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Mauro Rostagno e i depistaggi nell’inchiesta sul suo omicidio

Il 15 maggio 2014 è stata pronunciata la sentenza di condanna per l’omicidio di Mauro Rostagno. Siamo ancora in attesa delle motivazioni. Due ergastoli, certo. Ma giustizia è stata fatta? E i depistaggi?

La Corte di Assise di Trapani ha rinviato alla Procura anche la posizione di nove testimoni per i quali si ipotizza il reato di falso, insomma autori di depistaggi.

Sono il massone Natale Torregrossa, il finanziere Angelo Vossa, il geometra Salvatore Vassallo, la vedova dell’editore di Rtc Caterina Ingrasciotta, i tre muratori del cosiddetto picnic nella cava, la moglie del generale Chizzoni e infine il brigadiere dei carabinieri Beniamino Cannas.

Ecco, i carabinieri. Sopra Cannas c’era il generale oggi in pensione Nazareno Montanti, allora a capo del Reparto Operativo di Trapani.

Quei carabinieri chiamavano Mauro Rostagno a riferire ciò che aveva scoperto sulla Loggia Scontrino della massoneria, la Iside 2, e poi non riferivano nulla alla magistratura, come è stato ricordato nella requisitoria dei Pm Del Bene e Paci.

Mauro Rostagno aveva scoperto parecchie cose, su quel consorzio massonico in cui erano presenti uomini istituzionali di Trapani, ma anche su quell’esplicito interesse mostrato da Licio Gelli reduce dallo scioglimento della sua Loggia P2 che aveva appena fatto tre viaggi in Sicilia incontrando capimafia come Mariano Agate.

I carabinieri avevano “sentito” Rostagno ma non c’è traccia di quei verbali e men che meno sono stati forniti all’autorità giudiziaria. Perché?

Tanto per cominciare i carabinieri avevano esordito al momento dell’omicidio di Mauro con un clamoroso falso.

Un carabiniere infatti all’obitorio aveva detto che nella borsa di Rostagno erano stati trovati molti dollari e siringhe. Un ignobile falso, dunque. Chicca Roveri protestò col procuratore. Ma è pensabile che quel singolo carabiniere abbia aperto bocca di propria iniziativa senza essere stato “ispirato” da altri?

Di fatto era appena iniziata la macchina  del fango. Un classico nei delitti di mafia, uno scenario che si è ripetuto da Cosimo Cristina – il primo degli otto giornalisti ammazzati in Sicilia – a Pippo Fava…

Benedetta Tobagi ha ricostruito in una precedente occasione (la manifestazione in ricordo di Mauro, a Milano) il quadro dei principali depistaggi nell’inchiesta.

C’è un altro carabiniere, l’allora capitano Dell’Anna, che allora si mosse da Trapani a Milano, senza alcuna delega, per andare a sostenere di fronte al giudice istruttore Lombardi dell’omicidio Calabresi il collegamento tra l’omicidio Rostagno e quello Calabresi, insomma una duplice responsabilità di Lotta continua.

Il giudice istruttore poi sconfessò quel capitano, dicendo di non aver mai sostenuto questa tesi, che era invece stata formulata da quel capitano.

E ancora una volta è pensabile che la trasferta fosse un’iniziativa del solo Dell’Anna?

Un altro interrogativo si aggiunge sulle prime ore del delitto Rostagno: che fine ha fatto l’agenda che Mauro portava sempre con sé? Scomparsa come quella di Borsellino…

Maddalena Rostagno è andata in aula a denunciare quella scomparsa come quelle delle cassette audio e video. Chi le ha prese?

Tutto questo aveva come cornice una città e in una provincia come Trapani dove nonostante che poco prima fosse stata scoperta la più grande raffineria d’eroina d’Europa c’erano sindaci pronti a dire che lì la mafia non esisteva.

Non solo sindaci, anche il procuratore capo di allora diceva: “Qui la mafia non esiste, tant’è che non ci sono processi per mafia…”.

Singolare ragionamento.

Nel 1996 dopo l’arresto di Chicca Roveri si è arrivati poi a dire che Cosa Nostra era stata in precedenza “gratuitamente incolpata”.

Gratuitamente incolpata.

Le indagini l’avevano scagionata. Povera mafia, ingiustamente incolpata…

Eppure fin dall’inizio la Polizia aveva cercato, invano, di sostenere la pista mafiosa nell’omicidio Rostagno. L’allora capo della Mobile Rino Germanà è tornato a spiegarlo in aula. Per la Polizia era un fatto talmente evidente…

Ed è stata sempre la Polizia, nel 2008, facendo eseguire la perizia balistica sul fucile esploso, perizia fino ad allora mai fatta, ad aver messo in condizione la Procura di promuovere il processo che poi si è celebrato a Trapani.

La Polizia allora nel 1988 fu però estromessa dall’indagine, eseguita poi dai carabinieri.

Il quadro di tutto questo è stato riferito dai Pm al momento della requisitoria come uno scenario definito come pieno di insufficienze investigative, sottovalutazioni, inspiegabili omissioni, miopia, orientamenti di pensiero “naturalmente adesivi verso Cosa Nostra”. Così i Pm.

Conclusioni dei procuratori di fronte alla Corte d’Assise: “Per tre anni abbiamo perso tempo dietro stupidaggini, le piste diverse da quelle della mafia sono state una vergogna, questo processo andava fatto a un anno dal delitto”.

Chi ha remato in altra direzione?

Soprattutto, perché?

Il generale Nazareno Montanti sentito per ben due volte in aula (fatto davvero inusuale, due volte…) è arrivato a definirsi un ”passacarte”. Il momento più incredibile è stato quando si è mostrato sorpreso dell’esistenza di una pistola usata insieme a un fucile per uccidere Mauro Rostagno.

“C’era anche una pistola?”.

Così ha detto il capo del Reparto Operativo dei carabinieri, quelli che ebbero la delega di indagine che la Procura aveva tolto alla Polizia.

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