Informazioni che faticano a trovare spazio

Riassunto ad uso dei distratti: tutti i post pubblicati su questo blog dopo lo sceneggiato “Gli anni spezzati” del 6-7 gennaio che ha risolto la morte di Giuseppe Pinelli in un suicidio

Post su Giuseppe Pinelli (e dintorni) pubblicati da Paolo Brogi sul suo sito www.brogi.info dopo la proiezione dello sceneggiato tv “Gli anni spezzati” di Graziano Diana su Raiuno il 6 e il 7 gennaio 2014 (sotto Giuseppe Pinelli con le figlie Claudia e Silvia , “Licia Claudia Silvia” di Anna Padovani):

Pino Pinelli, no quella non è la verità…

martedì, gennaio 7th, 2014

Ho aspettato fino alle 22.52. La morte di Pinelli in  questura a Milano a notte del 15 dicembre del 1969. Il giornalista che esce dalla Questura, il corpo di Pinelli che precipita giù, E su, alla finestra, i poliziotti che gridano: “Si è buttato, si è buttato…”.

Eh no. Questo no. Non sta scritto né documentato da nessuna parte. Così come non sta scritto né documentato che il commissario Calabresi sia entrato dopo nella stanza – come “certifica” invece lo sceneggiato firmato da Diana – e abbia chiesto cosa fosse mai successo.

Eh no. Così non va. Così non è.

Pinelli suicida, non è quello che finora si è faticosamente saputo.

Si sa come possa andare uno sceneggiato tv per Raiuno. Si fa un santino, lo si appioppa sul commissario Calabresi, il resto chissenefrega.

Ebbene, 44 anni dopo, diciamo di no. Non si può raccontare così l’Italia del 1969.

No, quella non è la verità.

Qualcuno chieda scusa alle tre donne di casa Pinelli per l’ignobile falsificazione mandata in onda dalla Rai sulla morte di Giuseppe Pinelli

mercoledì, gennaio 8th, 2014

Con i soldi che gli italiani “devono” pagare ogni anno – di nuovo proprio in questo mese – la Rai servizio pubblico si permette di mandare in onda falsificazioni così spudorate come quella realizzata ieri sera sulla morte di Giuseppe Pinelli, firmata dal regista Graziano Diana con fior di sceneggiatori e di consulenti storici (ben tre, complimenti). Tralascio il resto della fiction su Luigi Calabresi e torno su questa impudente versione offerta a milioni di italiani sul “suicidio” di Giuseppe Pinelli.

Com’è noto l’unico riscontro giudiziario è quello firmato allora dal giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio che nel 1975 concluse con quel contestatissimo “malore attivo”. Com’è noto la verità giudiziaria non è andata purtroppo oltre quella formula bislacca con cui si è voluto chiudere il caso, ma che comunque non è il suicidio che i poliziotti del filmato invece gridano dalla finestra con quel “si è suicidato, si è suicidato”, quasi un coro liberatorio…

C’era fuori della porta della stanza in cui veniva interrogato Giuseppe Pinelli un altro anarchico, trattenuto anche lui illegalmente con un fermo che si sarebbe protratto fino al giorno dopo. E quel Valitutti ha sempre sostenuto di non aver visto uscire il commissario Calabresi dalla stanza, in cui erano – conclude D’Ambrosio – quattro poliziotti e un carabiniere. Delle menzogne di allora ci è stata risparmiata la frase messa in bocca a Pinelli “E’ morta l’anarchia”, mai confermata ufficialmente e comunque fatta circolare. Per fortuna non è stata raccolta neanche l’altra menzogna che allora venne fatta ugualmente circolare, quella di una scarpa di Pinelli che sarebbe rimasta in mano a un agente che perciò l’avrebbe trattenuto, solo che Pinelli sul selciato fu trovato con tutte e due le scarpe.

E poi tralasciamo la caduta “verticale” e altre questioni.

Resta l’adozione di quella versione del suicidio di Giuseppe Pinelli che trasforma la Rai, questa Rai con i suoi dirigenti ben pagati, in una gigantesca fabbrica della falsificazione.

