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Italiani cattiva gente. Lo straordinario Re ombra dell’etiope Maaza Menghiste

L’aviazione fascista inviata da Mussolini in Etiopia sganciò 1020 bombe di gas iprite, il gas mostarda, sulla popolazione di quel lontano paese da conquistare.
Per anni la narrazione postfascista ci ha somministrato una brodaglia fatta di italiani brava gente e imprese nobili. Solo alla fine degli anni ‘80 grazie al lavoro di Angelo Del Boca, il primo storico a mettere le mani dentro le casse gelosamente custodite alla Farnesina sulla guerra coloniale (dalla Libia all’Etiopia), è uscita la documentazione sui gas e sul resto delle barbarie compiute. Però c’era anche chi neanche allora voleva accettare tutto ciò, ad esempio il tronfio Indro Montanelli che quando per l’Europeo intervistai Del Boca (uscirono quattro dense pagine) ebbe la sfrontatezza di mandare al giornale una lettera in cui apostrofandomi stupidamente come “tal Brogi” se la prendeva di fatto con Del Boca dicendo in sostanza: “Io c’ero e non ho mai visto gas”. Che spudoratezza. Faceva parte, in estremis, di quell’innegabile capacità che a lungo il fascismo ha avuto nel nascondere le proprie malefatte colonialiste riuscendo per anni e anni a bandire dall’Italia documentazioni fondamentali come il documentario della Bbc “Fascist Legacy”. E che ha impedito agli italiani di vedere il film con Anthony Quinn “Il re del deserto” sull’eroe libico Omar Al Mukhtar.
C’è anche il gas mostarda nel bel libro “Il re ombra” che Maaza Menghiste – giovane e valente scrittrice di origine etiope approdata ora negli Stati Uniti – ha dedicato all’invasione italiana del 1935 in Etiopia ma soprattutto alla resistenza del suo popolo e in particolare delle donne etiopi. Uscito da noi nel 2021, “Il re ombra” è un romanzo epico ancorato a quel 1935 (la guerra sarebbe continuata fino al ’41) e più di recente al 1974 quando Hailé Selassié fu deposto. Menghiste costruisce la sua storia, quasi una tragedia greca, raccontando soprattutto due donne etiopi, Hirut e Aster. Ma è soprattutto Hirut a dar corpo alla dimensione della resistenza femminile. Lei, come dice la scheda di Einaudi (presumo scritta dalla traduttrice Anna Nadotti) è “Hirut, figlia di Fasil e Getey, una ragazzina spaurita in balia di un sistema patriarcale che la vuole schiava. Ma quando i venti di guerra contro gli invasori italiani cominciano a infuriare sulle alture, Hirut, figlia di Fasil e Getey, diventa la temuta guardiana del Re Ombra: come le sue sorelle d’Etiopia ora è un soldato, che non ha piú alcun timore di ciò che gli uomini possono fare a donne come lei…”.
Altre figure si muovono in questo universo, come il soldato ebreo Ettore Navarra fotografo e il colonnello fascista Carlo Fucelli. Servono in qualche modo a dare ancora più forza all’immagine di questa giovane e coraggiosissima combattente che rappresenta un intero popolo alle prese con un invasore spedito a far danni da quel personaggio surreale che gli etiopi dileggiavano storpiandogli il nome in Mussoloni. E Hirut è la guardia del corpo del Re ombra, un Hailé Selassié duplicato così come in effetti è avvenuto nella storia etiope, qui immaginato dopo l’arrivo delle truppe italiane nei panni di un misero musicista etiope usato dalla resistenza per dar coraggio al popolo. Straordinario è dunque l’impasto di cui si è avvalsa la Menghiste per costruire la sua epica risposta a quei duri anni di invasione, morte, dolore resuscitati nella sua finzione abilissima e convincente. Un libro dunque da leggere e su cui riflettere, specie in questi brutali tempi di centrodestra al potere. Un libro che ha tra l’altro alimentato, mi segnala l’orientalista Sandro Triulzi che è tra i ringraziamenti in calce al romanzo della Menghiste, il testo di Federica Sossi “Immaginare la storia. Abbecedario del colonialismo italiano” (Mimesis). Quanto alla Menghiste sarà al festival della letteratura a Roma, al Palatino, la sera del 13 luglio, un’occasione per ascoltare un’autentica scrittrice.

Ethiopian-born novelist Maaza Mengiste in a white Ethiopian dress standing againt a grey wall

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