Informazioni che faticano a trovare spazio

Trapani: nel regno dell’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì (Pdl) sequestrati 30 milioni di beni ai Morici. Tutt’intorno c’è Messina Denaro

Cosa succede nella provincia più estrema d’Italia, quella di Trapani? Quella dove è in corso il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno? siamo nella Sicilia da anni controllata dal potere di Antonio D’Alì (nella foto a un convegno con Alfano e Cicchitto), già sottosegretario all’Interno, il potente parlamentare proprietario di beni terrieri sui quali hanno lavorato i Messina Denaro: Francesco, padre di Matteo attuale capo della mafia, è morto su questi terreni in cui faceva il “campiere”. A Trapani ora è stata intercettata una ragnatela gestita dalla famiglia Morici, 30 i milioni di beni sequestrati, ma ci sono intercettazioni parallele come racconta Livesicilia dalle quali emerge molto spesso il nome di D’Alì. Qui di seguito riprendo il pezzo di Rino Giacalone scritto oggi per “Malitalia”. A seguire i due pezzi comparsi su Livesicilia e su repubblica.it palermo.

Ecco Malitalia:

LE IMPRESE DELLA NUOVA MAFIA

9 aprile 2013 · by Rino Giacalone · in Notizie dall’Italia di Malitylia

Ammonta a 30 milioni di euro il sequestro di beni messo a segno stamane da Polizia e Guardia di Finanza. Il provvedimento emesso ai sensi della normativa antimafia dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, ha riguardato due noti imprenditori siciliani, Francesco e Vincenzo Morici, 79 e 50 anni, padri e figlio. Secondo indagini condotte nell’ultimo decennio risultano coinvolti nel sistema di connessione tra la mafia e le imprese realizzato dal boss latitanteMatteo Messina Denaro, ma a loro carico si ipotizzano episodi di corruttela, di turbativa degli incanti e di frode nelle pubbliche forniture, in concorso con politici e burocrati comunali. Indagini aperte presso la Procura antimafia di Palermo e la Procura della Repubblica di Trapani. In poco tempo questo è il 4° dei grandi sequestri di beni contro soggetti che non hanno rispettato la “distanza di sicurezza” dalla mafia, anzi hanno frequentato le sue segrete stanze, condiviso scelte e strategie. Un lavoro certosino condotto dalle Fiamme Gialle che hanno scandagliato decine e decine di conti correnti, letto montagne di libri contabili, controllato fatture e brogliacci, lavoro dal quale sono emerse sperequazioni incredibili, ma la parte investigativa più rilevante, quella servita a descrivere il mondo delle connivenze criminali, è stata condotta anche in questo caso come nei precedenti dalla rivitalizzata divisione anticrimine della questura di Trapani diretta dal dott. Giuseppe Linares.Le conclusioni investigative sono state fatte proprie dal questore Carmine Esposito che ha chiesto e ottenuto dai giudici del Tribunale il sequestro preventivo di un ingente patrimonio immobiliare e mobiliare, quote societarie e proprietà intestate ai Morici padre e figlio, sparse in mezza Italia, da Trapani a Roma, sino a Milano, Gorizia e Pordenone.
Potenti Francesco e Vincenzo Morici. Francesco da decenni è un intraprendente imprenditore edile, suo figlio Vincenzo è stato anche al vertice degli organi sindacali di Confindustria, ha guidato l’Ance in un periodo in cui erano soventi i suoi interventi contro i ribassi d’asta eccessivi in molte gare di appalto. Omaggiati e rispettati. Premiati pubblicamente anche in occasione di manifestazioni di grande risalto, Francesco Morici è stato anche nominato cavaliere, d’altra parte nel nostro Paese questo è un titolo onorifico che non si nega a nessuno e bastano i giusti appoggi per ottenerlo. E i due Morici questi giusti appoggi li avevano, soprattutto sono loro serviti per conquistare in modo facile facile appalti per decine e decine di milioni di euro. Mafia e politica. Grandi boss e grandi politici. Di mezzo anche “grandi eventi”. Un mixer terribile per i suoi risultati: soldi pubblici inghiottiti, svaniti, finiti nelle casseforti di Cosa nostra, nelle tasche di politici e burocrati, in tasca alle stesse imprese, appalti realizzati utilizzando anche materiali scadenti o in quantità inferiori a quelle indicate nei capitolati. Grandi infrastrutture a rischio come le nuove banchine del