Gigantesca perché con totale impudenza ha riscritto una pagina dolorosa del nostro passato a modo suo, scegliendo di trasformare qualcosa che ancor oggi non sappiamo come sia accaduto in qualcosa di certo e di certamente assolutorio per la Questura di Milano, guidata – ricordiamolo – da un uno come Marcello Guida che da giovane funzionario era stato direttore delle guardie di Ventotene e Santo Stefano durante gli anni del fascismo che lì nelle isole confinava e rinchiudeva oppositori antifascisti. Un uomo a cui in quei giorni del 1969 Sandro Pertini rifiutò di stringere la mano.

Graziano Diana è al suo terzo film tv, il primo gli era stato bloccato dall’allora ministro di grazia e giustizia. Fu poi mandato successivamente in onda. Ha fatto a lungo lo sceneggiatore, anche di vicende reali, dunque non è nuovo alla consultazione di documenti pur ovviamente restando libero in quanto autore di fiction di godere di una relativa libertà. Ma si può falsificare in questo modo una vicenda che ha rivestito un ruolo così centrale negli ultimi quaranta anni?

Io non ci sto. E mi auguro che anche altri lo dicano anche rivolgendo opportune interrogazioni in merito a questi disinvolti scempi, anche e soprattutto perché attuati con soldi pubblici, quelli della Rai. E qualcuno dovrebbe pure chiedere scusa alle tre donne di casa Pinelli.

Licia Pinelli. D’Espinosa e poi D’Ambrosio mi chiesero che opinione mi fossi fatta sulla morte di Pino. Gli dissi, l’hanno picchiato, creduto morto e buttato giù…

mercoledì, gennaio 8th, 2014

Dall’intervista a Licia Pinelli comparsa in “La piuma e la montagna” (Manifesto Libri, 2008) a cura di Francesco Barilli e Sergio Sinigaglia:

“Sì, vengono a bussare da me verso l’una. Io, le bambine e mia suocera eravamo già a letto. Te lo dico perché in seguito ci fu persino chi disse che dormivo con un amante. Non è una cosa poi così strana: se devi infangare una vittima è meglio infangare anche i suoi parenti…

Comunque sono andata ad aprire e ho trovato questi due giornalisti. Sembravano affannati, dopo 4 piani di scale senza ascensore, e soprattutto davano l’impressione di farsi forza l’un altro, cercavano le parole per dirmelo: “sembra che suo marito sia caduto da una finestra”.

Gli chiusi la porta in faccia e mi precipitai a telefonare alla questura. Chiesi di Calabresi e me lo passarono. Dissi che c’erano due giornalisti alla mia porta, gli riferii cosa m’avevano detto, chiesi perché non m’avevano avvertito. “Sa, signora, noi abbiamo molto da fare”, mi rispose… Non so se gli ho detto ancora qualcosa, sicuramente gli ho sbattuto la cornetta in faccia. Dalla questura non seppi nulla: mentre Pino era all’ospedale, invece di chiamarci loro avevano indetto la famosa conferenza stampa…”.

“Tornando sulla presenza o meno di Calabresi nella stanza, non voglio riaprire polemiche, ma mi sembra giusto ricordare che uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti, sostenne di non aver visto Calabresi uscire dalla sua stanza prima che Pino cadesse, e successivamente confermò sempre la stessa versione: non solo non aveva visto Calabresi uscire dalla stanza, ma affermò pure che (considerata la posizione che occupava nel corridoio) avrebbe senz’altro notato se il commissario fosse uscito. Quella dichiarazione la sostenne di fronte alla magistratura, ma non fu mai chiamato a deporre nuovamente davanti a D’Ambrosio, mi disse, nel corso dell’istruttoria decisiva.

“Quando sono stata interrogata da Bianchi d’Espinosa (procuratore generale a Milano, che poi assegnò il fascicolo a D’Ambrosio) mi chiese proprio quale opinione mi fossi fatta sull’accaduto, e la stessa domanda in seguito me la pose lo stesso D’Ambrosio. Risposi molto semplicemente, come rispondo a te ora: l’hanno picchiato, creduto morto e buttato giù; oppure l’hanno colpito al termine dell’interrogatorio, facendolo poi precipitare incosciente, e questo spiegherebbe anche il suo volo silenzioso, senza neppure un grido, e spiegherebbe pure che dei 5 agenti solo uno (il carabiniere) si precipita giù per accertarsi delle sue condizioni. Di questo racconto sono convinta ancora oggi.

