoperti “sversamenti” abusivi di chissà cosa…
Vicino al Contariello c’è un cavalcavia percorso dalle auto che con le famiglie stipate vanno in visita alle vicine Ikea e Leroy Merlin, le due megastrutture commerciali molto gettonate dell’area. Quando arrivano sul cavalcavia i conducenti azionano in fretta la chiusura dei vetri delle auto, l’aria è pessima. “E’ una zolfatara, di monnezza – spiega Iavarone –. Nasconde una schifosa e incontrollata combustione di rifiuti. È  una mostruosità abbandonata a se stessa, abbiamo sollevato anche questo problema nell’incontro insoddisfacente che a fine agosto 2012 abbiamo avuto col prefetto di Napoli Andrea De Martino…”.
Iavarone e i suoi non sono soli, si sono mosse anche l’Ikea e Leroy Merlin, il problema riguarda i due colossi da vicino. Ma questo, in fin dei conti, non è che uno dei tanti “fuochi” di questa vasta area in cui abitano due milioni di sfortunati campani…
“Perché ci muoviamo? Se non altro perché quando sentiamo il ministro della sanità del governo Monti ci vengono i brividi. Costui ama affermare che le patologie tumorali presenti nella nostra zona sono dovute alle nostre cattive abitudini alimentari…Mica si rende conto, questo signore, che qui invece è in corso un vero e proprio biocidio di massa. Qui da noi è come con l’amianto, tra qualche anno verrà interamente fuori l’orribile verità. E intanto a far fronte al peggio dobbiamo provvedere noi…”.
Noi. Cioè i Coordinamenti dei comitati dei fuochi della provincia a nord di Napoli. Si chiamano proprio così, la realtà è davvero spropositata. Lo strano organismo è nato nel giugno del 2012, riunisce una quarantina di comitati (piccoli, medi e grandi) e di associazioni, come la creatura di Fulvio Iavarone che in origine suonava semplicemente come “No alle discariche nei comuni a nord di Napoli”. Ma scavalcata la dicitura d’origine oggi il problema è sfociato ben oltre, riguarda queste colonne nere di fumo che imperversano tra Casoria ed Afragola, Acerra e Pomigliano d’Arco, insomma tutta l’area che sta tra Napoli e Caserta dove la camorra di sera elimina ogni sorta di rifiuto speciale.
“Siamo partiti dai rifiuti solidi urbani – spiega Iavarone -. E neanche immaginavamo che quella situazione contro cui ci battevamo fungeva in realtà da copertura a un fenomeno ancor più  peggiore, quello dell’eliminazione a cielo aperto di ogni sorta di residuo pericoloso e inquinante. La camorra ormai non seppellisce più i rifiuti tossici, ora li brucia tranquillamente in modo pubblico senza che nessuno intervenga. Chi affronta questo fenomeno? Solo noi, in fin dei conti. Cioè un centinaio di persone impegnate quotidianamente nell’azione promossa dai coordinamenti che raccolgono più in generale un migliaio di iscritti. Siamo pochi? Siamo tanti? Meno male che ci siamo…La lotta contro i fuochi è nata cinque anni fa. Tra noi ci sono professionisti di ogni livello e genere, molti medici, geologi, tecnici di vario tipo. Francamente non mi sarei mai sognato un giorno, io laureato in economia ed esperto di project managing, di dovermi mettere a caccia di questi sversamenti illegali e di queste combustioni cancerogene. Ma se non lo facciamo noi chi lo fa? Per favore però non chiamateci ronde…Noi siamo gente seria”.
Iavarone in settembre ha passato le sue giornate anche a contare le firme che poi i comitati hanno  allegato alle denunce querele che i coordinamenti, stanchi di assistere all’inazione pubblica, hanno deciso di presentare in Procura a Napoli contro un bel gruppo di amministratori. Nel mirino il presidente della Regione e della provincia di Napoli, con i relativi assessori all’ambiente, più 42 sindaci del comprensorio.
“In Italia ogni anno vengono prodotti 130 milioni di tonnellate di rifiuti. Di cento si sa che fine fanno, 30 però scompaiono nel nulla. Noi pensiamo che buona parte, purtroppo per noi, finisce qui in Campania…”.
L’asso nella manica di Iavarone e compagni è la Chiesa, perlomeno quella di Caivano dove dalla loro parte sta il parroco padre Maurizio Patriciello (“scrive spesso sull’Avvenire”, spiega il manager) col sostegno dello stesso vescovo di Aversa Angelo Spinillo. “L’Avvenire da un paio di mesi dedica molto spazio a questo obbrobrio, è un fatto importante, la chiesa di qui è mobilitata dalla parte giusta”, aggiunge Iavarone. Intanto però si avvicina un nuovo imbrunire e sulla piana che dal giuglianese e da Santa Maria Capua Vetere punta verso i monti di Caiazzo, teatro 150 anni fa di scontri decisivi per l’Unità d’Italia, tornano gli incendi della criminalità organizzata. E la popolazione, inerme, corre a chiudere le finestre.