porto o la Funivia Trapani Erice, mura antiche che hanno resistito per secoli messe in pericolo da lavori condotti in maniera poco ortodossa. Lavori pubblici che non si sono nemmeno conclusi e che hanno avuto bisogno di interventi di sostegno e recupero in corso d’opera, imprese che avrebbero dovuto ricevere contestazioni e ammende e invece addirittura hanno beneficiato di somme ulteriormente elargite, appalti che in nome della regolare esecuzione si finiva con il fare passare da impresa a impresa, a conclusione di vertici tenutesi peraltro in sedi autorevoli come quella della prefettura di Trapani, e invece queste decisioni finivano al solito con l’aiutare “gli amici degli amici”. Episodi risalenti alla metà degli anni 2000, quando a Trapani si rifaceva il porto spendendo oltre 100 milioni di euro per accogliere le barche della Coppa America, o ancora per recuperare il centro storico della città. I Morici c’erano sempre e con loro la politica che sponsorizzava questi interventi. Il nome dei Morici in queste vicende diventate di natura giudiziaria è costantemente affiancato a quello del senatore ed ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, Pdl, nel processo col rito abbreviato che lo vede a Palermo imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, c’è depositato un lungo elenco di appalti pilotati, e proprio degli appalti oggi contestati ai due Morici, e c’è descritta la longa manus distesa su questi appalti dal boss latitante Matteo Messina Denaro e il capo mafia ricercato da 20 anni, dal giugno 1993, è ampiamente citato nel blitz Corrupti mores che oggi ha portato al sequestro di beni contro i Morici, padre e figlio. Un cerchio che si è chiuso. Il senatore D’Alì avrebbe garantito la parte politica di questi appalti, Matteo Messina Denaro attraverso i capi mafia Vincenzo Virga e Francesco Pace ha fatto il resto. A completare lo scenario burocrati e funzionari pubblici oltremodo compiacenti. Ma che c’era la regia mafiosa lo sapevano in tanti a Trapani anche soggetti fuori da questo scenario. Che a Trapani esisteva una sorta di comitato di gestione, una cupola per la gestione degli appalti, non era una circostanza del tutto sconosciuta, cupola dalla quale nel corso di 10 anni sono transitati i destini di appalti per oltre 100 milioni di euro, oltre a quelli già citati, anche la costruzione di una galleria sull’isola di Favignana, lavori in ospedale, costruzione di edilizia residenziale, posa di fognature, fognature super moderne e realizzate con sistemi innovativi, e però laddove questi lavori sono stati condotti la città ha cominciato a subire conseguenze non proprio simpatiche e così oggi basta un po’ di pioggia per vedere finire sott’acqua addirittura zone che mai prima si erano allagate, come quelle del porto. A tradire i comportamenti illeciti dei Morici e dei loro soci si sono decine e decine di intercettazioni che hanno confermato “la piena adesione dei due Morici al cartello di imprenditori asserviti alle dinamiche di “cosa nostra” trapanese, in cui hanno consapevolmente operato, quale vero e proprio unicum imprenditoriale, finalizzato al controllo occulto dei più importanti pubblici incanti.Francesco e Vincenzo Morici rappresentano per i giudici espressioni della cosidetta borghesia mafiosa “che ha rivoluzionato i contorni classici della figura del soggetto indiziato di contiguità mutualistica all’associazione mafiosa “cosa nostra”, figura che le più recenti sentenze penali riguardanti le indagini sui mandamenti mafiosi della provincia di Trapani hanno visto imporsi in un vincolo di strumentale collusione e ciò a prescindere da una qualsivoglia formale adesione alla stessa”. Niente più riti particolari, ma basta una stretta di mano, una pacca sulla spalla, è la mafia che si presenta in questa maniera, indossando grisaglia e tenendo strette valigette piene di denaro. Le mani però sono le stesse che hanno premuto timer e impugnato armi, ieri come ancora oggi sporche del sangue di tanti morti ammazzati, sangue che però ad alcuni imprenditori non ha fatto così tanta impressione.

TRAPANI – Il nome del senatore del Pdl Antonino D’Alì fa capolino più volte nelle pagine delle informative che costituiscono l’ossatura del provvedimento di sequestro.