Alla tesi del suicidio, poi, non ho mai creduto. Pino non l’avrebbe mai fatto, era un’eventualità che non ammetteva. Una volta avevamo parlato di una ragazza che conoscevamo, che aveva tentato il suicidio, e lui era stravolto. Non era una scelta che concepiva, amava la vita, non l’avrebbe mai fatto”.

E poi ecco Pasquale Valitutti che recentemente in un video postato su you tube (http://www.youtube.com/watch?v=XBoMMScJsMY) ha ripetuto le sue accuse per quella notte nella Questura di Milano dove era in attesa di essere interrogato ed era stato “parcheggiato” nella stanza adiacente a quella in cui veniva interrogato Pinelli.

Premetto che non conosco Pasquale Valiitutti, che vedo partecipare con la sua carrozzella sempre in mezzo alle manifestazioni come l’ultima dei No Tav a Roma. Però prendo atto di quel che dice. E in particolare non si può dimenticare che quanto continua a ripetere è stato registrato anche dai magistrati già da allora, il 6 gennaio del 1970.

Valitutti riferisce di essere stato quella notte in una stanza con una grande porta aperta adiacente alla stanza in cui veniva interrogato Pino Pinelli.

Valitutti dice che davanti a lui dall’altra parte del corridoio c’era la porta del capo dell’Ufficio Politico, Antonino Allegra.

Valitutti non ha visto nessuno transitare in quel corridoio a ridosso di quella mezzanotte del 15 dicembre 1969, nessuno aprire o uscire dalla porta di Allegra. E in particolare non ha visto transitare il commissario Luigi Calabresi.

Vero, non vero, possibile che si sia distratto…Non sappiamo. Aggiunge però Valitutti di di aver sentito un tonfo e che poi si è presentato da lui il commissario Luigi Calabresi. Lui avrebbe chiesto: “Ma cosa è successo?”.

E Calabresi gli avrebbe risposto: “Non capisco, Valitutti, stavamo tranquillamente parlando e lui si è buttato…”.

Questo è quanto dice Valitutti, l’ha ripetuto da poco nel 2012 in questa testimonianza che è su you tube.

Valitutti ricorda questo verbo: “Stavamo…”.

E’ Valitutti, è un anarchico, forse questo ha impedito da sempre di considerarlo attendibile. Però è questo ciò che ha detto e che continua a ripetere il compagno di Giuseppe Pinelli.

Sandro Pertini alla Fallaci: Non ho stretto la mano al questore Guida non per Ventotene, ma per la morte di Pinelli…(L’Europeo, 27 dicembre 1973)

giovedì, gennaio 9th, 2014

Il 27 dicembre del 1973 il settimanale “L’Europeo” pubblicò una lunga intervista di Oriana Fallaci a Sandro Pertini. Molto nota e soprattutto senza peli sulla lingua. Ecco cosa disse Sandro Pertini, allora presidente della Camera, in merito al questore Marcello Guida a cui subito dopo Piazza Fontana e la morte di Pinelli aveva rifiutato la stretta di mano in pubblico. Ascoltiamo Sandro Pertini:

“Lei sa che al presidente della Repubblica, della Camera, del Senato, spetta viaggiare col saloncino, che poi è una vettura speciale attaccata al treno. Sicché vado a Milano e, quando il saloncino è fermo su un binario morto perché sto facendo colazione, il mio segretario dice: «Il questore Guida ha chiesto di ossequiarla, signor presidente». E io rispondo: «Riferisca al questore Guida che il presidente della Camera Sandro Pertini non intende riceverlo». Mica perché era stato direttore della colonia di Ventotene, sa? Non fosse stato che per Ventotene, avrei pensato: ormai tu sei questore e voglio dimenticare che hai diretto quella colonia, che vieni dal fascismo, che eri un fascista. Perché su di lui gravava, grava, l’ombra della morte di Pinelli. E a me basta che Pinelli sia morto in quel modo misterioso quando Guida era questore di Milano perché mi rifiuti di accettare gli ossequi di Guida. Oriana, io non sono capace di far compromessi!”

