Informazioni che faticano a trovare spazio

Quando uno storico non si accorge dell’errore più grave

Mi stupisce la miopia con cui uno come Guido Crainz ha visto  la fiction sul commissario. Nel senso che intervistato da Repubblica ha fatto giuste osservazioni sulla mancanza di contesto e in particolare dell’autunno caldo ma poi arrivando alla questione Pinelli si è dichiarato favorevolmente colpito dal fatto che sia stata sottolineato il fatto del fermo illegale. Certo, questo l’hanno detto nella fiction ed è stato un momento buono.

Ma che dire della soluzione poi adottata per spiegare oggettivamente la morte di Giuseppe Pinelli con quel coro di poliziotti alla finestra che gridano “si è buttato, si è buttato”.

Ora non per ripetere cose già scritte, però sulle circostanze della morte di Giuseppe Pinelli siamo fermi ancora alle conclusioni di Gerardo D’Ambrosio, quelle del “malore attivo”. Formula bislacca per escludere responsabilità poliziesche, certo, ma che non significa assolutamente “suicidio”. Anzi.

Il fatto che una fiction, vista da milioni di persone e anche e soprattutto da persone che non ricordano più o non sanno, adotti la sua netta soluzione “assolutoria” per le istituzioni coinvolte e i loro uomini attraverso la versione del  suicidio è oltre che gratuito piuttosto inaccettabile. In termini di pasgella è l’errore grave, quello più grave.  Non accorgersene, per uno come Guido Crainz che di mestiere tra l’altro fa lo storico oltre che il commentatore editorialista, è piuttosto singolare. In più visto che da giorni fiorisce un dibattito in merito a vari livelli sul web, che tra l’altro motiva anche l’articolo uscito ora su Repubblica, non accorgersene suona non come una dimenticanza ma come una sorta di benevolo lasciapassare. Il che non mi trova minimamente d’accordo. Purtroppo non sappiamo ancora oggi come sia morto Giuseppe Pinelli e non sarà una brutta fiction a darci la sua soluzione.

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