La prima vicenda in cui si parla dell’ex sottosegretario al ministero dell’Interno risale all’ottobre 2001. Gli investigatori registrano una conversazione fra Francesco Morici e l’imprenditore Tommaso Coppola che, dopo il suo arresto e la condanna, ha confessato di fare parte del sistema illecito per controllare gli appalti. I due parlano dei lavori da eseguire nel porto di Trapani in occasione della Louis Vuitton Cup del 2005. Un appalto da 46 milioni di euro. Francesco Morici fa riferimento al “senatore” che gli investigatori identificano in D’Alì. Sarebbe lui l’uomo da cui Morici si aspetta un favore: “Qua ne ho un’altra… quella che il senatore mi ha promesso che me la faceva passare… quella di 20, 30 miliardi… questa… la convenzione… questa per la cosa del porto…”. Morici teme che la trattativa sia difficile. “… questa è una rogna… questa brutta è da lavorare…”. E Coppola lo invita ad andare avanti. “Tenta intanto…”. Poi, Coppola chiede a Morici se ha avuto notizie di Pellegrino. Si tratterebbe di Bartolo Pellegrino, ex assessore e vice presidente della Regione siciliana, assolto definitivamente un anno fa dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Nel prosieguo della conversazione Morici fa riferimento ad alcune date: “… io te l’ho detto… c’è questa cosa di qua… eh… il 27… eh… di Erice… e il 18… 20… del porto… tutte e due pronte per…”. Coppola aggiunge anche il tema dei lavori in aeroporto: “… ohu… sembra che questo… aeroporto qua… eh… ma dico… parlagliene al senatore… lì… cosa si può fare… eccetera… eccetera… se c’è possibilità… “: E Morici lo rassicura che ne avrebbe parlato con il politico: “… ma noi… tu vedi se hai impegni… se io mercoledì decido di andare a Roma… se io ho un appuntamento con lui… e lui ogni volta… qua… con il bordello che c’è qua… che vado a parlare con lui qua?… ora, mi sembra brutto… quando non c’era questa… questa scorta… ora… ora che è con la scorta… mi annoia… ma noi… tu vedi se hai impegni… se io mercoledì decido di andare a Roma… se io ho un appuntamento con lui… e lui ogni volta… qua… con il bordello che c’è qua… che vado a parlare con lui qua?…” . Coppola: “… ma perché c’è il bordello… se vuoi lo chiami… e gli dici: ”non vieni tu… materialmente?”… io non lo capisco…”. Morici: “… ma tu non ci devi scherzare con il sottosegretario…”.

“In ordine alla possibilità da parte delle imprese riconducibili ai Morici Francesco e Vincenzo, di aggiudicarsi commesse pubbliche in occasione dell’evento velico denominato Louis Vuitton Cup – si legge nel provvedimento di sequestro – giova ricordare ancora una volta che in effetti i predetti imprenditori si aggiudicavano la commessa più consistente afferente il ‘Completamento dei moli foranei e lavori di realizzazione delle banchine a ponente dello sporgente Ronciglio’ con importo a base d’asta di 46 milioni 344 mila euro. I lavori erano finanziati dal Ministero”. Sui lavori del Porto è tornato a parlare nel 2006 Antonino Birrittella, altro imprenditore che ha deciso di saltare il fosso. Morici sarebbe andato a chiedergli un preventivo per la fornitura di ferro e Morici gli avrebbe detto: “… per il rapporto che mio padre ha con il senatore D’Alì puoi stare certo che l’appalto sarà aggiudicato a noi”.

Il nome di Di D’Alì viene citato anche nel contesto dei lavori per il ripristino della funivia di Erice. È Vito Giacalone, ex dipendente della Provincia, a raccontare come sarebbero andate le cose: “… il progetto della funivia era stato realizzato dalla KM ed era stato preferito ad un progetto della AST che non aveva grande valenza tecnica. Dopo l’acquisto del progetto, poiché non vi era contenuto né il capitolato speciale di appalto né il computo metrico, trattandosi inizialmente di project financing privato, venne incaricato l’ingegnere Di Giuseppe per redigere questi due documenti tecnici. Del progetto parlai con il Coppola per gestire la gara in favore di qualche imprenditore a lui vicino. Dopo qualche tempo mi disse che era interessato a favorire l’aggiudicazione all’impresa Morici e quindi alla società Coling degli imprenditori Morici Vincenzo e Francesco….”.

Per chiudere il cerchio di Morici era necessario che Giacalone entrasse a fare parte del seggio di gara come segretario e l’ingegnere Giova Battista Grillo come presidente. “Qualche mese prima della data di aggiudicazione della gara Morici Francesco – spiega Giacalone – venne a trovarmi nel mio ufficio per prendere l’elenco dei prezzi per formulare l’offerta. Secondo Giacalone, Coppola aveva intrapreso contatti con vari soggetti politici per la formazione dello staff allo scopo di effettuare la turbativa. “In particolare, il Coppola – spiega Giacalone – mantenne contatti frequenti con il sindaco pro tempore di Erice Ignazio Sanges allo scopo di accelerare le procedure, informando il Sanges che il Morici avrebbe dovuto aggiudicarsi artatamente l’incanto ottenendo a tale scopo l’assenso del sindaco di Erice. Il Coppola provvide anche ad informare della artata aggiudicazione lo stesso senatore Antonio D’Alì”.