(http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista.html)

Riaprire l’inchiesta sulla morte di Pinelli. Il fatto nuovo: la presenza di Silvano Russomanno (Affari riservati) quella notte in Questura

giovedì, gennaio 9th, 2014

9 gennaio 2014

C’è una novità che può consentire la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli. Viene fuori dalle carte del secondo Processo di Piazza Fontana, quello a carico di Zorzi, Maggi, Rognoni, Digilioi. Ed è l’interrogatorio raccolto dal magistrato Maria Grazia Pradella nei confronti del dirigente degli Affari Riservati Silvano Russomanno.

Russomanno seppur con vari distinguo ha detto di essere stato presente quella notte nei locali dell’Ufficio Politico della Questura di Milano, lui con la sua squadra.

E’ un fatto importante, mai indagato dalla magistratura ed è stato rilevato di recente nel libro che l’avvocato Gabriele Fuga ha scritto insieme all’ex militante anarchico Enrico Maltini, “‘e ‘a finestra c’è la morti. Pinelli: chi c’era quella notte’, titolo tratto da un verso della canzone ‘Lamento per la morte di Giuseppe Pinelli’, scritta nel 1970 dal cantastorie Franco Trincale.

Riaprire l’inchiesta perché l’Italia vuole sapere come sia morto Giuseppe Pinelli.

E’ quanto con ostinazione chiedono da sempre Licia e le sue due figlie. E non solo loro.

L’Italia non può restare mortificata da quella conclusione assurda del 1975 quando il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio scelse come conclusione della sua indagine un ossimoro mortificante di qualsiasi intelligenza che è il “malore attivo”. Non esiste neanche un termine contrario di malore, insomma non si può dire all’opposto qualcosa come “benessere passivo”, tanto è stretta  la strettoia in cui si volle infilare il giudice istruttore, con uno scopo evidentemente preciso: eliminare ogni scenario di coinvolgimento attivo della Questura in quella morte.

“Malore attivo” resta, e non solo come lessico, un mostro giuridico. Un’invenzione assurda, tanto unica quanto inservibile  tant’è che nessuno ha osato più usarla.. Buona però allora per eliminare uno scenario diverso, cattiva ancor oggi per lasciare uno spiraglio aperto per manipolazioni come quella appena vista in tv con quei poliziotti alla finestra della Questura di Milano che di Pinelli gridano “si è buttato, si è buttato…”, un’invenzione da fiction che non ha riscontro alcuno nelle carte giudiziarie.

Perché l’allora presidente della Camera Sandro Pertini si rifiutò di stringere la mano al questore di Milano Marcello Guida? Lo spiegò Pertini stesso a Oriana Fallaci tre anni dopo, in un’intervista sull’Europeo del 27 dicembre 1973: non è per Ventotene, ma per la morte di Pinelli…

Ecco, che risposta ha avuto Sandro Pertini? E con lui tutta l’Italia che non si è piegata a non avere una risposta adeguata?

Perché Pasquale Valitutti, unico testimone di quella notte oltre ai presenti nella famosa stanza della Questura, dice che fu sentito il 6 dicembre del 1970 e che poi ha ripetuto in aula durante il processo Calabresi-Lotta Continua la sua testimonianza, ma che D’Ambrosio – il vero titolato a raccogliere la sua versione – alla fine non l’ha mai sentito?

E’ una delle tante domande che da allora si trascinano nel presente.

Ma ora si aggiunge anche quella sul ruolo svolto da Silvano Russomanno quella notte, con la sua squadretta.

Vogliamo ancora sapere come è morto Giuseppe Pinelli. Quasi 45 anni di distanza ci separano da quei dolorosi avvenimenti: c’è un giudice disposto a riaprire un nuovo fascicolo?

L’avvocato Marcello Gentili: “La presenza di Silvano Russomanno quella notte in Questura a Milano è una novità che potrebbe far riaprire l’inchiesta”

giovedì, gennaio 9th, 2014

“Sono stato negativamente colpito dalla banalità e dalle inesattezze della fiction sul commissario Calabresi. Sia per la ricostruzione della figura del commissario sia per come è stato citato il processo Calabresi Lotta Continua, sia infine per come è stata presentata la morte di Giuseppe Pinelli”. Così l’avvocato Marcello Gentili che aggiunge: “In merito all’inchiesta sulla morte di Pinelli che si è fermata alle conclusioni insoddisfacenti di Gerardo D’Ambrosio credo che invece siano da poco emerse novità rilevanti di cui tener conto. In particolare mi riferisco alla presenza a Milano in Questura a partire dal 13 dicembre di Silvano Russomanno dell’Ufficio Affari Riservati. Come ha accertato la Pm Maria Grazia Pradella, nell’inchiesta per il secndo processo per Piazza Fontana ,Russomanno si era fermato con la sua squadra presso l’Ufficio politico della Questura di Milano. E ha ammesso di essere stato presente la notte del 15 dicembre quando è precipitato Pinelli. Credo che questa novità potrebbe dare adito a nuove indagini giudiziarie”.