La fotografia del Brogi l’ha scattata suo figlio Andrea, fotoreporter.
Quella di don Patriciello è dello stesso PaoloIavarone con i suoi scopre, documenta, segnala i roghi della campagna napoletana, quegli incendi da inferno dantesco che popolano ormai da molti mesi un’area in cui vivono due milioni di disgraziati napoletani e casertani.
L’ultima battaglia di Lucio ha la forma di una collinetta e si chiama Contariello. E’ una montagnola neanche troppo grossa, diciamo di quattromila metri quadri d’estensione, ricoperta di terra come se niente fosse. Sta al confine tra i comuni di Casoria e di Afragola.
La montagnola da un po’ di tempo è alquanto irrequieta, brucia assai. Eppure il posto è disabilitato da tempo, anzi è sotto sequestro da undici anni, quando in questo bacino di stoccaggio di rifiuti furono scoperti “sversamenti” abusivi di chissà cosa…
Vicino al Contariello c’è un cavalcavia percorso dalle auto che con le famiglie stipate vanno in visita alle vicine Ikea e Leroy Merlin, le due megastrutture commerciali molto gettonate dell’area. Quando arrivano sul cavalcavia i conducenti azionano in fretta la chiusura dei vetri delle auto, l’aria è pessima. “E’ una zolfatara, di monnezza – spiega Iavarone –. Nasconde una schifosa e incontrollata combustione di rifiuti. È  una mostruosità abbandonata a se stessa, abbiamo sollevato anche questo problema nell’incontro insoddisfacente che a fine agosto 2012 abbiamo avuto col prefetto di Napoli Andrea De Martino…”.
Iavarone e i suoi non sono soli, si sono mosse anche l’Ikea e Leroy Merlin, il problema riguarda i due colossi da vicino. Ma questo, in fin dei conti, non è che uno dei tanti “fuochi” di questa vasta area in cui abitano due milioni di sfortunati campani…
“Perché ci muoviamo? Se non altro perché quando sentiamo il ministro della sanità del governo Monti ci vengono i brividi. Costui ama affermare che le patologie tumorali presenti nella nostra zona sono dovute alle nostre cattive abitudini alimentari…Mica si rende conto, questo signore, che qui invece è in corso un vero e proprio biocidio di massa. Qui da noi è come con l’amianto, tra qualche anno verrà interamente fuori l’orribile verità. E intanto a far fronte al peggio dobbiamo provvedere noi…”.
Noi. Cioè i Coordinamenti dei comitati dei fuochi della provincia a nord di Napoli. Si chiamano proprio così, la realtà è davvero spropositata. Lo strano organismo è nato nel giugno del 2012, riunisce una quarantina di comitati (piccoli, medi e grandi) e di associazioni, come la creatura di Fulvio Iavarone che in origine suonava semplicemente come “No alle discariche nei comuni a nord di Napoli”. Ma scavalcata la dicitura d’origine oggi il problema è sfociato ben oltre, riguarda queste colonne nere di fumo che imperversano tra Casoria ed Afragola, Acerra e Pomigliano d’Arco, insomma tutta l’area che sta tra Napoli e Caserta dove la camorra di sera elimina ogni sorta di rifiuto speciale.
“Siamo partiti dai rifiuti solidi urbani – spiega Iavarone -. E neanche immaginavamo che quella situazione contro cui ci battevamo fungeva in realtà da copertura a un fenomeno ancor più  peggiore, quello dell’eliminazione a cielo aperto di ogni sorta di residuo pericoloso e inquinante. La camorra ormai non seppellisce più i rifiuti tossici, ora li brucia tranquillamente in modo pubblico senza che nessuno intervenga. Chi affronta questo fenomeno? Solo noi, in fin dei conti. Cioè un centinaio di persone impegnate quotidianamente nell’azione promossa dai coordinamenti che raccolgono più in generale un migliaio di iscritti. Siamo pochi? Siamo tanti? Meno male che ci siamo…La lotta contro i fuochi è nata cinque anni fa. Tra noi ci sono professionisti di ogni livello e genere, molti medici, geologi, tecnici di vario tipo. Francamente non mi sarei mai sognato un giorno, io laureato in economia ed esperto di project managing, di dovermi mettere a caccia di questi sversamenti illegali e di queste combustioni cancerogene. Ma se non lo facciamo noi chi lo fa? Per favore però non chiamateci ronde…Noi siamo gente seria”.
Iavarone in settembre ha passato le sue giornate anche a contare le firme che poi i comitati hanno  allegato alle denunce querele che i coordinamenti, stanchi di assistere all’inazione pubblica, hanno deciso di presentare in Procura a Napoli contro un bel gruppo di amministratori. Nel mirino il presidente della Regione e della provincia di Napoli, con i relativi assessori all’ambiente, più 42 sindaci del comprensorio.
“In Italia ogni anno vengono prodotti 130 milioni di tonnellate di rifiuti. Di cento si sa che fine fanno, 30 però scompaiono nel nulla. Noi pensiamo che buona parte, purtroppo per noi, finisce qui in Campania…”.
L’asso nella manica di Iavarone e compagni è la Chiesa, perlomeno quella di Caivano dove dalla loro parte sta il parroco padre Maurizio Patriciello (“scrive spesso sull’Avvenire”, spiega il manager) col sostegno dello stesso vescovo di Aversa Angelo Spinillo. “L’Avvenire da un paio di mesi dedica molto spazio a questo obbrobrio, è un fatto importante, la chiesa di qui è mobilitata dalla parte giusta”, aggiunge Iavarone. Intanto però si avvicina un nuovo imbrunire e sulla piana che dal giuglianese e da Santa Maria Capua Vetere punta verso i monti di Caiazzo, teatro 150 anni fa di scontri decisivi per l’Unità d’Italia, tornano gli incendi della criminalità organizzata. E la popolazione, inerme, corre a chiudere le finestre.

La fotografia del Brogi l’ha scattata suo figlio Andrea, fotoreporter.
Quella di don Patriciello è dello stesso Paolo

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