Mafia, scoperte altre società di Messina Denaro
Scatta un sequestro di beni da 30 milioni di euro

Polizia e Guardia di finanza hanno individuato un reticolo di imprese che sarebbero riconducibili all’ultimo grande latitante di mafia. Gli interessi del padrino trapanese nei lavori all’interno dei porti. Nel mirino del sequestro anche una delle società che sta gestendo un maxi appalto da 41 milioni di euro nel porto di Trapani, aggiudicato nel 2004 nell’ambito della “Louis Vuitton Cup”, iniziativa dell’America’s Cup. Sigilli alle banchine realizzate nella parte ovest del porto. La Procura di Trapani indaga su diverse irregolarità nell’esecuzione dei lavori

di SALVO PALAZZOLO

Repubblica.it

Dal 1993 sembra imprendibile, ma continua a fare affari in Italia e all’estero. Il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro ha escogitato un nuovo lucroso business, quello dei lavori all’interno dei porti. Ne sono convinti gli investigatori della Divisione Anticrimine della questura di Trapani e i finanzieri del nucleo di polizia tributaria: questa mattina, hanno fatto scattare un sequestro da trenta milioni di euro, che riguarda l’impero di due insospettabili imprenditori edili siciliani, Francesco e Vincenzo Morici, padre e figlio, ufficialmente i titolari di cinque società che gestiscono appalti importanti. L’ultimo, all’interno del porto di Trapani, riguarda una ristrutturazione da 41 milioni di euro, aggiudicata a un’associazione temporanea di imprese di cui fa parte anche la “Società italiana dragaggi spa”, un vero colosso nel settore. E’ un appalto aggiudicato nel 2004 in occasione della “Louis Vuitton Cup” che si tenne a Trapani. Questa mattina, i poliziotti e i finanzieri hanno messo i sigilli alle banchine già realizzate, nella parte ovest del porto, in attesa dell’insediamento dell’amministratore giudiziario nominato dal tribunale, che deciderà sul proseguimento dei lavori che erano ripresi dopo tre anni di stop. Le verifiche della polizia, anche attraverso squadre di sommozzatori, hanno già riscontrato diverse irregolarità nell’esecuzione dei lavori. La Procura di Trapani ha già aperto un’inchiesta, che presto potrebbe avere sviluppi

Guarda i video – Intercettazioni / Sommozzatori in azione

Il provvedimento “di sequestro anticipato ai fini di confisca” firmato dalla sezione Misure di prevenzione di Trapani sostiene adesso che i Morici farebbero parte del “cartello” di imprese legate al latitante Matteo Messina Denaro. Le indagini dicono che i Morici furono utilizzati prima dal vecchio capomafia di Trapani, Vincenzo Virga, poi dopo il suo arresto, dal reggente che lo sostituì, Francesco Pace. Con la benedizione di Messina Denaro, che era interessato al condizionamento degli appalti più importanti della provincia. Parte di queste indagini fanno parte del procedimento che vede imputato il senatore del Pdl Antonio D’Alì: dalle intercettazioni sono emersi diversi contatti fra Morici e l’esponente politico. Un’altra inchiesta, negli anni scorsi, ha riguardato l’appalto dell’America’s Cup, ma i provvedimenti della magistratura hanno riguardato solo i mafiosi. Francesco e Vincenzo Morici restano incensurati. Adesso, però, per effetto della legge Rognoni-La Torre, i sospetti che si erano addensati sui due imprenditori portano al sequestro dei beni.

Le indagini patrimoniali – coordinate da Giuseppe Linares, il dirigente di polizia che per anni ha dato la caccia al superlatitante Messina Denaro –  hanno ricostruito il reticolo societario che faceva capo ai Morici: è costituito soprattutto da imprese costituite a Roma. Il sequestro è stato disposto per la “Morici Francesco e c. sas”, la “Morici immobiliare”, la “Coling spa”, l’impresa individuale Morici Vincenzo e l’impresa individuale Morici Francesco. Il provvedimento riguarda anche nove partecipazioni societarie, 142 beni immobili e 36 rapporti bancari.

Ecco le partecipazioni societarie sequestrate: quota della Coling spa della Trapani Infrastrutture portuali; quota intestata alla Morici Francesco della Litoranea nord scarl; quota intestata alla Coling spa della Funivia scarl; quota intestata alla Coling spa della Sperone scarl, quota intestata alla Coling spa della Torre ascensori scarl, quota intestata allal Morici Vincenzo della Eumede srl; quota intestata alla Morici Vincenzo della Port service srl; quota intestata a Morici Francesco della Traghetti delle isola spa; quota intestata a Coluccia Lorena della Touring service e consulting.

Con lo stesso provvedimento il tribunale ha disposto la sospensione degli organi amministrativi delle seguenti società: Trapani infrastrutture portuali, Litoranea nord, La Funivia, Sperone, Torre ascensori ed Eumede. Per sei mesi, queste società verranno gestite da un amministratore nominato dal tribunale.

I legali di D’Alì replicano: “Il senatore è estraneo alle vicende oggetto del sequestro. Indagini difensive, depositate nel processo di Palermo, escludono in maniera categorica qualsiasi coinvolgimento o cointeressenza del senatore D’Alì in dette aggiudicazioni”.

(09 aprile 2013)

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