Un ferroviere ci scrive da Milano: “Dissi, e chi ha il diritto di ammazzare un anarchico? Fui convocato al commissariato di zona…”

venerdì, gennaio 10th, 2014

Un ferroviere ricorda. Un ferroviere del 1969. A Milano. Pubblico ciò che mi ha mandato come commento a uno dei miei post su Giuseppe Pinelli. Si chiama Umberto Rizzo. Dà corpo a quei giorni. Ecco cosa dice:

All’epoca  quel giorno ero al deposito personale viaggiante a Porta Garibaldi  giunto da Luino come capo treno,e mi ricordo benissimo l’atmosfera che si respirava già in tettoia,tutto il personale di manovra e dirigenti di vari uffici erano dal titolare volevano formare un comitato che andasse in questura.

Io curioso chiedevo  ma nessuno che mi spiegava. Solo al deposito pv mi dissero che avevano arrestato un manovratore, un certo Pinelli, erano andati in tanti a prenderlo,i manovratori x il lavoro che svolgono sono di natura piccoli e smilzi,mi chiesi se ci fosse stato bisogno di un esercito x un soggetto così. Solo poi giunto a casa, nel bar frequentato da ferrovieri e da poliziotti della ferroviaria si seppe della morte del pericoloso soggetto come dicevano alcuni poliziotti Era un Anarchico, io bevendo il caffè dissi ad alta voce: e chi ha il diritto di ammazzare un anarchico? Entro le 24h fui convocato dal commissariato di stazione…

Russomanno, l’uomo degli Affari Riservati: “Ero a Milano quando è morto Pinelli…”

venerdì, gennaio 10th, 2014

“Ero a Milano quando è morto Pinelli”.

Pagina 15 della deposizione di Silvano Russomanno davanti al Pm Maria Grazia Pradella, metà anni ‘90. Contiene una frase clamorosa, un fatto che non è stato mai indagato, la presenza in Questura a Milano di una squadra di agenti dell’Ufficio Affari Riservati (il predecessore del Servizio sergreto civile) capitanata da Silvano Russomanno, numero 2 del servizio.

Silvano Russomanno dell’Ufficio Affari Riservati, braccio destro del capo Federico D’Amato, viene interrogato per l’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana.

La deposizione riguarda gli atti del secondo processo per Piazza Fontana, quello celebrato contro quattro accusati Zorzi, Maggi, Rognoni e Digilio.

E’ un documento però in cui si parla anche del 15 dicembre 1969 e della morte di Giuseppe Pinelli, un documento clamoroso che riemerge dal passato.

Sono già passati 25 anni dai fatti e il Pm Maria Grazia Pradella sta chiedendo a Russomanno cosa fosse venuto a fare a Milano, inviato dagli Affari Riservati, nei giorni successivi alla strage di Piazza Fontana.

In altra pagina Russomanno ha già rivelato di essere arrivato o il 13 o il 14 dicembre, insieme alla sua squadra.

In altra pagina ancora riferisce pure di aver saputo che durante l’interrogatorio di Pinelli è stata pronunciata la frase trappola “Valpreda ha parlato”.

Ma è a pagina 15 di questo lungo verbale, rimasto finora dimenticato, che Russomanno dice di essere a Milano quando è morto Pinelli.

Ecco la parte dell’interrogatorio:

Pm: Lei è stato interpellato?

Russomanno: E allora il Ministro chiama il suo Capo di gabinetto, il suo capo di gabinetto chiama il capo della polizia che all’epoca credo fosse Vicari, Vicari chiama D’Amato o Catenacci o chi c’era il quale chiama me e dice “senti, fai le valigie e vai a Milano”.

