Informazioni che faticano a trovare spazio

Politici, sindacalisti, giornalisti, sociologi italiani vergogna: nessuno sa che in Bangladesh, dove si lavora per l’industria italiana, è avvenuta la più grande strage operaia della storia (ultimo bilancio, 1.126 operai…)?

Scrivete Dhaka Collapse oppure Dhaka Dead oppure Rana Palace Dhaka oppure combinate i termini a vostro piacimento per la più immane strage di operai mai avvenuta al mondo, il crollo del palazzo operaio il 24 aprile in piena Dacca con un bilancio definitivo che punta ormai a 1200 morti (quattro giorni fa, all’ultima conta, erano 1126).

Scrivete pure su Google, scrivete pure in italiano,  e troverete un quadro deprimente, fatto di notizie della prima ora (il collasso del palazzo fabbrica Rana Palace, coni suoi 9 piani pieni di oltre tremila operai tessili, è del 24 aprile) e di poco altro. Molta attenzione all’operaia tirata fuori viva dalle macerie dopo 17 giorni, pochissimi i giornalisti esteri inviati sul posto, chissenefrega del Bangladesh che quel gentiluomo di Henry Kissinger definì negli anni ’70 “la pattumiera del mondo”. Questa è la sostanza.

Non solo dunque non ci si occupa del più immane disastro operaio mai avvenuto al mondo ma non ci si occupa neanche dei coinvolgimenti “occidentali” con quel luogo di morte dove si lavorava per le multinazionali tessili dell’Occidente.

E quindi ecco, come abbiamo più volte sottolineato in questo blog, nessuna attenzione al fatto che nel Rana Palace venissero ritrovate (da giornalisti e fotoreporter esteri) bolle e documenti amministrativi che riguardano l’industria Benetton che sulle prime aveva negato qualsiasi legame col luogo del disastro.

Sappiamo poi come è andata. Grazie a media non italiani (dall’Associated Press all’Agence France Presse, con i loro fotografi) questa penosa  versione iniziale è stata colpita e affondata, costringendo Benetton a un’ampia manovra di aggiramento che ora – notizia di ieri finalmente raccolta sui grandi media italiani –  vede Benetton alla testa di un’operazione sicurezza con tanto di protocollo da far approvare anche alle altri grandi firme internazionali del tessile. In questo contesto apprendiamo che fanno la fronda, non volendo sottoporsi a troppi vincoli restrittivi, gruppi come Gap e Wall-mart. Ricordiamoci almeno di questo al momento degli acquisti.

Forse l’Italia è davvero ormai un paese davvero stordito se questo quadro del capitalismo sovranazionale e delle condizioni di massa degli operai del Terzo Mondo non è oggetto di riflessione e denuncia a livello politico, sindacale, sociologico almeno. Silenzio invece molto diffuso e penosamente globalizzante su questi temi in Italia. Sporadiche e del tutto personali le proteste registrate, da una vignetta a sparutissimi articoli, perse in una sorta di deserto del provincialismo più penoso che si possa immaginare.

Silenzio anche degli intellettuali, dei corsivisti, degli opinionisti. A Dacca, nel Rana Palace, è finita sepolta anche buona parte dello spirito critico che un tempo si avvertiva in questo paese. Bangladesh? Rana Palace? Dacca? Millecenventisei morti, tra poco milleduecento, decisamente morti di serie zeta. Vergogna.

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