Informazioni che faticano a trovare spazio

Andreotti e la struttura segreta dell’Anello: per non salvare Moro, salvare invece Cirillo e far scappare Kappler

Critica sociale, la rivista milanese di Craxi, pubblicò una foto inedita di Andreotti e Gelli, entrambi in smoking e felici come Pasque. Giulio Andreotti non si scompose: “E’ una foto scattata a Buenos Aires, il giorno dell’ insediamento di Peron. Io ero lì a rappresentare l’ Italia. Ho avuto molte tentazioni nella mia vita. Ma quella di diventare massone non m’ è mai passata per la testa…”. Craxi insistette. Domenica 31 maggio 1981 pubblicò sull’ Avanti! il fondo intitolato “Belzebù e Belfagor”. Belfagor era  Gelli, una “specie di segretario generale di Belzebù”. Ma chi era Belzebù? Craxi non lo scrisse, si limitò a suggerirlo: può essere Andreotti. Lui non battè ciglio.

Quelli erano comunque gli anni in cui ao lavori sporchi provvedeva la sua struttura supersegreta detta L’Anello.

Dell’Anello si è saputo un po’ durante le udienze del Processo in corte di Assise per la Strage di Brescia. Tre i campi d’azione: sequestro Moro, sequestro Cirillo, fuga di Kappler.

Parliamo oggi di trattativa Stato Mafia. Ebbene, che cosa fu allora il caso Cirillo? La prima trattativa Stato Mafia. Una dozzina di anni precedente quella con la mafia. Diciamo una prova generale. Alla trattativa con la Nco (Nuova camorra organizzata, diretta da Raffaerle Cutolo nella foto)  partecipò a quanto pare  l’Anello: l’ha ricordato in aula a Brescia – nel processo per la strage – un teste, il medico che curava Adalberto Titta, factotum dell’Anello.

In aula  il medico Rodolfo Pedroni ha raccontato quanto ha saputo sull’Anello da parte di Adalberto Titta.  E cioè il ruolo di cerniera tra i servizi segreti esercitato dalla suiperstruttura segreta Anello. Qui di seguito riporto quanto scritto da Bresciaoggi sull’udienza di quel giorno, resoconto riportato in questo blog il 15 febbraio 2010.

Ecco il 14 febbraio 2010 a Brescia:

“Ieri al processo per la strage di piazza della Loggia la similitudine tra la realtà italiana degli anni Settanta e il film di Sydney Pollack del 1974 è emersa in tutta la sua drammaticità ed è stata rammentata da uno dei testi, il giornalista Marco Sassano, dal ’69 al ’78 redattore per L’Avanti e grande esperto di «trame nere» e servizi segreti. «C’è del marcio nella Cia» recita Robert Redford nel film, ma c’è del torbido anche in «Anello», il servizio super segreto che secondo i pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni ha avuto un ruolo, con apparati dello Stato e estremisti di destra, nella progettazione della strage.
In aula i giudici della corte d’assise hanno sentito ieri Giovanni Maria Rodolfo Pedroni, medico di Adalberto Titta, uomo di spicco di «Anello», morto in circostanze poco chiare nel novembre del 1981. Talmente di spicco che a Pedroni fece una serie di rivelazioni shock, alcune suffragate anche da padre Zucca, pure lui a conoscenza dell’esistenza del servizio super segreto. Rivelazioni che Pedroni ieri ha ripetuto in aula senza alcuna esitazione, a parte alcuni vuoti di memoria (è nato nel 1927). Il medico ha ricordato ai giudici di aver conosciuto Titta in una clinica milanese dove era ricoverato un amico, padre Zucca.
“Siamo diventati amici, io ero diventato il suo medico e lui raccontava» ha ricordato Pedroni. «Ci siamo frequentati a lungo e lui mi diceva dell’esistenza di questa struttura perché i servizi ufficiali erano pasticciati e diceva che questo era un nuovo servizio, estremamente segreto, con compiti che non venivano affidati ai servizi ufficiali. Questo servizio aveva una funzione di “Anello”. Era Andreotti che aveva voluto questo nuovo servizio segreto”. II chirurgo bergamasco ha ricordato che quando avevano bisogno di armi le prendevano dai carabinieri di via Moscova a Milano, la stessa caserma che per l’accusa era frequentata anche dal capitano Delfino, uno degli imputati nel processo.
Sugli aderenti al noto-servizio Pedroni ha ricordato solo il nome di Sigfrido Battaini, che aveva un ufficio in via Statuto a Milano. Per l’accusa si tratta di un indirizzo importante perché Antonio Molinari, teste nel processo, ha riferito di aver accompagnato una persona in via Statuto, dove c’era la sede di Anello, perchè aveva un incontro con il capitano Delfino.
Per Pedroni Anello ha avuto un ruolo in tre situazioni, la liberazione di Kappler, il sequestro Moro e il sequestro Cirillo. Per quanto riguarda Kappler Pedroni dice di averlo visitato a Ponte San Pietro. “Dopo la fuga dal Celio lo prese in custodia Titta che lo portò nella Bergamasca e poi da lì lo consegnò ai tedeschi per il ritorno in patria, dove morì dopo due mesi. E per quanto riguarda il sequestro Moro so che Titta sapeva dov’era il presidente della Dc. Mi disse “potremmo liberarlo, ma mi hanno detto di stare fermo”». Pedroni ha anche fatto sintesi delle finalità di Anello: “Avrebbe dovuto arginare l’avanzata delle sinistre, era un baluardo della democrazia”.
Dell’esistenza del servizio super segreto era a conoscenza anche il giornalista Marco Sassano che tra le sue fonti aveva un uomo di Olaf Palme, primo ministro svedese: “La Svezia era preoccupata per la situazione dell’Italia”, ha detto. C’era il timore che il nostro paese potesse fare la fine della Spagna e della Grecia e proprio per questo era nata una collaborazione con i socialisti. «” dall’uomo di Olaf Palme che abbiamo appreso che l’esplosivo usato in piazza Fontana era stato dato a Ordine Nuovo e a Ordine nero dai militari: negli attentati di destra l’esplosivo non era mai rubato, ma era della Nato”.

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