Pm: Ma lei a Milano chi ha visto in quei giorni, scusi?

Russomanno: Non ho capito, scusi?

PM: Chi è che ha visto in quei giorni?

Pm: A chi si è rapportato quando è andato a Milano?

Russomanno: Con l’ufficio della Questura, con i miei.

Pm: Ma in Questura in quei giorni lei già mi ha detto che era presente i giorni in cui praticamente è morto Pinelli, no?

Russomanno: Ero a Milano quando è morto Pinelli.

Questa circostanza non c’è nelle carte di Gerardo D’Ambrosio che vent’anni prima aveva portato a termine l’inchiesta sulla morte di Pinelli, con le note conclusioni che si conoscono.

L’Ufficio politico della Questura era una sorta di appartamento neanche troppo grande. Lì erano approdati Russomanno e i suoi.

Portavano da Roma la pista anarchica.

Difficile pensare che nessuno di loro, a partire da Russomanno, sia rimasto fuori della stanza degli interrogatori.

Questa presenza di uno o più uomini degli Affari Riservati in più costituisce il dato nuovo, un motivo per chiedere una nuova inchiesta. Russomanno era nella stanza in cui si interrogava Giuseppe Pinelli? C’era da solo oppure con altri suoi uomini? Oppure c’era qualcuno dei suoi, uno o più, nella stanza? Tutte circostanze che è ancora possibile appurare, a partire dall’escussiuone dello stesso soggetto che ci risulta ancora in vita.

Vogliamo sapere la verità sulla morte di Pino Pinelli.

Quando uno storico non si accorge dell’errore più grave

venerdì, gennaio 10th, 2014

Mi stupisce la miopia con cui uno come Guido Crainz ha visto  la fiction sul commissario. Nel senso che intervistato da Repubblica ha fatto giuste osservazioni sulla mancanza di contesto e in particolare dell’autunno caldo ma poi arrivando alla questione Pinelli si è dichiarato favorevolmente colpito dal fatto che sia stata sottolineato il fatto del fermo illegale. Certo, questo l’hanno detto nella fiction ed è stato un momento buono.

Ma che dire della soluzione poi adottata per spiegare oggettivamente la morte di Giuseppe Pinelli con quel coro di poliziotti alla finestra che gridano “si è buttato, si è buttato”.

Ora non per ripetere cose già scritte, però sulle circostanze della morte di Giuseppe Pinelli siamo fermi ancora alle conclusioni di Gerardo D’Ambrosio, quelle del “malore attivo”. Formula bislacca per escludere responsabilità poliziesche, certo, ma che non significa assolutamente “suicidio”. Anzi.

Il fatto che una fiction, vista da milioni di persone e anche e soprattutto da persone che non ricordano più o non sanno, adotti la sua netta soluzione “assolutoria” per le istituzioni coinvolte e i loro uomini attraverso la versione del  suicidio è oltre che gratuito piuttosto inaccettabile. In termini di pasgella è l’errore grave, quello più grave.  Non accorgersene, per uno come Guido Crainz che di mestiere tra l’altro fa lo storico oltre che il commentatore editorialista, è piuttosto singolare. In più visto che da giorni fiorisce un dibattito in merito a vari livelli sul web, che tra l’altro motiva anche l’articolo uscito ora su Repubblica, non accorgersene suona non come una dimenticanza ma come una sorta di benevolo lasciapassare. Il che non mi trova minimamente d’accordo. Purtroppo non sappiamo ancora oggi come sia morto Giuseppe Pinelli e non sarà una brutta fiction a darci la sua soluzione.

Marco Travaglio e “la stampa di sinistra di questi giorni…”

sabato, gennaio 11th, 2014

C’è un lapsus molto chiaro nella prosa con cui Marco Travaglio si dedica allo sceneggiato “Gli anni spezzati” sul commissario Calabresi, nell’editoriale di oggi sabato 11 gennaio del Fatto quotidiano di cui Travaglio è vicedirettore. Il pezzo s’intitola “Il suicidio Calabresi”. Il lapsus è invece in bella evidenza in testa all’articolo. “A leggere la stampa di sinistra di questi giorni – scrive Travaglio – pare che un panorama tutto rose e fiori sia stato improvvisamente e improvvidamente guastato da una fiction brutta e abborracciata, piena di errori storici e scene menzognere…”.

Ah ecco finalmente gli scappa detto: la stampa di sinistra da una parte, il Fatto quotidiano dunque da un’altra.  Pare proprio così, l’argomento non aiuta Travaglio e così  eccolo finalmente esternare la sua collocazione di fatto, se non quella del giornale, certamente la sua. E se non è di sinistra, quale può essere la collocazione di Marco Travaglio? Lasciamo al lettore la soluzione che preferisce.

Da uomo non di sinistra,  eccolo allora Travaglio premettere il ringraziamento a Marco Tullio Giordana che “ha ricostruito la strage di Piazza Fontana, dove tutto cominciò”.

Chissà cosa sia piaciuto in particolare di quella pessima operazione tentata da Marco Tullio Giordana: la teoria delle due bombe, l’idea che Pinelli sapesse qualcosa sulle bombe “anarchiche” ipotesi che viene solleticata dietro lo scenario delle bombe di destra (quelle vere, da strage) e quelle supposte di sinistra? Travaglio non ce lo dice, ringrazia soltanto. Ma non lo dice perché oltre a scagliare il suo veleno – e non è la prima volta – contro quelli di Lotta Continua, a partire da Adriano Sofri reo secondo lui di non essere più in galera, non ha trovato evidentemente inaccettabile la versione fornita dal pessimo sceneggiato tv sulla morte di Giuseppe Pinelli.

Il suicidio, termine che usa nel suo titolo per dire che nella fiction mancano i cosiddetti responsabili dell’omicidio Calabresi,  è in realtà evocato dallo sceneggiato ed è il suicidio Pinelli, perché questa illazione è stata sentenziata a modo suo dal brutto sceneggiato mostrandoci dopo la precipitazione di Giuseppe Pinelli dal quarto piano della Questura quel coretto indecente di poliziotti che gridano dalla finestra “si è buttato, si è buttato”. Scena inventata di sana pianta, elargita  ai telespettatori con l’unico scopo di fornire una risposta per una morte rimasta inspiegata senza altra definizione se non quell’assurdità del “malore attivo” escogitato dal magistrato Gerardo D’Ambrosio.

Ecco il suicidio di cui non ci dovrebbe parlare Travaglio è questo, quello inventato dalla fiction, ed è come scriviamo da giorni qualcosa di totalmente inaccettabile.

“Il peccato della fiction è che mancano i volti e le imprese dei colpevoli”, scrive Travaglio riferendosi all’omicidio Calabresi. E Pinelli? La morte di Pinelli viene liquidata da Travaglio col comodissimo “tragica fine”. Dove l’aggettivo non aiuta, certamente, perché suona di nuovo assolutorio: tragico è qualcosa che riguarda la tragedia, un sinistro inspiegabile, quasi il fato.

Beh, faccia uno sforzo, forse si può dire qualcosa di più sulla morte di un uomo arrivato in questura col suo motorino, detenuto illegalmente con un fermo prolungato di polizia, precipitato come un corpo esanime da quel quarto piano senza che le sue mani si ferissero in un tentativo estremo di difesa, rimbalzato sui due cornicioni che precedevano l’impatto col marciapiede, avvistato dal cronista dell’Unità (giornale di sinistra, direbbe Travaglio) Aldo Palumbo che poi la sera rientrando a casa sua la trovò sottosopra per l’irruzione di chissà chi…

Ma a Travaglio tutto questo sta bene. Tragica fine, stop. Il suo unico cruccio resta come un chiodo fisso quello di prendersela con quelli di Lotta Continua che hanno avuto il demerito di chiedere allora come fosse morto Giuseppe Pinelli nella Questura di Milano la notte del 15 dicembre del 1969.

Certamente quella si tramutò poi in una campagna che focalizzata sul commissario Calabresi trasformò qualcosa di giusto in qualcosa di ignobile. E’ stato già detto, non ho difficoltà a ripeterlo ora. A patto di riconoscere però, in uno scenario troppo spesso disposto a non vedere e a non indignarsi, che la richiesta di sapere come fosse morto Giuseppe Pinelli era una giusta richiesta. E ancor oggi è importante saperlo, ancor oggi non lo sappiamo. Certo c’è chi a tutto questo non presta la minima attenzione. Strano, eh? Chissà come mai.

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